sabato 29 giugno 2013

LILI MARLEEN (Rainer Werner Fassbinder)




Un film di Rainer Werner Fassbinder. Con Giancarlo Giannini, Mel Ferrer, Hanna Schygulla, Udo Kier Drammatico, durata 120' min. - Germania 1980.

Nel 1938 a Zurigo una giovane cantante tedesca ama un musicista ebreo. La guerra li separa. La cantante, tornata in Germania, diventa famosa grazie alla canzone "Lili Marleen". A guerra finita si reca a Zurigo dove trova l'amato Robert sposato. Ispirato al romanzo autobiografico della cantante Lale Andersen Il cielo ha molti colori, il film apre idealmente la quadrilogia fassbinderiana sulla Germania in forma di un cinemelodramma in cui è difficile distinguere dove finisce il Kitsch nostalgico perseguito con voluttuoso accanimento e dove comincia la bischeraggine invereconda. La vera ragione di vederlo è la Schygulla. La famosa canzone (scritta nel 1916, musicata nel 1930 e registrata nel 1938) ha ispirato altri 3 film: 2 britannici (1952, 1970) e uno tedesco (1956).AUTORE LETTERARIO: Lale Anderson

tres

IL GIORNO DELLO SCIACALLO (Fred Zinnemann)

Poster Il giorno dello sciacallo  n. 1

Un film di Fred Zinnemann. Con Michel Auclair, Edward Fox, Terence Alexander, Delphine Seyrig Titolo originale The Day of the Jackal. Giallo, durata 141' min. - USA 1973

Nel 1963 il braccio armato dei colonialisti algerini (O.A.S.) affida ad un killer professionista l'incarico di assassinare il generale De Gaulle. Il killer, conosciuto come "lo sciacallo", viene braccato in uno spietato "tour de France" da un ispettore della Sureté. 
Il regista di "Mezzogiorno di fuoco" trascrive abilmente il celebre romanzo di Frederick Forsyth. Da un suo celebre scritto, che ricostruiva l'attentato a De Gaulle del 1963 e le mosse per impedirlo, un autore spesso di successo ma apprezzato dalla critica come Fred Zinnemann trasse un film che in molti reputano tra i migliori thriller mai prodotti. Presentando in parallelo le opposte strategie del killer detto "Sciacallo" e del governo francese , volte entrambe con grandi capacità e spreco di mezzi, con intenti opposti, l'autore di "Mezzogiorno di fuoco" elabora un meccanismo geometrico, di una nitidezza impressionante nello sciorinare movimenti ed iniziative parallele: individuo senza identità propria, lo Sciacallo è uomo di aggressiva sagacia e dalle mille risorse. Una lezione di cinema classico: asciutto e ben attento a valorizzare la suspense della storia e il crescendo delle emozioni. La geometria applicata al thriller in una caccia senza quartiere al killer senza volto. Edward Fox è un ottimo "sciacallo". Con due remake apocrifi: "L'incarico" e "The Jackal".

tres              

IL MIO AMICO GIARDINIERE (Jean Becker)

Locandina Il mio amico giardiniere

















Un film di Jean Becker. Con Daniel Auteuil, Jean-Pierre Darroussin, Fanny Cottencon, Hiam Abbass, Elodie Navarre,  Alexia Barlier
Titolo originale Dialogue avec mon jardinier. Commedia, durata 109 min. - Francia 2007.
Un pittore parigino (Daniel Auteuil) si trasferisce in campagna dove incontra un vecchio amico di scuola (Jean-Pierre Darroussin) che assume come giardiniere. Nascerà un grande affiatamento, fatto di ricordi e discussioni su due visioni opposte del mondo, quella urbana e sofisticata e quella naif del campagnard incolto ma sincero.
Jean Becker, figlio del grande Jacques (autore di Grisbi e Il buco, per intenderci), mette in scena senza pretese una semplice storia di amicizia, fondata quasi esclusivamente sulla bravura dei due splendidi attori, tanto da far pensare che una versione teatrale sarebbe forse stata più efficace. La profondità che Auteuil e Darroussin danno ai personaggi, con una serie di dialoghi dalla verosimiglianza toccante, non riesce però, e purtroppo, a nascondere una filosofia onnipresente e fastidiosa per la sua banalità.Il mio amico giardiniere insiste su una serie di luoghi comuni che i due protagonisti sanno anche rendere divertenti. Senza però arrivare a oscurare il confronto francamente logoro e discutibile tra la campagna delle cose semplici ma vere e una Parigi caricaturale fatta di traffico e vernissage dove si parla giusto per mettersi in mostra. Becker, ignorando volutamente che le descrizioni del mondo ne fanno parte, tenta l'elegia delle cose concrete. Ma la messa in scena non supporta seriamente questa visione e delle meraviglie della provincia non traspare alcunché: la campagna è filmata senza vero impegno e di Parigi si mostra banalmente il traffico in tangenziale. In fondo è proprio questo il problema de Il mio amico giardiniere. Che al quadretto stereotipato della campagna profonda e sincera non sembra crederci nemmeno lo stesso Becker.

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ARANCIA MECCANICA (Stanley Kubrick)

Locandina Arancia meccanica

















Titolo originale A Clockwork Orange. Drammatico,  Gran Bretagna 1971.

Alex è un giovane senza arte né parte, figlio di proletari e dedito a furti, stupri e omicidi. Fa capo a una banda di spostati, denominati drughi. Dopo aver usato violenza alla moglie di uno scrittore finisce in carcere. Viene sottoposto ad angherie ma si fa amico un prete. Pur di essere scarcerato accetta il "trattamento lodovico", che consiste nell'assistere a filmati di violenza. Quando esce scopre che i genitori hanno subaffittato la sua stanza. Senza poter reagire, dovrà subire violenza da alcuni mendicanti vendicativi, dai drughi diventati poliziotti e dallo scrittore che ha perso la moglie e che ora si trova su una sedia a rotelle. Tenta il suicidio e all'ospedale riceve una visita di cortesia da parte del primo ministro. Ambientato nel futuro, ormai alle porte, e tratto da Arancia ad orologeria di Anthony Burgess. Geniale traversata di generi (fantascienza, storico, drammatico, comico, grottesco, orrore), un film che mostra la violenza per esserne un contro-manifesto. Accolto da polemiche e ovazioni al suo apparire, è stato sequestrato per molti anni in Francia, mentre in Gran Bretagna non può essere ancora proposto né al cinema né in videocassetta. L'ambiguità del personaggio era necessaria per mostrare le diverse violenze della medicina, della polizia, della politica e della gente comune. Quando Alex viene guarito, non può gestire le proprie scelte. Diventa docile non per volontà ma per allergia (sente nausea quando cerca di usare violenza, anche se cerca di difendersi). La più grande prova al cinema di Malcolm McDowell che ha ideato alcune scene storiche, tra cui quella dello stupro a tempo di I'm singing in the rain. Le musiche di Beethoven e Rossini rielaborate da Walter Carlos e le immagini grandangolo di John Alcott accrescono l'immersione nell'incubo. Doppiaggio italiano all'altezza dell'originale.

tres              

BLADE RUNNER (Ridley Scott)

Locandina Blade Runner














Un film di Ridley Scott. Con Harrison Ford, Rutger Hauer, Sean Young, Edward James Olmos, M. Emmet Walsh,  Daryl Hannah, William Sanderson, Brion James, Joe Turkel, Joanna Cassidy, James Hong, Morgan Paull, Kevin Thompson, John Edward Allen, Hy Pyke
Fantascienza, Ratings: Kids+16, durata 117 min. - USA 1982

In una Los Angeles piovosa e sovrappopolata, il poliziotto Deckard (Harrison Ford), dell'unità Blade Runner, viene richiamato in servizio. La sua specialità è l'eliminazione di esemplari insubordinati di "replicanti", androidi destinati al lavoro nelle colonie spaziali. Quattro di loro, Roy Batty, Leon, Zora e Pris, hanno raggiunto la Terra per tentare di infiltrarsi nelle industrie che li fabbricano. I replicanti sono identici agli esseri umani, tranne che per la durata limitata della loro esistenza e per l'apparente incapacità di provare sentimenti. Proprio sulla registrazione delle reazioni emotive si basa il test Voigt - Kampff, con cui Deckard indentifica in Rachel (Sean Young), collaboratrice dell'industriale, una replicante sperimentale, inconsapevole della propria vera natura. Deckard si pone sulle tracce di replicanti da "ritirare", eliminando per prima la spogliarellista Zora (Joanna Cassidy). È però Rachel a salvarlo da Leon, mentre Pres (Daryl Hannah) si installa a casa di un ricercatore per convincerlo a portare lei e Batty (Rutger Hauer) dall'industriale. L'incontro non ha esito felice: i due replicanti apprendono che non c'è modo di prolungare la loro esistenza. Deckard li raggiunge nel loro nascondiglio e, "ritirata" Pris, affronta Batty in un duello spietato. Salvato in extremis dal suo stesso avversario un attimo prima che questi muoia, Deckard recupera Rachel e fugge con lei lontano dalla città. Abile fusione di poliziesco e fantascienza, Blade Runner vive un rapporto di simbiosi con Il cacciatore di androidi, romanzo di Philip K. Dick da cui è tratto. Anche se il film risulta più coerente ed equilibrato, alcuni riferimenti sono apprezzabili solo leggendo il libro: i dettagli del test o la descrizione di un mondo in cui le riproduzioni artificiali degli animali, quasi estinti, diventano status symbol. Tuttavia il film descrive perfettamente una società multietnica e tratteggia perfettamente i diversi personaggi, tutti pervasi dall'amarezza tipica dell'opera di Dick: dallo scienziato colpito da invecchiamento precoce che vive in una casa piena di giocattoli, ai replicanti afflitti da angosce esistenziali, dalla fragile e sensuale Rachel alle prese con la propria identità sconosciuta al detective anni Quaranta trasferito nel futuro. Altrettanto efficaci sono gli effetti speciali di Douglas Trumbull e la colonna sonora di Vangelis. Blade Runner divenne rapidamente un cult-movie, cosa che anni dopo permise a Ridley Scott di distribuirne la versione "originale" ( Blade Runner: the Director's Cut). Meno ottimistica nel finale dell'edizione nota al pubblico, essa è priva della narrazione fuori campo del protagonista e della ripresa aerea conclusiva, aggiunta per volontà del produttore, utilizzando ritagli della sequenza iniziale di Shining.

tres                

ME AND YOU AND EVERYONE WE KNOW (Miranda July)

Locandina Me and You and Everyone We Know

















Un film di Miranda July. Con John Hawkes, Miranda July, Miles Thompson, Brandon Ratcliff, Carlie Westerman,  Natasha Slayton, Najarra Townsend, Hector Elias, Tracy Wright, Brad William Henke
Commedia, durata 90 min. - USA, Gran Bretagna 2005. uscita venerdì 9 dicembre 2005.

Caméra d'Or al festival di Cannes, l'opera prima di Miranda July (cognome d'arte estivo ed eccentrico come la sua indossatrice) si presenta come un oggetto non identificato nel panorama cinematografico contemporaneo e fa subito gridare al non senso. Ma è un parere affrettato. Nella vicenda di Christine, giovane artista alla ricerca di un riconoscimento, e delle persone con cui entra in contatto, c'è tutto il senso di un presente in cui i meccanismi della comunicazione sono più che mai "pervertiti", non tanto nei contenuti (il sesso è tutto detto, smitizzato, ridotto a gioco osceno) quanto nei modi.Christine, icona della solitudine nonostante bellezza e gioventù, s'innamora del commesso di un negozio di scarpe e lo bracca senza posa, avida di un contatto umano che non trova altrove. Intanto, i figli dell'uomo, neo-separato, chattano ogni giorno su un sito erotico e il più piccolo dei due - un bambino di 7 anni - finisce per darsi appuntamento in un parco con una matura gallerista, in una sequenza che lascia senza fiato per il mélange di tenerezza e crudeltà.
Surreale e autoironica (lei stessa è un'artista visiva a caccia di riconoscimenti), con Me and You and Everyone we know, Miranda July porta sullo schermo lo stile minimalista e irriverente che aveva già sperimentato in letteratura nei suoi racconti. Con infinito garbo, ma nessuna inibizione, si lancia nel ritratto colorato e spietato del mondo che le sta attorno, sposando la causa degli outsider per definizione: i timidi, i piccoli, i soli, i matti. Incoronata dal Sundance Film Festival, porta con sé qualche traccia della poetica visiva di Todd Solondz, ma non è che una debole eco. Il suo senso del ridicolo è femminile e gioioso, e ciò che rende unica la sua voce è la capacità di stupirsi per le cose del mondo, riuscendo a sua volta stupire anche lo spettatore più refrattario.

tres              

GLI EQUILIBRISTI (Ivano De Matteo)

Locandina Gli equilibristi












Un film di Ivano De Matteo. Con Valerio Mastandrea, Barbora Bobulova, Rosabell Laurenti Sellers, Grazia Schiavo, Antonio Gerardi, Antonella Attili, Stefano Masciolini, Giorgio Gobbi, Francesca Antonelli, Damir Todorovic, Antonio Tallura, Daniele La Leggia, Pierluigi Misasi, Paola Tiziana Cruciani, Lupo De Matteo, Maurizio Casagrande, Rolando Ravello
Drammatico, durata 100 min. - Italia 2012. - Medusa uscita venerdì 14 settembre 2012

Sui titoli di testa un amplesso clandestino, consumato in un archivio praticamente deserto, apre il film e introduce la trama. Per quel tradimento infatti si sfalda la famiglia al centro del racconto. Lui, impiegato del comune con 1.200Euro mensili, si trova a dover mantenere se stesso e la moglie che vive con i due figli. La situazione si fa di mese in mese sempre meno sostenibile e per non intaccare dignità e orgoglio con mancati pagamenti, a rimetterci è la qualità della vita che scende sempre di più fino ai limiti della tolleranza.

Quello che Ivano De Matteo fa compiere al suo protagonista è un viaggio dal benessere piccolo borghese fino alla povertà, intesa non solo come mancanza di denaro ma anche come perdita di umanità. Tutto avviene intorno alla maschera di Valerio Mastandrea, perfetta rappresentazione del tragicomico, attore di straordinario talento per la commedia e sguardo segnato da un'endemica e perenne tristezza. E su questi due registri si muove il film stesso, inizialmente appoggiato all'ironia del personaggio e del paesaggio (composto dall'umanità popolare romana) e con il procedere sempre più rassegnato al tragico. Il tono leggero e la possibilità di sdrammatizzare sono infatti caratteristiche che la storia volontariamente perde sempre di più a mano a mano che scema l'umanità stessa del suo protagonista, come se l'uno si accompagnasse all'altra. Senza far nulla per nasconderlo, Gli equilibristi cerca di costruire il suo percorso di disidratazione economica e umana sul modello aureo di Umberto D., di cui riprende alcuni elementi nel finale e la più generale idea di un personaggio in bilico tra necessità e dignità. De Matteo, che ha anche scritto il film assieme alla moglie Valentina Ferlan, appare tuttavia innamorato della tragicità della propria storia, più che dedito a raccontare un mondo e le sue difficoltà. Lo sguardo su una vita apparentemente tranquilla, in un sistema in cui la dignità pare un diritto e invece è un lusso facilissimo da perdere, sembra quello di un aguzzino più che di un narratore. Come se non bastassero le difficoltà oggettive, il regista aggiunge amarezze soggettive (come l'ambientazione natalizia) e ad infierire sull'impoverimento materiale sceglie inequivocabilmente di accompagnarne uno umano e affettivo ancora più drastico.

tres

THE JACKAL ( Michael Caton-Jones)

Locandina The Jackal

















Un film di Michael Caton-Jones. Con Sidney Poitier, Richard Gere, Bruce Willis, Diane Venora, Mathilda May,  Daniel Dae Kim, Jack Black, J. K. Simmons, Sophie Okonedo
Thriller, durata 124' min. - USA 1997.

Jackal (sciacallo) è il nome in codice di un killer (Willis) assoldato da un capo della mafia russa per assassinare un importante politico statunitense. Chi? In collaborazione con Koslova (Venora) dei servizi segreti di Mosca, il direttore dell'FBI (Poitier) recluta Mulqueen (Gere), ex terrorista dell'IRA in carcere, specialista in travestimenti, che ha i suoi motivi per odiare Jackal. Caccia difficile. La sceneggiatura di Chuck Pfarrer è liberamente ispirata a quella che Kenneth Ross cavò per F. Zinnemann dal romanzo Il giorno dello sciacallo di F. Forsyth, ma, come il film, gli rimane nettamente inferiore, più convenzionale, privo della sua fredda concisione. Si salva, comunque, il grintoso e ironico Willis.AUTORE LETTERARIO: Frederick Forsyth.

tres        

ALLONSANFAN (Paolo Taviani, Vittorio Taviani)

Locandina Allónsanfan

















Un film di Paolo Taviani, Vittorio Taviani. Con Marcello Mastroianni, Lea Massari, Mimsy Farmer, Laura Betti, Claudio CassinelliBenjamin Lev, Renato De Carmine, Stavros Tornes, Biagio Pelligra, Bruno Cirino, Raul Cabrera, Carla Mancini, Cyrille Spiga, Stanko Molnar, Luisa De Santis, Michael Berger, Alderice Casali, Ermanno Taviani, Raul Cabreta
Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 115' min. - Italia 1974.

Siamo all'inizio dell'Ottocento, in piena Restaurazione. Il nobile Fulvio Imbriani, di idee liberali, torna alla casa paterna dove - tra i ricordi dell'infanzia e gli agi della sua famiglia - dimentica l'impegno politico. I vecchi amici, però, si fanno presto rivedere e lo inducono a prendere parte a una spedizione nel Sud che dovrebbe sollevare la popolazione contro il governo borbonico... 
Anticonsolatorio per eccellenza, il cinema dei fratelli Taviani (per lo meno quello del periodo più creativo e problematico del loro percorso artistico cha va dal ’62 ai primissimi anni ’80), poggia quasi sempre (soprattutto nelle opere più riuscite e compiute) su un epos lacerante che costringe prima di tutto lo spettatore a fare una riflessione profonda su ciò che vede rappresentato sullo schermo, poichè la partecipazione commossa agli avvenimenti (comunque sempre di forte presa), non è mai di tipo prettamente emotivo, ma scaturisce e deriva semmai da una inesauribile, tesa e prorompente inquietudine dialettica che determina (anche nel pensiero del pubblico che osserva dalla sala) un rapporto tutt’altro che passivo e stimola di conseguenza un raffronto critico e ragionato con i fatti e con le azioni non solo della storia, ma anche della contemporaneità. La restaurazione monarchica in Francia appare come un'epoca storica sradicata dalla realtà, di fronte alla quale l'umanità, stranita, si frantuma e si disperde nel vento, che la trasporta lontano dal suo passato e dai suoi ricordi. La caduta degli ideali del 1789 – sotto i colpi di spietata una caccia agli uccelli della libertà – induce il protagonista Fulvio Imbriani a ripiegare su un senso primordiale, egoistico e vile di felicità, che si rivelerà, al pari della rivoluzione, foriero di morte e di dolore. I personaggi di questa storia si dibattono nella vanità di un presente che sembra sospeso nel tempo, scollato dalla successione degli eventi, senza valori certi a cui attingere, e senza obiettivi raggiungibili.Come in tutti i film dei Taviani degli anni '70, la metafora storica serve a una riflessione sulla condizione dell'Italia contemporanea. Per l'equilibrio tematico e il rigore formale siamo di fronte a una delle prove più convincenti dei registi toscani. Straordinari gli interpreti.

tres              

ALEKSANDER NEVSKIJ (Sergej M. Ejzenstejn)


Locandina Aleksandr Nevskij












Un film di Sergej M. Ejzenstejn. Con Nicolaj Cerkasov, Nicolaj Ochlopkov, Andrej Abrikosov Titolo originale . Storico, Ratings: Kids+16, b/n durata 111' min. - URSS 1938

Dopo un periodo di assenza piuttosto lungo dietro la macchina da presa, nel 1938 Ejzenštejn gira un film-panegirico sul condottiero Alexandr Nevskij, principe di Novgorod e santo della chiesa ortodossa russa, che fu il capostipite della dinastia dei principi di Mosca e dunque uno degli storici fondatori della “grande patria”. In questo risponde alle direttive del regime sovietico, che pretendeva di sovrapporre la figura semi-leggendaria e santificata di Nevskij a quella di Stalin, celebrare la sua personalità e la sua politica “autarchica” e repressiva e inasprire la propaganda anti-nazista. Ma c'è da chiedersi cosa rende “Alexandr Nevskij” un film immortale nelle immagini, pur essendo propagandista e apparendo a tratti verboso nella sua retorica figurativa epica, che forse risulta anche più accentuata rispetto a un tempo dopo la breve permanenza in America. In tempi di imposta estetica di realismo socialista, che prescriveva un recupero delle tradizioni russe, una lettura tendenziosa delle ricostruzioni storiche e un utilizzo ideologico dei mezzi espressivi ai fini di una pretesa rivoluzione permanente, Ejzenštejn riesce a smarcarsi da questi limiti indotti non rinunciando alla personalissima padronanza del mezzo cinematografico. In questo film deve ancora molto al suo cinema muto: per esempio nel montaggio dialettico, oppure, quando si tratta di primi piani, nella direzione espressiva degli attori (caratterizzati in essenziali dettagli del fisico, delle pose e dei modi) in inquadrature che valorizzano il ruolo di ciascuno in relazione alla posizione che occupano nello scenario. Per sottolineare la “statura” di ciascun personaggio, specialmente per l'eroe protagonista, si scelgono inquadrature orientate dal basso. Il senso di un orizzonte epico è dato dai campi lunghissimi sugli sconfinati paesaggi di una Russia medievale (anzi, primitiva) con cui il film esordisce, quando il principe Nevskij riceve nelle proprie terre l'ambasciata dei Mongoli: le vedute, anch'esse ribassate, lasciano ampio spazio ai cieli sotto cui si estenderà un impero, si combatteranno battaglie e si compiranno gesta eroiche. I Teutoni che avanzano minacciano la città di Novgorod e si arringa la folla davanti alla cattedrale di Novgorod; nella città occupata di Pskov gli invasori appiccano roghi e commettono crudeltà nella piazza affollata, mostrate dal regista con la consueta enfasi ancora legata al fare del cinema muto. Tra le scene più belle, dopo quelle di combattimento che assumono un tono invece un po' faceto, la sequenza della disfatta dei Teutoni sul lago ghiacciato, e le immagini del campo al termine della battaglia. I carrelli che mostrano i caduti e i feriti, i sopravvissuti che apprendono della vittoria soccorsi dalle donne: un altro ottimo esempio di retorica (oppure, per chi preferisce, di “potenza”) delle immagini, sulle note commeventi di Prokofiev. E con il sonoro Ejzenštejn non poteva trovare collaboratore migliore, perché le immagini trovano il corrispettivo commento nella colonna sonora magniloquente, caratteristica che è il merito di un grande orchestratore. Il musicista si misura con la composizione delle musiche per la pellicola, mentre il regista sperimenta le nuove frontiere del sonoro.

tres              

L'ASSASSINO ABITA AL 21 (Henri-Georges Clouzot)



Un film di Henri-Georges Clouzot. Con Jean Tissier, Pierre Fresnay, Suzy Delair Titolo originale L'assassin habite au 21. Giallo, b/n durata 84' min. - Francia 1942

A Parigi vengono commessi degli omicidi tutti “firmati” da un misterioso Monsieur Durand. Il commissario Wens, che si è messo sulle tracce dell’assassino, arriva alla pensione delle Mimose al numero 21 di Avenue Junot, a Montmartre. Qui, tra la variegata fauna degli inquilini, si nasconde l’omicida. 
Primo film lungo di Clouzot, con un brillantisssimo cast di attori e comprimari. Dietro l’indagine poliziesca si nasconde una chiara allusione alla lotta antinazista in Francia. Clouzot è anche sceneggiatore insieme all’autore del romanzo di partenza, Stanislas-André Steeman. L'opera si alterna fra commedia e giallo, ma è il genere poliziesco quello che abbraccia tutti i momenti salienti. Alla capacità di creare un'atmosfera e all'intelligenza dei particolari Clouzot aggiunge un uso sapiente della suspense e una efficace direzione degli attori. Spesso, ma forse non sempre, nel cinema di Clouzot c'è uno sguardo molto disilluso sull'umanità in genere e forse di più sui francesi, o sulla provincia francese, pettegola e pronta a giudicare gli altri. C'è spesso anche un gioco di finzione, un gusto per la boutade grottesca o cinica, che conclude i suoi film con un riso verde che rivela il gioco di invenzione. Questa infatti è sempre al centro dell'interesse, come è pur ovvio che sia per ogni artista, ma non in tutti con la stessa evidenza: Clouzot è molto bravo e non cerca di nasconderlo… Dopo La verità muore sua moglie Vera, lui soffre di depressione, poi ha un infarto e gli dicono che non potrà più filmare…In "L'Assassino Abita Al 21" c'è già tutta la crudele ambiguità dei personaggi che contraddistinguerà i suoi film. C'è poi da notare che Quentin Tarantino nel 2009, nel film Bastardi Senza Gloria, citerà questo film, facendo mettere nel cinema francese di Shoshanna Dreyfus la locandina.
Kapu

MONA LISA (Neil Jordan)

Locandina Mona Lisa

















Un film di Neil Jordan. Con Michael Caine, Bob Hoskins, Cathy Tyson, Robbie Coltrane, Kenny Baker, Paulen Martin, Perry Fenwick, Sammi Davis, Zoe Nathenson, Clarke Peters, Bryan Coleman, Zoot Money, Richard Strange, Raad Rawi, Kate Hardie, Rod Bedall, Joe Brown, Pauline Melville, Dawn Archibald, David Halliwell, Hossein Karimbeik, John Darling, Donna Cannon, Mandy Winch, Maggie O'Neill, Robert Doming, Jeremy Hardy, Alan Talbot, Stephen Persaud, Gary Cady, Bill Moore
Drammatico, durata 104' min. - Gran Bretagna 1986

Autista di una bella prostituta d'alto bordo ne diventa il cavalier servente.
Uscito di galera, George si deve arrangiare per vivere. L'amico Diny gli offre un lavoro come autista di Simone, una splendida prostituta di colore di cui finisce per entrare in simpatia. Lei gli chiede di rintracciare una ragazza quindicenne, Cathy, di cui non sa più nulla; George per compiere la missione rischia la vita. Si ritrova solo, ma contento per aver ritrovato l'affetto della figlia.
Un altra storia d'amore che non è regolare, o almeno che prenderà una piega inaspettata: per Neil Jordan le passioni sono manifestazioni di anime tormentate in cerca di appigli per sopravvivere, disperati tentativi di trovare un senso alle cose, di soffrire meno le asperità di vite allo sbando. Come per "La moglie del soldato", "Intervista col vampiro", anche in "Mona Lisa" l'antieroe Bob Hoskins, pedone della scacchiera della malavita, si ritrova a confronto con un pezzo da 90 come Michael Caine e si innamora perdutamente della bellissima prostituta nera Cathy Tyson, riesce a portare al termine il compito che si è assunto, ma in fondo alla storia conoscerà una verità amara e impossibile da ribaltare. Recitato con classe( per Hoskins candidatura all'Oscar), scritto con esaltatori di sapidità da letteratura hard boiled, "Mona Lisa" è uno dei più bei noir girati in Europa, in un periodo in cui il cinema inglese aveva ripreso vita dopo anni incerti. Piccola "leggenda" del rione da cui è emerso, il gangster di mezza tacca trova il suo giorno di gloria proprio quando conoscerà la più sonora sconfitta sentimentale: il resto dei suoi giorni saranno in gran parte rimpianto. Il meglio di Neil Jordan ("In compagnia dei lupi"), che firma anche la sceneggiatura insieme a David Leland ("Vorrei che tu fossi qui"). L'ambiguità del noir classico al servizio di un'immagine diversa della Gran Bretagna anni Ottanta. Grande prova di Bob Hoskins. Se non lo si è visto, da recuperare.

tres              

LA MOGLIE DEL SOLDATO (Neil Jordan)

Locandina La moglie del soldato












Un film di Neil Jordan. Con Forest Whitaker, Stephen Rea, Miranda Richardson, Jaye Davidson.
Titolo originale The Crying Game. Drammatico, durata 112 min. - Gran Bretagna 1992.  

In Irlanda un militare inglese di colore viene rapito da un gruppo appartenente all'Ira. Durante la sua prigionia l'uomo diventa amico di uno dei rapitori, Fergus. Ma il prigioniero deve essere ucciso e il compito è affidato proprio al nuovo amico, che a tale scopo lo conduce nel bosco. Titubante, si fa sfuggire il prigioniero che finisce sotto la ruota di un camion militare, Fergus riesce a fuggire e raggiunge la ragazza di cui il soldato gli parlava: Dil. L'uomo si innamora, ricambiato, della ragazza. Qualcosa di inaspettato muta il suo atteggiamento nei confronti della donna. Viene nel frattempo raggiunto dai suoi compagni che gli impongono di uccidere un uomo. Ma Dil gli impedisce di portare a termine il compito. Malgrado gli eventi abbiano preso una tragica scorciatoia, il finale è in qualche modo consolatorio, con un tocco d'ironia che suggella la qualità di tutto il film. Inconsueto, struggente, avvincente, sono gli aggettivi che il film suggerisce al primo impatto. Ma soprattutto è la felicità del racconto, l'aspetto più coinvolgente. Una vicenda rapinosa che si muove in perfetta geometria su tre direttrici: ad una prima parte veloce, con avventimenti che sembrano chiudere anticipatamente il film, fa riscontro la storia d'amore tra Fergus e Dil, così diversa, innocente e che sembra concludere il film.

tres          

FINALMENTE DOMENICA! (François Truffaut)

Locandina Finalmente domenica!














Un film di François Truffaut. Con Jean-Louis Trintignant, Fanny Ardant, Philippe Lauden, Jean-Pierre Kalfon, Nicole Felix, Philippe Laudenback, Philippe Morier-Genoud, Jean-Louis Richard, Pascale Pellegrin, Carolina Sihol, Xavier Saint-Macary, Anik Belaubre, Georges Koulouris, Rolend Thénot, Pierre Gare, Caroline Sihol, Jean-Pierre Kohut-Svelko, Yan Dedet, Philippe Laudenbach
Titolo originale Vivement dimanche !. Giallo, b/n durata 110' min. - Francia 1983.

Mentre sta partecipando a una battuta di caccia in una palude, Claude viene ucciso da un colpo di fucile. La polizia sospetta di Julien, proprietario di un agenzia immobiliare che si trovava nella palude al momento dell'assassinio. Passa qualche giorno e anche la moglie di Claude viene trovata morta. Julien viene fatto oggetto di telefonate anonime che si fanno sempre più minacciose e che lo costringono a rifugiarsi nel suo ufficio. A toglierlo dall'angoscia ci si mette la sua segretaria che comincia le indagini... 
E', insieme alla Sposa in nero, il film più apertamente 'hitchcockiano' della carriera del registra - e discepolo - francese. Una catena di misteriosi omicidi, un indiziato che 'puzza' di innocenza, una scaltra segretaria che arriva dove il commissario di polizia fallisce: gli elementi per un buon noir ad alta tensione ci sono tutti, si aggiunga inoltre l'utilizzo del bianco e nero che rende ancora più fascinosa l'atmosfera del film. Truffaut purtroppo ci lascia qui: se ne va - prematuramente, ma con un'impressionante serie di successi, capolavori e bei film alle spalle - con un lavoro discreto, con tanti rimandi alla sua precedente opera (dall'omicidio alla storia d'amore, i luoghi comuni del suo cinema non mancano nemmeno in Finalmente Domenica). Lascia un'eredità di svariati progetti, fra i quali La piccola ladra, che verrà realizzato qualche anno dopo dall'amico e collaboratore Claude Miller. Finalmente domenica è anche la seconda occasione per la nuova compagna del regista di mostrarsi attrice dotata ed eclettica; dal ruolo romantico, passionale della Signora della porta accanto a questa simpatica ed intrigante segretaria, con accanto un ottimo Trintignant. Ultimo film di Truffaut che recupera cadenze e temi giallorosa di matrice hollywoodiana con il suo tocco sopraffino.

tres              

FINE DI UNA STORIA (Neil Jordan)

Locandina Fine di una storia












Un film di Neil Jordan. Con Stephen Rea, Ralph Fiennes, Ian Hart, Julianne Moore, Jason Isaacs Titolo originale The End of the Affair. Drammatico, durata 105 min. - Gran Bretagna 1999.

Gran Bretagna, Seconda guerra mondiale. Il romanziere Maurice e Sarah, moglie infelice di Henry, si amano con abbandono, mentre Londra si sgretola. Lo scrittore chiede ossessivamente alla donna di non essere lasciato, di essere amato anche ogni domani della sua vita. Ma un rivale inatteso, Dio, la allontanerà, a causa di un voto... 
Neil Joran è indiscutibilmente competente nel mettere in scena delle trame struggenti ed appassionate. Ha un suo stile personale nel romanzare con una certa sensualità dei registri melodrammatici espressamente tragici ed impetuosi. Nella mani di Neil Jordan un racconto che poteva risultare accademico e già visto si trasforma in qualcosa d'altro. Melodramma e storia d'amore vengono raccontati attraverso un abile struttura da noir, in cui la vicenda viene vista (un po' alla "Rashomon") da diversi punti di vista, per parlare poi, senza eccessive ridondanze, dell'ossessione religiosa, e del conflitto tra laicità, dolore e cattolicesimo, alla base del romanzo a cui è ispirato il film. Una pellicola nient'affatto banale, appassionata, che merita una visione. Tratto da uno dei capolavori di Graham Greene, "La fine dell'avventura", interpretato da un cast magnifico e perfetto in tutti i ruoli, un melodramma emozionante e densissimo. Impossibilità amorosa, infelicità esistenziale, filosofia morale e tormento religioso sono alcuni dei fantasmi messi in scena da Neil Jordan con uno stile impeccabile.

tres

EXOTICA (Atom Egoyan)

Locandina Exotica

















Un film di Atom Egoyan. Con Mia Kirshner, Bruce Greenwood, Don McKeller, Elias Koteas, Victor Garber Drammatico, durata 104' min. - Canada 1995.

Exotica, un "peep show" dove si può guardare ma non toccare, è diretto da Zoe, incinta di Eric, che fa il dj. Vi si esibisce Christina, che si spoglia a beneficio di Francis, un ispettore del fisco che ha perso moglie e figlia. Una sera, convinto da Eric, Francis tocca Christine e viene espulso dal "peep show". Poi c'è Thomas, che commercia illegalmente in animali. Si sfiora la tragedia, emergono dolorose verità. 
Atom Egoyan, armeno-egiziano-canadese è senz'altro un regista molto dotato di duttilità della macchina da presa, di interesse per la recitazione accurata ma mai sopra le righe, di un'ossessione continua e lacerante per la visione. Nel suo universo, chiuso e coercitivo, che a volte si dipana nel ricordo (sede dell'apertura mentale e spaziale) tutto ciò ha però il valore della solitudine, ineluttabile e destinata allo sbandamento, salvo forse trovare, un personaggio nell'altro, una sorta di appiglio. ma quanto è reale esso? Un mosaico di montaggio interessante, personaggi intriganti, forse serviti da una freddezza che a tratti sembra gelare. Andatura lenta, narrazione ipnotica, trama lambiccata, regia allusiva, tematiche complesse, fascino figurativo: un piccolo "classico" di fine millennio, memore della lezione di Lynch nell'affastellare personaggi surreali in una costruzione polifonica e rapsodica, dove i nodi vengono al pettine solo alla fine, lasciando comunque nello spettatore un che di ambiguo ed irrisolto. Dietro lo specchio di un film morboso e amorale, scorre una sincera vena di dolore, pietas e umanita'. La rielaborazione del lutto (tema cardine della filmografia di Egoyan) si dipana attraverso una vicenda dal taglio psicanalitico, che ha come perno la tematica del desiderio inappagato. Un film irrisolto ma affascinante; un film a strati, di quelli che richiedono allo spettatore un certo sforzo per arrivare ad un nocciolo che spesso si rivela di una semplicita' genuina e disarmante. Personaggi stravaganti, atmosfere morbose, narrazione antilineare. Uno dei film più affascinanti di Egoyan.

tres

LUNA PAPA (Bakhtiar Khudojnazarov)



Un film di Bakhtiar Khudojnazarov. Con Chulpan Khamatova, Moritz Bleibtreu, Merab Ninidze, Ato Mukhamedshanov Commedia, durata 106 min. - Russia, Germania, Australia 1999

In un piccolo villaggio dell'Asia centrale vive l'eccentrica famiglia Bekmouradova composta da Mamlakat, da suo padre Safar e da suo fratello Nasreddin, psicologicamente turbato dalla guerra in Afganistan. Mamlakat che sogna di diventare un'attrice ed è un'assidua frequentatrice del teatro locale viene sedotta da un tizio che le racconta di essere un attore. La mattina seguente Mamlakat si accorge di essere incinta e si reca in città per abortire. Ma nel corso dell'operazione il medico muore. Quando Mamlakat confessa a Safar di aspettare un bambino, questi si mette in viaggio alla ricerca del padre. Il trio, Mamlakat, Safar e Nasreddin, batte a tappeto tutti i teatri della zona e si imbatte in una serie di avventure stravaganti. Nel frattempo la pancia della ragazza comncia a gonfiarsi...
La poesia incolta e polverosa dell’est riempie le desolate lande tagike di un primitivo gusto della trovata scenica, della caricatura, della commedia contadina. Lo stile di Khudojnazarov è intriso di un lirismo selvatico e luccicante di incongruità, come uno spettacolo circense in cui abbondano le belve e i clown, però mancano gli acrobati. L’equilibrio appare infatti perennemente incrinato, come per assecondare i contorni irregolari di una bellezza naturale, priva di levigature, ed eternamente incline a lasciarsi cadere, a scivolare nell’errore, a precipitare nella trappole dell’ingenuità. I percorsi della fantasia seguono sempre le traiettorie oblique dei quadri di Chagall, in cui il volo e la danza sono movimenti disarticolati, in bilico sui profili accidentati della prospettiva, ed indecisi sulla direzione da prendere. Dall’arte di Kusturica, a cui è fin troppo facile accostare quella di Khudojnazarov, quest’ultimo riprende il piglio zingaresco, che attraversa l’esistenza a bordo di uno sgangherato carrozzone, perché solo così è possibile rischiare, andare all’avventura, perpetuando il proprio destino di poveri diavoli, inquieti, imprevidenti, ruspanti e splendidamente imperfetti. Luna Papa è l’elegia popolare che canta la vita come un miracolo pieno di zone d’ombra, di risvolti sinistri e misteriosi: un prodigio impregnato di un male onnipresente che è, esso stesso, parte della complessiva, dolorosa magia dell’esistenza.
Kapu

LANCILLOTTO E GINEVRA (Robert Bresson)



Un film di Robert Bresson. Con Luc Simon, Laura Duke, Humbert Balsam Titolo originale Lancelot du Lac. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 85' min. - Francia 1974

Dopo due anni di ricerche del Santo Graal, costati molte vittime, Lancillotto del Lago, il più valoroso dei Cavalieri della Tavola Rotonda, e i suoi compagni tornato sconfitti alla Corte di Re Artù. Convinto che il falimento dell'impresa sia un castigo divino, per la sua relazione con Ginevra, moglie di Re Artù, Lancillotto tenta di spezzare quel legame. Costretti all'ozio forzato i Cavalieri si abbandonano a rivalità e inimicizie. Uno di loro Mordred ostile a Lancillotto rivela al re il segreto del suo ex compagno d'armi. 
Bresson sceglie la strada del verismo stilistico che da sempre lo contraddistingue: quasi a voler sottolineare la pochezza di contenuti culturali in tempi così non civilizzati, riduce i dialoghi ai minimi termini, descrive il rapporto fra i due amanti in maniera molto casta scartando a priori la passione, dipinge Ginevra come una santa innamorata,desiderata da tutti i cavalieri che osservano bramosi la finestra della torre dove si è rifugiata, incolonna nella banda sonora clangori di corazze e scalpitii di cavalli, suoni di cornamuse e rintocchi di frecce scoccate, unici veri rumori di un tempo così lontano dall’ossessivo baccano del nostro quotidiano vivere, rinuncia anche ad una recitazione teatrale e romanzata tanto che quella degli attori del film è una non recitazione voluta al fine di sottolineare una volta di più la staticità e l’assoluta incomunicabilità di un epoca così remota. Lancillotto è l’assoluto protagonista della storia nella storia, e le bellissime inquadrature sghembe come quelle che catturano solo una porzione di immagine sanciscono il suo eroismo nella giostra dove disarciona tutti senza fare un commento e poi ferito si rifugia nella foresta per ricevere le cure in un’altra sequenza di assoluto verismo ed improvviso romanticismo nei confronti suoi per chi lo ha protetto e curato, la scelta anche in questo caso di costumi, oggetti (la bacinella per il sangue), vessilli e armi che sembrano presi in prestito da un museo di storia medievale accentuano ancora di più la trasparenza del film, senza contare le location castellane e forestali che si osservano nel corso della storia. l film di Bresson è una severa metafora sull'infelicità dell'uomo che per colpa dei peccati ha finito per perdere la grazia.
Kapu

FALSE VERITA' (Atom Egoyan)

Locandina False verità

















Un film di Atom Egoyan. Con Kevin Bacon, Colin Firth, Alison Lohman, Rachel Blanchard,
Sonja bennet
Titolo originale Where the Thuth Lies. Drammatico, durata 107 min. - Canada 2005.

1959. Lanny Morris e Vince Collins sono i due entertainer più famosi degli Stati Uniti. Conduttori inarrivabili riescono a gestire una Maratona Telethon che ottiene esiti che vanno al di là delle più rosee speranze. Una donna trovata morta in una cassa a loro destinata separa le loro carriere. I due hanno un alibi ma no riusciranno più a lavorare insieme. Quindici anni dopo una giornalista rampante riesce a strappare un contratto favoloso con un editore a patto di riuscire a riaprire il caso. Avvierà così un'indagine che la porterà a scoprire diverse facce della verità...anche su se stessa. Atom Egoyan, dopo il parziale 'detour' di Ararat, torna ai suoi temi preferiti: l'ambiguità della vita, la ricerca della verità sin dall'inizio votata al fallimento, il tentare di rimuovere, sapendo già di non riuscirci, le apparenze di cui gli esseri umani si rivestono per non scoprirsi (nella sua visione) desolatamente 'nudi'. Cosa di meglio allora del mondo dello spettacolo con i suoi lustrini e con i suoi doppifondi dell'anima? Intrigante sin dal titolo ('lie' sta per 'mentire' e 'giacere' quindi il titolo può essere letto sia come "Dove si trova (giace) la verità" oppure "Dove la verità mente") con questo film il regista di Exotica e di Il dolce domani riaffronta le proprie (ormai quasi ossessive) domande sull'esistenza. Lo fa con uno stile che è ormai talmente personale da affascinare anche quando, come in questo caso, una parte della 'possibile' verità diviene prevedibile attorno a metà film.

tres              

IL VIAGGIO DI FELICIA (Atom Egoyan)

Locandina Il viaggio di Felicia

















Un film di Atom Egoyan. Con Bob Hoskins, Peter McDonald, Elaine Cassidy, Arsinée Khanjian Titolo originale Felicia's Journey. Drammatico, durata 115 min. - Gran Bretagna, Canada 1999.

In una grande casa di Birmingham, Joseph, corpulento scapolo, sta seguendo la videocassetta di un vecchio programma di cucina. Passo dopo passo Joseph esegue la ricetta e poi si siede a mangiare. Sul traghetto dall'Irlanda arriva una ragazza che viaggia portando con sé soltanto il suo zainetto. Felicia sta cercando Johnny, il ragazzo di cui è innamorata, emigrato in Inghilterra per fare l'operaio, così pensa lei. Alla fine della sua giornata di lavoro, uscendo dal parcheggio, Joseph adocchia la ragazza e le dà qualche indicazione su dove possa trovare il fidanzato. 
Una storia di madri e di figli, di padri e di figlie. Una storia silenziosa e, talvolta, raccapricciante, nella quale due personaggi, ugualmente solitari e in qualche maniera “diversi”, si incontrano per lo spazio di un incubo. Le citazioni hitchcockiane non sono casuali: è Atom Egoyan che le dissemina apertamente in un film di ambiguità sottile e tormentata, costruito con meticoloso dolore. “Il viaggio di Felicia” non è un urlo straziato come “Il dolce domani”, ma un singhiozzo costante e soffocato, un viaggio nell’infelicità repressa, nel passato che non muore. e’ un’opera ammirevole per la sobrieta’ con cui tratta un nucleo tematico complesso che comprende temi come la devianza, l’aborto, la sofferenza, il bisogno di conforto reciproco, il miraggio di un sollievo catartico. Risvolti psicologici, religiosi, morali e sociali si incorporano in una sofisticata (mai artificiosa, geniale nella parte centrale del film) struttura narrativa. Un immenso Bob Hoskins rende al meglio l’ambiguita’, lo strazio e l’umanita’ del suo indimenticabile personaggio. Pur sotto il velo di un immaginario morboso e malato, quello di Egoyan e’ un cinema della sofferenza, del dolore, ma anche della speranza. Un cinema mai immediato, qualche volta astruso e irrisolto, ma non in questo caso: “Il viaggio di Felicia” e’ uno di quei film che restano.

tres  

AL DI LA' DEL BENE E DEL MALE (Liliana Cavani)



Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 130' min. - Italia 1977

Una donna e due uomini tentano la costruzione di un triangolo sentimentale nella Roma di fine Ottocento. Ma i lati congiunti presto si separano in rette schizzate: uno diventa omosessuale, l'altro impazzisce, e la donna ­ vero motore della storia ­ si ri fa una verginità protofemminista. 
Checché se ne pensi, uno dei risultati più dignitosi del percorso artistico della sopravvalutata Liliana Cavani, regista più importante come regista donna all’interno di un cinema maschile come quello italiano che in quanto regista (così pure Lina Wertmuller). Argomento tostissimo e non esente da cadute di stile, il triangolo sadico-amoroso tra Friedrich Nietzsche (Erland Josephson di maniera), Paul Rée (Robert Powell con gli occhi strabuzzati del Gesù di Zeffirelli) e Lou von Salomé (Dominique Sanda agli ultimi fuochi della sua stagione di gloria) viene raccontato come se fosse un mèlo crepuscolare colto nel contesto del tramonto dell’occidente ottocentesco, una sorta di storia di fantasmi maledetti sulla scia non soltanto del pensiero filosofico del pezzo grosso del trio (quel Nietzsche che affermò la morte di Dio e mandò all’aria un sistema di credenza fino ad allora indiscutibile) ma anche delle atmosfere di fine impero e di fine epoca che avvolgono l’intero film, decadente quanto basta per affascinare con elegante morbosità. Puntellato da sequenze oniriche (sebbene, ad essere sinceri, il balletto inquietante dia l’idea di allungare il brodo) che si affastellano specialmente nella seconda parte, quando il limite tra realtà ed immaginario decade in nome dell’insana follia che in un modo o nell’altro tocca tutti i vertici del triangolo. Estetismo esasperato, viscontismi di seconda mano qua e là, reparto tecnico di gran lusso con la splendida fotografia di Armando Nannuzzi e il montaggio di Franco Arcalli (anche sceneggiatore con Italo Moscati e la Cavani, questi ultimi due già artefici del Portiere di notte) in primis, Virna Lisi (l’isterica e repressa sorella di Nietzsche) mastodontica.

tres

IL CORVO (Henri-Georges Clouzot)



Un film di Henri-Georges Clouzot. Con Pierre Fresnay, Pierre Larquey, Ginette Leclerc Titolo originale Le corbeau. Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 100' min. - Francia 1943

Una serie di lettere anonime sconvolge la tranquilla vita di un paesino della Francia.
Un paesino della provincia francese viene sconvolto da una serie di lettere anonime che colpiscono uno stimato professionista. Si tratta del dottor Germain che viene accusato d'essere l'amante di Laura, la moglie del dottor Vorzet. Poi tutti si sentono chiamati in causa, mentre l'inchiesta langue. 
"Lei è ineffabile.Crede ancora che un individuo sia tutto buono o tutto cattivo.Crede ancora che il bene sia ammantato di luce e che il male si nasconda nell'ombra.Ma dov'è l'ombra e dov'è la luce?Dov'è la frontiera del male?E dov'è lei?Al di qua o al di là di quel confine?" A passi lenti, con grande attenzione ai dettagli e alle atmosfere, Clouzot realizza uno dei capolavori del cinema francese. Noir immortale di Clouzot, girato durante il dominio nazista in Francia, ancora oggi invalicabile nelle eccezionali tecniche di regia, ma anche un aspro ritratto di una società di quel tempo falsamente perbenista, corrotta, crudele e viziata. L'ambiguità tra il bene ed il male viene orchestrata con un gioco di luci ed ombre avvenente ed agghiacciante, in primis nella parte in cui il machiavellico raffronto tra i due concetti sarà spiegato dal dottor Verzet in una delle più inquietanti scene chiave (il pauroso dialogo con il lampadario in movimento, poi imitato in altri film d'indirizzo horror/thriller). La parvenza dalle connotazioni del classico giallo, viene sostenuta da una sceneggiatura dai contrassegni volutamente cinici e paranoici, caratteristiche in grado di rispecchiare egregiamente il turbolento animo francese pochi anni prima che ebbe luogo laLiberazione di Parigi in seguito alla battaglia contro le armate naziste. Un altro degli aspetti più scioccanti è che durante l'estensione della trama, che gira attorno alle lettere anonime di un calunniatore che si firma, ovviamente, con l'appellativo "Le Corbeau", il regista non risparmia proprio nessuno, tanto che il sospetto dell'identità del possibibile diffamatore cadrà sull'intera collettività, fino ad arrivare ad un epilogo in cui la scoperta di questo losco individuo che ricatta la gente lascerà molti dubbi su chi sia veramente (okay, diciamo che lo spettatore si farà una vaga idea, ma rimarrà comunque un margine di incertezza). Un vero capolavoro del vecchio cinema europeo.Il film venne vietato per due anni dopo la Liberazione, mentre regista e sceneggiatore furono sospesi per ben sei mesi. Dallo stesso soggetto Otto Preminger trasse "La penna rossa".
Kapu

IL CAMERAMEN E L'ASSASSINO (Rémy Belvaux)



Un film di Rémy Belvaux, André Bonzel, Benoit Poelvoorde. Con Benoît Poelvoorde, Jacqueline Poelvoorde Pappaert, Nelly Pappaert, Jean-Marc Chenut Titolo originale C'est arrivé près de chez vous.Drammatico, durata 95' min. - Belgio 1992

Un serial killer e la troupe cinematografica che lo segue in diretta diventano complici di una serie di omicidi crudeli ed assurdi, vissuti come bravate, che all’inizio fanno sensazione, ma poi col tempo creano assuefazione, diventando poco più che una fastidiosa routine. Alla fine, a tenere vivo lo spettacolo, ormai scontato e ripetitivo, sono soltanto i fiumi di parole che il protagonista riversa sulle immagini, raccontando di sé, delle proprie gesta, delle proprie emozioni, anticipando l’eloquenza trash dei reality e dei talk show. 
“Questo non è un film sulla violenza. È un film sull’arte di fare cinema. E il protagonista non è un assassino. È uno a cui piace parlare davanti alla telecamera.” Con questa efficace sintesi, Rémy Belvaux, in un’intervista, commentava, insieme ai suoi amici André Bonzel e Benoît Poelvoorde, l’opera che avevano appena finito di girare: una pellicola autofinanziata, a bassissimo costo, realizzata da tre studenti di cinema come una provocatoria sperimentazione sul campo di quanto avevano imparato in un corso sul documentario. È così, un po’ per scherzo, che il politicamente scorretto diventa una cinica storia in cui si uccide per divertimento, per distrazione, per abitudine, per fare scena, per vincere la noia. D’altronde, nella moderna società dei mass media, ciò che meno conta sono i fatti: l’occhio dello spettatore vuole sì vedere, ma non importa cosa, e ciò che accade è, di per sé, un dato anonimo, perché la verità è una questione di interpretazione, il bene il risultato di un abbellimento retorico, il male la conseguenza della denigrazione, la gioia il prodotto di una battuta che gira il tutto in burla. Questo film rappresenta magistralmente il clamoroso paradosso su cui si fondano le odierne politiche della comunicazione, che prescrivono di mostrare tutto, e tutto camuffare, sovrapponendo all’orrido ghigno del mostro il grottesco belletto di un clown che sorride. Il film, premiato dalla critica al festival di Cannes, suscitò, però, molte polemiche per la sua crudezza; fu sottoposto ai tagli della censura e la sua distribuzione venne ostacolata. A metterlo in ombra contribuì anche la contemporanea uscita di altre due opere altrettanto “forti”, quali Le iene di Quentin Tarantino e Benny’s Video di Michael Haneke. Oggi nessuno parla più de “Il cameraman e l’assassino”, che corrisponde perfettamente al cliché del film “maledetto”: è stato il primo e unico film di Rémy Belvaux, che abbandonò il cinema subito dopo averlo terminato, e morì suicida all’età di 39 anni.
Kapu

IL DIARIO DI UNA CAMERIERA (Luis Buñuel)



Un film di Luis Buñuel. Con Michel Piccoli, Jeanne Moreau, Georges Géret, Bernard Musson, Daniel Ivernel, Françoise Lugagne, Muni, Jean Ozenne
Titolo originale Le journal d'une femme de chambre. Drammatico, b/n durata 97' min. - Francia, Italia 1964

Prima metà degli anni '20. La parigina Célestine trova lavoro come cameriera presso una ricca famiglia di provincia. È costretta a fronteggiare le avances del fetiscista padrone di casa, tra l'altro scopre che il giardiniere Monteil è un maniaco che uccide bambine. L'ascesa sociale della donna si compie quando riesce a sposare un ufficiale rimbambito. 
"Un domestico non è un essere normale. Non è neppure un essere sociale... È un miscuglio, un'accozzaglia di lembi e frammenti che non legano tra loro, che non si adattano l'uno all'altro... Peggio: è un mostruoso ibrido umano... Non è più del popolo, da cui esce; non è ancora della borghesia, in cui vive e a cui tende... Del popolo che ha rinnegato, ha perduto il sangue generoso e l'ingenua forza... Della borghesia ha assunto i vizi vergognosi, senz'avere acquistato i mezzi per soddisfarli". Questa frase è tratta dal romanzo Le Journal d'une femme de chambre (Il diario di una cameriera)di Octave Mirbeau pubblicato a Parigi proprio nell'anno 1900. Da questo romanzo Bunuel assieme allo sceneggiatore Jean-Claude Carriere (alla loro prima collaborazione), prendono spunto per trasferire le vicende narrate, nella Francia degli anni 30. Luis Buñuel, ci offre un caustico ritratto della provincia francese che, dietro una parvenza di rispettabilità, nasconde torbide ossessioni. Biopsia di una borghesia in nero. Incisione a freddo della carne morta di una obsoleta e sterile borghesia classista e viziosa dove nessuno si salva. Sotto l’aura di benestante perbenismo le malattie vere o presunte, vizi palesati o nascosti, desideri soffocati frantumano gli animi umani, ne tritano il già affettato linguaggio sempre ostile e minaccioso. Oggetti di un valore relativo ingombrano la vita di questi personaggi e ne sanciscono la povertà d’animo delegati come sono a sublimare la grandezza perduta dell’uomo in una sorta di blasfema transustanziazione.
Kapu

FURYO (Nagisa Oshima)



Titolo originale Senjo No Merry Christmas. Drammatico, durata 122' min. - Gran Bretagna 1983

L'arrivo di un prigioniero inglese scuote le certezze del comandante di un lager nipponico.
Giava, 1942: il maggiore britannico Jack Celliers giunge al campo di prigionia giapponese comandato dal giovane capitano Yonoi. Questi, che crede fermamente nei principi della disciplina, dell'onore e della gloria, considera i detenuti nemici dei codardi che hanno preferito la resa al suicidio: poco a poco, fra i due ufficiali si instaura una complessa relazione, venata di attrazione sessuale... 
Oshima e Paul Mayersberg estraggono un racconto in bilico fra dinamiche omoerotiche e incontro/scontro fra culture. Monumentale affresco di antimilitarismo, e di psicoanalisi bellica fra culture opposte in scontro fisico e psicologico. In questa pellicola si ha un graduale incontro fra cuori lontani, che pian piano si avvicinano, comprendendosi a vicenda, trovando vocazione nell'amicizia e nella fratellanza, e scoprendo cosa è giusto, cosa è sbagliato, cosa trapassato e qual'è l'avvenire.Gran bel film, questo di Nagisa Oshima, che riesce a centrare bersagli diversi e di una certa rilevanza affrontando principalmente le ingiustizie che la guerra si porta da sempre dietro, ma con a supporto i contrasti tra due culture completamente diverse e una sottile e fascinosa pulsione omosessuale (gestita davvero con gran cura e sensibilità). Ma principalmente si tratta di un’opera contro la guerra, in cui la ferocia e l’ingiustizia sono caratteri dominanti e dove tutti gli uomini alla fine sono uguali, come dimostra la condanna finale inflitta al sergente Hara (Takeshi Kitano), a conflitto ormai terminato (commovente e sincero l’incontro con Lawrence). Oshima gestisce il racconto con classe, intelligenza e sensibilità le tematiche affrontate, molto attento ai dettagli e bravo anche quando devia scavando nei ricordi di Jack (ma anche lì si parla di ingiustizie e rapporti sociali), mentre il momento topico rimane il doppio bacio tra Bowie e Sakamoto (a proposito, ottimo il suo tema musicale). Film densissimo di significati, pieno di suggestioni, di rimandi, di intuizioni e di riflessioni profonde. Straordinario Kitano nei panni del sergente Hara.
Kapu

BETTY (Claude Chabrol)




Betty, adultera impenitente e alcolizzata, viene cacciata dalla famiglia. Finirebbe allo sbando se non fosse per Laure, una donna più anziana di lei con tendenze filantropiche. Troppo filantropiche, al punto che Betty finisce con il trasformarsi in una vera e propria sciagura per la mite Laure. 
Il fulcro del romanzo di Simenon da cui Chabrol (anche sceneggiatore) trae questo film risiede tutto nel complicato rapporto Laure-Betty, approfondito sul piano psicologico in maniera mirabile. Molto più che un semplice rapporto fra vittima e carnefice, perchè Betty non è solo sadica, ma anche masochista, tenta di distruggere l'altrui vita esattamente quanto la propria. Catturato dalle maglie di una narrazione stratificata, labirintica e complessa – che piuttosto che ricostruire il passato definisce il futuro – il compiaciuto autodistruggersi di Betty si fa espressione di una sorta di vampirismo esistenziale che non contempla alcuna forma di pietismo, giacché il dolore non rende innocenti… Nonostante tutto, il personaggio suscita quella certa strana simpatia che si è portati a provare per le persone che ci sembrano sfortunate; cosicché Chabrol riesce abilmente a condurre lo spettatore verso un amarissimo finale a sorpresa . Buona la coppia di protagoniste, Marie Trintignant e Stephane Audran, quest'ultima moglie del regista e spesso presente nei suoi film, fin dagli esordi. Ma non è l'unico nome di famiglia nel cast: c'è anche un ruolino per Thomas (figlio) Chabrol, le musiche come di consueto sono affidate a Matthieu (altro figlio) Chabrol e anche Aurore (nuora) Chabrol ha un incarico tecnico, a quanto si apprende dai titoli di testa. Betty è un lavoro molto chabroliano nelle atmosfere rarefatte di indagine psico-antropologica.
Kapu

GANGSTER STORY (Arthur Penn)



Un film di Arthur Penn. Con Warren Beatty, Faye Dunaway, Gene Hackman, Michael J. Pollard, Estelle Parsons, Gene Wilder, Denver Pyle, Dub Taylor, Evans Evans Titolo originaleBonnie and Clyde. Drammatico, durata 111' min. - USA 1967

Texas, 1933. Bonnie Parker, cameriera in un bar, conosce Clyde Barrow, si innamora di lui e inizia a rapinare le banche. In poco tempo i due diventano famosi: la polizia non riesce a catturarli, mentre presso i diseredati ridotti in miseria dalla crisi del 1929 diventano due eroi, il simbolo di una rivolta che tutti sognano di compiere. Ma i tempi diventano sempre più difficili: la polizia moltiplica le trappole e riesce a convincere il padre di un complice a denunciare il loro nascondiglio. Finiranno crivellati dai colpi dei poliziotti.
Il film ci racconta abbastanza fedelmente la realtà dei fatti. E’ interpretato da Warren Beatty, da Faye Dunaway, forse nella loro prova migliore, convincenti anche nelle scene più delicate come quelle d’amore che rivelano qualche ‘problemino’ di Clyde e da Gene Hackman e altri comprimari, tutti molto bravi. E’ uno dei migliori di Arthur Penn e anche uno dei più belli del genere gangster. Il regista e i suoi collaboratori usano tutti i mezzi a loro disposizione per renderlo unico, a partire dai titoli di testa: in silenzio assoluto appaiono fotografie d’epoca (i veri Bonnie e Clyde?) ‘flashate’ e alternate ai nomi degli attori che si tingono di rosso sangue; c’è una bella sceneggiatura di Robert Benton e David Newman, scritta inizialmente per Truffaut; l’attento direttore della fotografia Burnett Guffey (vinse il premio oscar per questo film) varia i colori predominanti al variare degli ‘umori’ dei protagonisti; il creativo ‘art director’ Dean Tavoularis (il Padrino, Apocalypse now, la Nona porta) ricrea scenari impeccabili; anche il suono è ben studiato, le sparatorie, oltre che crude, sono di un volume sonoro insostenibile e non le dimentichi facilmente, i dialoghi sono duri ma a tratti anche dolci, leggeri e spigliati...‹‹che fate qui per divertirvi? Ascoltate l’erba che cresce?›› ed hanno il volume appena percettibile; il montaggio alterna le scene parlate a quelle con l’azione e fa uso del ‘rallenty’. Ultime curiosità, il film impressionò anche perché fu il primo dove si vede, nella stessa inquadratura, la pistola che spara ed il proiettile che colpisce l’essere umano. Dopo l’uscita della pellicola la moda tornò agli anni ’30, copiando gli abiti indossati nel film, soprattutto quelli di Bonnie.

tres

Z, L'ORGIA DEL POTERE (Constantin Costa Gavras)



Un film di Constantin Costa Gavras. Con Irene Papas, Jean-Louis Trintignant, Charles Denner, Yves Montand, Pierre DuxBernard Fresson, François Périer, Jacques Perrin, Georges Géret, Marcel Bozzuffi Titolo originale Z. Drammatico,  durata 127' min. - Francia 1969.

In un paese in odore di regime militare, un deputato dell'opposizione muore in circostanze quantomeno strane. Tutto viene architettato dai gestori del potere perchè l'accaduto venga archiviato come un tragico incidente. Ma un giudice solerte e incorruttibile vuole vederci chiaro e va avanti per la sua strada sfidando il muro di omertà e il clima di generale intimidazione che gli si ergono contro. 
L'omicidio a cui fa riferimento il film è quello di Gregoris Lambrakis, il deputato socialista assassinato a Salonicco nel maggio del 1963 nel periodo in cui si stava preparando il colpo di Stato militare e l'instaurazione del regime dei Colonnelli in Grecia. Dal romanzo di Vassili Vassilikos, Costa Gavras trae un film di grande efficacia spettacolare e di lucida analisi socio-politica tanto che "Z- L'orgia del potere" è spesso menzionato come uno dei film "politici" più famosi della storia del cinema (premiato a Cannes e con l' Oscar come miglior film straniero). Il non far mai riferimento al luogo in cui ci si trova (il film è stato girato ad Algeri) e l'anonimità che avvolge i personaggi del film (che sono solo il Magistrato, il Deputato, il Generale, il Colonnello) contribuiscono a rendere quella trattata una vicenda tipo, applicabile cioè a ogni degenerazione del potere costituito in senso dittatoriale (quanto sono simili la morte di Lambrakis con quella di Matteotti), un storia che se da un lato differisce dalle altre perchè è evidente che ognuna è il frutto di particolari condizioni contingenti, ne è sostanzialmente accomunata se ci riferiamo alla fondamentale tendenza di ogni regime dispotico a garantire l'ordine attraverso la repressione di ogni forma di dissenso alla morale corrente. I prodromi che prepararono il golpe militare e il progressivo declino della democrazia parlamentare sono rappresentati attraverso la puntuale delineazione delle bassezze umane che ne formano le principali premesse : la meschinità di uomini che solo trincerandosi dietro l'impunità garantita dal potere che detengono possono dare un senso alle loro mediocri esistenze e la ricattabilità di chi, in ogni tempo e luogo, cerca solo di trovarsi dalla parte giusta quando il peggio arriva. Il clima è teso e Costa Gavras, nel mentre guarda all'esperienza italiana del cinema d'inchiesta politica (Rosi, Pontecorvo, Lizzani), non manca di ammantare di grottesco talune situazioni (la scena in cui gli alti ufficili passano in rassegna nell'ufficio del giudice e nell'andarsene imboccano sempre la porta sbagliata è davvero esilarante). Ottimo il supporto musicale di Mikis Theodorakis e notevole il parter di attori presenti (Yves Montant, Irene Papas, Jacques Perrin, Charles Denner, Francois Perrier, Marcel Bouzzuffi, Renato Salvatori) su cui spicca la figura esile di Jean-Louis Trintignant (premiato a Cannes), il giudice che con ostinato senso del dovere sfidò un male assoluto.
Kapu

ZERO IN CONDOTTA (Jean Vigo)



Un film di Jean Vigo. Con Jean Dasté, Delphin, Louis De Gonzague-Frik Titolo originale Zéro de conduite. Commedia, Ratings: Kids+16, b/n durata 47 min. - Francia 1933

Una banda di ragazzini si rivolta contro la rigida disciplina del collegio.
Un gruppo di adolescenti, al termine delle vacanze, fa ritorno al collegio, ai suoi insegnanti e sorveglianti, alla sua rigida e mal sopportata disciplina. Tra trasgressioni, provocazioni e punizioni esemplari, la tensione cresce. Mentre un giovane sorvegliante passa al campo avverso, i ragazzi si coalizzano, capeggiati da un terzetto di ribelli, e arrivano a scatenare una vera e propria rivolta. 
Massacrato a suo tempo dalla censura e bollato come "antifrancese", immerso in un clima realistico e onirico insieme, è un film autobiografico, violento, anarchico e cattivo, che inaugura al cinema la rappresentazione smitizzata dell'infanzia. Memorabili numerose sequenze: la lotta a cuscinate con piume che volano come fiocchi di neve, il teatrino all'aperto con manichini e scheletri di cartapesta tra il pubblico delle autorità e la fuga conclusiva dei tre monellacci sui tetti del collegio. Qui Vigo espone, affrontando di petto ogni censura, una rivincita (effimera e fruttuosa allo stesso tempo) contro le ingiustizie e gli abusi ipocriti che gli adulti impongono agli adolescenti, in un microcosmo fondamentale per la loro formazione/distruzione come il collegio (in generale la scuola), naturalmente inteso come un certo modo di educare opprimendo e sopprimendo gli aspetti vitali della giovinezza, lo spirito creativo, l'affetto tra amici, l'apertura mentale. Il messaggio prende vita da esperienze personali che assumono un valore universale, ribadito proprio dalla rivolta dei ragazzi contro le gratuite azioni punitive degli insegnanti e di alcuni sorveglianti, tranne Huguet (J. Dasté), l'ironico e stralunato complice delle loro aspirazioni e dei loro giochi, del loro modo di vedere il mondo "a testa in giù", comunque sia da diverse angolazioni, un adulto "folle" che imita Charlot e dà vita ai suoi disegni. Elementi questi che danno la cifra particolare del film, così realistico, dalle atmosfere "documentate" degli interni e degli esterni (altra dicotomia simbolica: il padre anarchico morì in carcere), in cui però convivono momenti magici, surreali, grazie allo sguardo di Vigo che rievoca appunto l'infanzia trascorsa da non molti anni e ricreata dal mondo dei ragazzi, stanchi dei soliti fagioli, delle eccessive collezioni di zeri, delle castrazioni gratuite per amicizie ritenute dannose, magari travisate come "deviate" anche dove potrebbero essere semplicemente fraintese (e se anche fossero sospetti fondati?). Così nella più comune quotidianità si vedono oggetti sparire e riapparire, una battaglia di cuscini si trasforma in una crasi onirica, al rallentatore, tra una processione e una marcia militare sotto una sorta di nevicata al chiuso, mentre una musica riprodotta al contrario volteggia straniante e dal timbro distorto, preludio alla baraonda finale contro la festa del collegio e una popolazione grottesca di autorità capeggiate da un direttore nano (Delphin). La luce e il cielo trionfano opponendosi alla cupezza e al chiuso del treno nella notte dell'inizio, il cui movimento meccanico viene già seguito con ironia e discrezione un po' sorniona da Jaubert.
Kapu