martedì 9 luglio 2013

TRUE LOVE (Nancy Savoca)

Locandina True Love

















Un film di Nancy Savoca. Con Annabella Sciorra, Aida Turturro, Ron Eldard, Roger Rignack Commedia, durata 104' min. - USA 1989.

Giovane coppia di italoamericani del Bronx (New York) si prepara alle nozze: lei determinata, lui riluttante. Forte la pressione delle due famiglie. "Si piange, si ride, ci si ubriaca, si litiga con buona velocità e simpatia. Ma sostanzialmente non succede niente. Il che è anche il grande, vecchio segreto di ogni telenovela" (Gualtiero De Marinis). Il realismo psicologico della descrizione ambientale concede poco al folclore sentimentale dei film hollywoodiani dello stesso tipo. Scritto dalla regista con il marito John Guay.

tres

LO SPERONE NUDO (Anthony Mann)



















Un film di Anthony Mann. Con Ralph Meeker, Janet Leigh, Robert Ryan, James Stewart Titolo originale The Naked Spur. Western, durata 91' min. - USA 1953

Per risarcirsi di aver perduto quanto aveva di più caro, Owie Kemp (Stewart) dà la caccia a Ben Vandergroat (Ryan) sul quale pende una taglia di 5000 dollari. Lo cattura insieme alla sua ragazza Lina (Leigh) in una zona delle Montagne Rocciose, ma per scortarlo ad Abilene deve prendere con sé due infidi compagni, un cercatore d'oro (Mitchell) e un ufficiale disertore (Meeker). Durante il viaggio Ben gioca d'astuzia per seminare discordia tra i tre. 3° dei 5 western di J. Stewart con la regia di A. Mann e il 1° non scritto da Borden Chase, sostituito da S. Rolfe e H.J. Bloom. Il che purtroppo si sente, anche nel personaggio di Stewart, pur così sfaccettato nel suo impasto di dirittura morale e cinismo amaro. Il vilain R. Ryan gli ruba più di una volta la scena. La suggestione del paesaggio montagnoso, esplorato nei minimi anfratti dalla cinepresa di William Mellor; il rapporto tra personaggi e natura; l'insolita importanza drammatica del personaggio femminile; uno splendido duello finale ne fanno un western da non perdere. Girato nel Colorado. Nomination all'Oscar per la sceneggiatura.

tres

BATTE IL TAMBURO LENTAMENTE (John Hancock)

Locandina Batte il tamburo lentamente

















Un film di John Hancock. Con Robert De Niro, Michael Moriarty, Vincent Gardenia, Heather MacRae, Phil Foster Titolo originale Bang the Drum Slowly. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 97' min. - USA 1973.

Henry e Bruce giocano nella stessa squadra di baseball e sono grandi amici. Bruce s'ammala di un male incurabile, ma grazie all'amico, che intanto sta diventando un gran giocatore, passa i suoi ultimi mesi alla grande. Hancock, regista-produttore indipendente, ha legato il suo nome a questo insolito film intimista, tratto da un romanzo di Mark Harris.AUTORE LETTERARIO: Mark Harris.

tres              

BELLAMY (Claude Chabrol)



Giallo, durata 110 min. - Francia 2009

Come ogni anno il commissario Paul Bellamy va in vacanza a Nîmes, nella casa di famiglia della moglie Françoise per passare qualche giorno di relax.Ma le cose si complicano con l'arrivo del fratellastro Jacques, giovane e meschino avventuriero con una certa passione per l'alcool, invidioso, in fondo, della vita tranquilla del commissario e della sua stabile e felice vita professionale e familiare.Come se non bastasse Bellamy viene contattato da un certo Nol Gentil, un soggetto in fuga, nascosto in un vicino motel, che teme di aver ucciso un uomo, non si sa chi, non si sa perché. Intrigato dal personaggio decide di lanciarsi nella risoluzione dell'enigma e di dedicare tempo e risorse intellettuali per salvare un possibile assassino.Il tutto sotto lo sguardo ostile del fratellastro che farà di tutto per rendere le cose ancora più complicate. 
Con "Bellamy" Claude Chabrol torna al giallo, poggiando invero una trama imbevuta di dramma sulle solide basi di una commedia vagamente brillante. La solita mescolanza di generi dunque, e considerando che a mio avviso il precedente "L'innocenza del peccato" rappresentò un passo indietro nella filmografia di Chabrol, direi che "Bellamy" segna anche il ritorno al suo splendore : un film che ha la leggerezza tipica del buon prodotto nato per la televisione e la raffinata sottigliezza analitica che si richiede al giallo d'autore. Un'opera che conserva i tratti tipici della sua poetica ed è ben supportata da una shiera di buoni attori su cui spicca la gigionesca prova di un Gèrard Depardieu in ottima forma. Superba la caratterizzazione dei personaggi, tipizzati al punto da formare un quadro di provincia (sempre quella) di conturbante ambiguità all'interno del quale Bellamy si muove, non tanto con lo scopo di di scoprire il responsabile di un delitto, quanto di svelare i meccanismi che stanno dietro alla produzione di una colpa : per capire, senza giudicare. Bellamy fa tappa in diversi luoghi e sosta accanto a diverse esistenze, tutte con un presente chiaramente evidenziato e nessuno che non trasmetta il dubbio che non tutto è come sembra (a partire dai suoi ammiccamenti erotici con la moglie e dal rapporto col fratello). E' sempre così con Chabrol, "c'è sempre un'altra storia, c'è più di quello che si mostra all'occhio" (recita la didascalia finale riprendendo dei versi di W.H.Auden). Il suo è un cinema che si nutre di sensazioni perchè le cose importanti sono quelle che accadono sullo sfondo, lontane dalla ribalta, più a livello percettivo che cognitivo. In superficie abbiamo sempre la certosina delineazione psicologica dei personaggi, quella che ci lascia intendere anche ciò che non vediamo. Questo è stato sempre il modo con cui Chabrol ha inteso esplicitare la sua "militante" accusa alla morale borghese : smascherare il torbido che cova sotto ogni esistenza apparentemente proba. Con questo film Claude Chabrol ha inteso omaggiare Simenon e Brassens. "In omaggio a due George" è scritto all'inizio, ed infatti il film riflette, tanto le atmosfere intriganti del grande scrittore, quanto il libertinismo anarcoide dello chansonnier. Si sente soprattutto la presenza di Brassens (il film parte dal cimitero in cui è sepolto), la sua opera, la sua musica, la sua poetica, finanche la sua tomba. E ci alziamo in piedi.
Kapu

IL FIORE DEL MALE (Claude Chabrol)



Un film di Claude Chabrol. Con Nathalie Baye, Benoît Magimel, Suzanne Flon, Bernard Le Coq Titolo originale Le Fleur du mal. Drammatico, durata 104 min. - Francia 2002

La borghesia della provincia francese, la sua ipocrisia, i suoi scheletri nell'armadio. Una donna viene assolta, nonostante la sua colpevolezza, alla fine della Seconda guerra mondiale: è questo lo spunto di partenza per seguire le peripezie degli Charpin-Vasseur, esponenti di spicco della borghesia di Bordeaux. La loro storia è segnata da una serie di morti misteriose, come se la colpa fosse una tara ereditaria che si trasmette di generazione in generazione. Un crimine commesso nel passato, e non espiato, può dunque avere ripercussioni sui discendenti... 
Quieta, educata e agghiacciante, la pellicola di Chabrol è la versione stilizzata, asciugata, serenamente e atrocemente pessimistica di tante altre vicende di famiglie, destini e province raccontate dal maestro francese. Non c'è più bisogno di intrusioni esterne che vengano a turbare malsani equilibri, né di diseredati che scompaginino armonie borghesi. I "corvi" anonimi sono quelli che ci si è allevati in seno: bastano cinque personaggi che riassumono tre generazioni, e quel tempo profetico che si ripete sempre uguale a se stesso e che si snoda senza soluzione di continuità davanti agli occhi della decana zia Line (la vera protagonista del film: l'esile, dolcissima e volitiva Suzanne Flon, una grande interprete del passato). Chabrol è arrivato al cuore del suo mondo e del suo stile: niente colpi bassi, il malessere è intessuto nelle tappezzerie di casa e negli abiti "bon ton" degli Charpin-Vasseur; prende corpo dal giardino curato e dall'aria tersa, chiuso nella consapevolezza inossidabile degli occhi di Line. I fiori del male era una raccolta di poesie del maledetto Charles Baudelaire e solo il più perfido osservatore della borghesia francese poteva girare un film così, prendendo in prestito quel titolo tanto evocativo quanto affascinante. Claude Chabrol sa di cosa parla e ci sguazza in questo mondo in cui l’ipocrisia ha preso il posto della sincerità con una disinvoltura di cui non ci stupiamo più minimamente. « Ma petite chérie, le temps n’existe pas, tu verras. C’est un présent perpétuel ». « Vedrai, piccolina mia, il tempo non esiste. E’ un perpetuo presente »
Kapu

GRAZIE PER LA CIOCCOLATA (Claude Chabrol)



Un film di Claude Chabrol. Con Jacques Dutronc, Isabelle Huppert, Anna Mouglalis, Rodolphe Pauly Titolo originale Merci pour le chocolat. Drammatico, durata 110 min. - Francia 2000.

André Polonski, famoso e celebrato piansista e Mika Muller, presidente dell'industria del cioccolato Muller si sposano per la seconda volta. Il concertista anni prima aveva sposato Lisbeth dalla quale aveva avuto un figlio Guillame e che era morta in seguito ad un incidente automobilistico. Jeanne che apprende per puro caso di essere stata scambiata al momento della nascita con un Guillame entra nella vita di André per scoprire la verità. 
Ogni tanto succede ancora il miracolo di vedere un film bello, impeccabile, inattaccabile. Questo onore è toccato all’ex enfant terrible della Nouvelle Vague Claude Chabrol, che mette sullo schermo le sue conoscenze cinefile (Lang, Hitchcock, Renoir) con grande eleganza e senza un minimo di autocompiacimento. Da tempo, i luoghi che più lo affascinano sono le località di provincia, dove tutto sembra tranquillo e pulito ma dove la borghesia perbene può nascondere orribili segreti e perversioni. Questa volta non siamo però nella provincia francese ma nella Svizzera, dove il perbenismo è ancora più spalmato nei meandri della società e dove i buoni borghesi possono conversare con elegante cinismo sui fondi sottratti agli ebrei dai nazisti e conservati nei conti segreti delle potenti banche. Protagonisti del film sono una industriale del cioccolato, un pianista di successo, una responsabile del servizio di medicina legale e due figli che (forse) sono stati scambiati nella culla. La suspense cresce minuto dopo minuto, la storia avvolge e intriga, gli attori sono straordinari, il divertimento è assicurato. E tutto senza bisogno di effetti speciali per allocchi e di star-system esasperato: bastano pochi ambienti, suggestioni, atmosfere, sono sufficienti sguardi impercettibili. Grazie per la cioccolata — tratto dal libro The Chocolate Cobweb di Charlotte Armstrong — con una sceneggiatura firmata dal regista insieme a Caroline Eliacheff (già con Chabrol per Il buio nella mente, 1995, e ancora al suo fianco per Il fiore del male, 2003), intriga e fa riflettere, con una suspense che cresce ad ogni nota di pianoforte ed un’orrida consapevolezza che si solidifica sempre più man mano che si realizza che il Male è tanto più agghiacciante quanto più, originandosi dalla mancanza di affetto e dolcezza, finisce per assumerne quasi le medesime forme. Quelle di una tazza di cioccolata nera bollente, appunto. E' l'ennesima incursione di Chabrol nelle fitte e oscure trame della ragnatela della famiglia borghese benestante, in cui si annidano misteri, occultamenti e segreti indicibili. Girato con la consueta pacata cura, dato il ritmo piuttosto basso che lo contraddistingue, il film trova il suo motivo principale di appeal nella presenza della sempre encomiabile Isabelle Huppert, che Chabrol aveva già utilizzato numerose volte fin da Violette Noziere del 1977. Degna di nota anche la figura enigmatica (e la prestazione) di Anna Mouglalis, che contribuisce quindi a caratterizzare al femminile la pellicola; colpisce inoltre per la sua patina avvolgente la fotografia di Renato Berta (già con Malle, Resnais, De Oliveira e molti altri grandi nomi). Come di consueto nel cinema di Chabrol, lo scorrere apparentemente pacifico o comunque privo di netti, profondi traumi, da parte della trama è sempre accompagnato in sottofondo dal crescere di un'insospettata inquietudine, che qui sfocia in tutto il suo impeto nella scena conclusiva.
Kapu

IL COLORE DELLA MENZOGNA (Claude Chabrol)



Titolo originale Au coeur du mensonge. Drammatico,durata 113 min. - Francia 1999

Nel villaggio di Saint Malo alcuni bambini trovano il corpo senza vita di Eloise, bambina di dieci anni. Frédérique Lasage, una giovane commissario di polizia comincia le indagini e inizia ad interrogare René, professore di disegno che sembra sia stato l'ultima persona ad aver visto la ragazzina viva. Ben presto le dicerie sul conto di René e della moglie Viviane si sprecano e il loro equilibrio di coppia comincia a vacillare anche a causa di un affascinante scrittore. Una seconda morte violenta paralizza la cittadina. 
Sospetti, esistenze naufraghe e naufragate, altri delitti: la trama gialla può intrigare ma a Chabrol interessano soprattutto le persone, i volti, le re(l)azioni umane e (come suggerisce il titolo originale) andare “al cuore della menzogna”. Come spesso accade, i personaggi dei suoi film sono trattati in modo da farceli apparire dapprima persone integerrime, poi come molto somiglianti a normali esseri umani con le proprie piccole e grandi debolezze e infine come degli esseri che nascondono infamanti segreti. E' un tratto tipico del suo cinema questo e ne rappresenta anche un punto di forza dato la credibilità che riesce a conferire al tipo d'autore descritto che, rimanendo "Al colore della menzogna", è di quelli che crede di trovarsi sempre dalla parte giusta del mondo e l'ipocrisia delle sue azioni è vissuta con la naturalezza propria di chi la concepisce come un corollario inscindibile per la salvaguardia della sua posizione sociale. In altri termini, Chabrol non ti sputa mai in faccia la cattiveria umana ma ti costringe a trovarla tra le pieghe di vite all'apparenza probe. In questo film non si ha mai l'impressione di trovarsi di fronte a persone capaci di fare del male eppure ci sono: un pervertito che ha ucciso una bambina, dei trafficanti di opere d'arte trafugate dai luoghi sacri, un assassino, situazioni di tradimento coniugale e la classica litania di pettegolezzi di bassa lega. "Il colore della menzogna" si insinua tra le dissertazioni alte sui confini tra il bene e il male col tocco lieve di una parola utile alla causa e la discrezione di chi non vuole recare disturbo. Non il miglior Chabrol ma un buon film, con tocchi di gran classe disseminati qua e là e buone prove d'attore tra cui merita un rilievo particolare l'onnipresente talento dell'esile Sandrine Bonnaire. Un cinema fuori tempo e fuori dal tempo, coerente e allergico alle mode, dove gli attori sono determinanti. Come, per esempio, Jacques Gamblin che (malgrado un doppiaggio italiano penalizzante) emerge con mille sfumature. E come Sandrine Bonnaire, bambina col corpo di donna e gli occhi allagati nella melanconia.
Kapu

ROSSO NEL BUIO (Claude Chabrol)



Titolo originale Les Liens de Sang. Drammatico,durata 95' min. - Canada, Francia 1977

Di ritorno da una serata, mentre rincasano, due cugine sono assalite da un uomo: una viene uccisa, l'altra, benché ferita, riesce ad avvertire la polizia. Le indagini si orientano nel mondo dei maniaci sessuali, ma non danno nessun esito. A questo punto però, Patricia, la sopravvisuta, denuncia suo fratello come autore dell'omicidio: ma l'ispettore Carella, trovato il diario di Patricia scopre la sconcertante verità. 
Un giallo/thriller a tinte fosche sul tema dell'incesto, tratto da un romanzo di Ed McBain con una sceneggiatura del regista e di Sydney Banks. Nonostante l'indiscutibile capacità di Chabrol di ricreare le atmosfere cupe di un delitto (notturno e sotto la pioggia) che porta con sè - in un parallelo formale - una situazione famigliare intricata e torbida, nonostante la buona tenuta della narrazione e nonostante le presenze nel cast di interpreti di ottimo livello come Donald Sutherland, Stephane Audran (allora moglie del regista), Donald Pleasence e David Hemmings; nonostante insomma una confezione assolutamente ineccepibile, Rosso nel buio non é un capolavoro. Tutto sommato è sempre il solito Chabrol, solo che questa volta il groviglio di vipere familiari non si trova nella provincia francese ma in una città nordamericana. Fatta la tara al manierismo di fondo resta uno spettacolo abbastanza godibile, con le svolte narrative inserite nei punti giusti e la solita aria ambigua che avvolge tutti, anche gli innocenti (innocenti?).
Kapu

GLI INNOCENTI DALLE MANI SPORCHE (Claude Chabrol)




Un film di Claude Chabrol. Con Rod Steiger, Romy Schneider, Paolo Giusti, François Maistre Titolo originale Les innocents aux mains sales. Drammatico, durata 120' min. - Francia 1975

Julie si annoia nella sua bella villa di Saint-Tropez; suo marito Louis è troppo anziano per lei e beve. Lei diviene ben presto l'amante del giovane scrittore Jeff. Anzi, tanto vale mandare al creatore l'alcolista Louis e godersi i suoi soldi. Senonché le cose non vanno precisamente secondo il progetto dei due fedifraghi. 
Da un romanzo di Richard Neely, Claude Chabrol ha tratto un film tanto elegante quanto freddo. Chabrol, assieme a Truffaut, era tra i più grandi ammiratori di Hitchcock e questa pellicola è un divertito omaggio alla sua poetica: partendo da un romanzo di matrice noir, il regista aggiunge un colpo di scena dopo l'altro, creando un effetto talmente inverosimile da sfociare nella parodia. In aggiunta, c'è una coppia di poliziotti sui generis, che entra ed esce dalla scena con incredibile nonchalance, un avvocato logorroico (grande Jean Rochefort) che gestisce la causa 'improvvisando' e la bellezza di Romy Schneider, davvero abbagliante. "Gli innocenti dalle mani sporche" servirà senza dubbio a tutti coloro che non sono mai riusciti ad apprezzare la bellezza dell'attrice austriaca: bastano i primi due minuti del film per farsene un'idea. Nulla, volutamente, mancava al film del thriller classico e pieno di personaggi e luoghi comuni, dalla coppia con la bella moglie giovane e il marito più anziano di lei, che non la soddisfa così da "costringerla" a trovarsi un amante, giovane bruno bello e assassino (scrittore), un piano perfetto per eliminare lo scomodo ricco marito e impossessarsi del suo bottino, gli errori la coppia di investigatori in paltò l'amico dubbioso e i colpi di scena.
Kapu

TOMBOY (Céline Sciamma)



Drammatico,durata 84 min. - Francia 2011

Laure si trasferisce con i suoi genitori e sua sorella minore in una cittadina in cui non conosce nessuno. Quando incontra Lisa, una ragazzina della sua stessa età, si fa passare per un maschio e così Laure diventa Mickaël e inizia sperimentare e a condividere il gioco con gli altri ragazzi. 
Céline Sciamma, giovane autrice i cui corti hanno conquistato Xavier Beauvois e André Téchiné, ha vinto con l’opera seconda, Tomboy, il Premio Queer del Festival di Berlino (il Teddy Award) e quelli di pubblico e giuria (assegnato all’unanimità) al 26° Torino GLBT Film Festival. E una volta tanto i premi sono serviti, se un film piccolo francese, senza volti noti, trova distribuzione nelle nostre sale. Tomboy, termine inglese che indica una ragazza con atteggiamenti da maschiaccio, racconta un’estate e una doppia vita, quella di Laure. Girato con mezzo milione di euro, in 20 giorni e con una troupe di sole quindici persone, Tomboy deve buona parte della propria fortuna all’alchimia del cast, dove la felice scelta della giovane protagonista Zoé Héran, presentatasi già con i capelli corti e l’amore per il calcio, ha portato automaticamente a includere nel film i suoi veri amici. La Sciamma impiega poi una messa in scena sobria, calibrata, e una fotografia chiara, che trasmette la sensazione, quasi fuori dal tempo, dell’estate di un gruppo di ragazzini, quando appunto ci si può illudere che una partita possa durare in eterno. Quasi l’altra faccia di Boys Don’t Cry, Tomboy dilegua la suspense dell’intrigo tra placidi pomeriggi assolati e, quando i nodi vengono al pettine, la resa dei conti schiva esplosioni drammatiche, preferendo il liquido sciogliersi della doppia identità in uno slancio di ottimismo verso l’apertura mentale dei bambini. Come in Tutti per uno di Romain Goupil, è loro la vera maturità. Un tema delicatissimo sulla identità sessuale pre-adolescenziale, la regista ha saputo raccontare in maniera discreta, leggera e mai invadente uno stato in cui ci siamo trovato tutti, dove gli adulti non possono che fare danni entrando a gamba tesa. La storia non propone nessuna difficoltà psicologica che porta ad una scelta, che solo le convenienze sociali drammatizzano, magari, provocando dei possibili danni di una vita. La scelta di Laure è casuale, non cercata e tanto meno malata, l'età presa in considerazione è quella dove si inizia a percepire le differenze sessuali, una sorta di frontiera dove le delicate posizioni e le scelte spesso vanno in tilt e provocano le difficoltà che noi tutti comprendiamo. Il gioco legato all'infanzia comincia ad essere insufficiente e l'allungamento di questo, per certe angolazioni, può portare ad una scelta di ruolo obbligata, che non tutti sanno accettare, magari perché ancora la maturazione del momento non è arrivata. La società impone dei comportamenti, che alcuni accettano come delimitazione naturale, altri non la prendono, giustamente, con la serietà proposta, perché la personalità ha bisogno ancora di sperimentare senza bisogno di esporsi ai rischi che una società impone. La Sciamma affronta l'argomento in maniera quasi documentaristica, non dà, quasi mai, giudizi se non quello di esporre un po' di più gli adulti che con il loro intervento, anche se non calcato, alimentano e sottolineano il problema rendendolo evidente e punibile. Lo stesso gruppo di ragazzini cambierà il tono, proprio su suggerimento degli adulti, iniziando il percorso di una società che apre loro le porte, con un senso morale pre-costruito, anche se indifferente. Il finale non dà una risposta, ma le due ragazzine escono dal senso di colpa che è stato loro attribuito, cercando una solidarietà che solo da loro può nascere, senza esporla agli altri. 
Kapu

QUALCHE NUVOLA (Saverio di Biagio)

Locandina Qualche nuvola

















Un film di Saverio di Biagio. Con Michele Alhaique, Greta Scarano, Aylin Prandi, Primo Reggiani, Giorgio Colangeli, Pietro Sermonti, Michele Riondino, Antonella Attili, Veronica Corsi, Paolo De Vita, Paola Tiziana Cruciani, Elio Germano
Commedia, durata 99 min. - Italia 2011. - Fandango uscita mercoledì 27 giugno 2012

In un quartiere popolare ai margini della città eterna, vive Diego, un giovane coscienzioso che ama il proprio mestiere, fa il muratore ed è molto stimato dal datore di lavoro, e sta per sposarsi con Cinzia. Sono cresciuti insieme, nello stesso condominio, sullo stesso pianerottolo. Per guadagnare qualche soldo in più e far fronte alle imminenti spese per il matrimonio, il ragazzo accetta un lavoro extra, la ristrutturazione di un grazioso appartamento nel centro storico abitato dalla bella e giovane nipote del capo, Viola.
Opera prima firmata da Saverio Di Biagio, Qualche nuvola attraverso una vicenda privata, racconta piuttosto bene, con levità, la vita di una borgata romana, dove qualsiasi decisione, problema o dubbio viene condiviso dai genitori, dai parenti o dagli amici. La mdp si limita ad osservare, a riprendere benevolmente quel che accade, restituendo gli affanni e le incertezze della futura sposa, sempre alla ricerca della migliore rubinetteria, del ristorante più adatto, del letto più comodo. Diego, dal canto suo, si lascia vivere, lascia che siano gli altri a prendere le decisioni importanti. Ma chi ha detto che il sogno più grande sia per forza quello del matrimonio con la ragazza della porta accanto?
A Diego sfiora il dubbio, soprattutto nel momento in cui entra in contatto con un altro mondo, con quello dei vernissage e delle abitazioni del centro, con una ragazza che gli chiede di esprimere opinioni ed emozioni, magari di fronte a qualche fotografia che ha da poco terminato di sviluppare.
Qualche nuvola ha tutti gli ingredienti per una commedia riuscita, riesce a caratterizzare e a rendere credibili i propri personaggi, evitando lo stereotipo, toccando temi importanti come la dignità del lavoro, l'importanza di scegliere la strada giusta, la lealtà verso la propria famiglia e verso i propri amici, la solitudine, oltre, ovviamente, a riflettere sul tradimento e sul senso del matrimonio. Tuttavia, ci pare un copione già visto, ci piacerebbe infondere un po' più di coraggio a quei personaggi, auspicando che il registro narrativo cambi rotta, magari per virare su toni meno realistici.

tres              

PROPOSTA INDECENTE (Adrian Lyne)

Locandina Proposta indecente

















Un film di Adrian Lyne. Con Robert Redford, Demi Moore, Woody Harrelson, Oliver Platt, Seymour Cassel,  Sheena Easton, Herbie Hancock, Billy Bob Thornton, Rip Taylor, Billy Connolly, Joel Brooks, Pierre Epstein, Danny Zorn, Kevin West, Pamela Holt, Tommy Bush, Mariclare Costello
Titolo originale Indecent Proposal. Drammatico, durata 118 min. - USA 1993.

Una giovane coppia a causa dei problemi economici si reca a Las Vegas per tentare la sorte al gioco. Ma ancora una volta la fortuna non li assiste. Viene loro in soccorso un affascinante miliardario che propone un patto sorprendente: in cambio di una notte d'amore con la giovane sposa corrisponderà ai due un milione di dollari. L'offerta turba il loro ménage. Infine e non senza sofferenze i due accettano. Le conseguenze saranno devastanti. Il marito non accetterà più di vivere con la donna che lo ha tradito per amor suo e rifiuterà il denaro. Ma il lieto fine è inevitabile. Film di grande successo proprio a causa dell'ipocrisia che dispensa sapientemente al pubblico. Una trama invereconda che solo per la presenza discreta di Redford appare meno insulsa di quanto non sia. Incredibile la supposizione che il laido Woody Harrelson possa competere con il pur attempato divo. Una barzelletta dilatata ad arte per la pruderie di un pubblico in vena di finte trasgressioni.

tres              

L'ULTIMA TEMPESTA (Peter Greenaway)



Un film di Peter Greenaway. Con Erland Josephson, Michel Blanc, John Gielgud, Isabelle Pasco, Michael Clark, Nastassja Kinski
Titolo originale Prospero's Books. Drammatico,Ratings: Kids+16, durata 125' min. - Gran Bretagna 1991

Prospero, ormai vecchio, è stato spodestato dal fratello e ha perso così il ducato di Milano. Ora vive su un'isola dalla quale, scatenando una tempesta, fa naufragare le navi di passaggio. 
Versione barocca e figurativamente smagliante (con ampio uso delle nuove tecnologie elettroniche) della "Tempesta" di Shakespeare. Atmosfere manieriste per una lotta tra il bene e il male declinata nel linguaggio aspro ed icastico della mitologia pagana. La "tempesta" è la furia degli elementi che si trasforma nella danza delle passioni umane, un turbine che le composte attività dell'arte e della sapienza non riescono a contenere, ma solo a sublimare e tramandare. Il contrasto principale è quello tra il fragoroso esercizio del potere e la quieta e silenziosa pratica dello studio. Le scene luminose del film sono esteticamente organizzate secondo precise architetture e coreografie, con solari profondità prospettiche, piene di grano, frutti, fiori, cavalli bianchi, e attraversate da voli acrobatici ed equilibrismi, a simboleggiare la fertile lungimiranza della disciplina, che è pazienza nella fatica, e si coniuga con l'amore inteso come sacrificio e devozione. Peter Greenaway carica il suo film di un decorativismo estremo, spesso sovraffollato di corpi nudi e, a tratti, straripante, che fa da plastico contrappeso alla verbosità irruente del testo shakespeariano, realizzando uno splendido equilibrio tra parole e immagini. L'oscillare perenne di Greenaway tra cornice e caos, tra finito e infinito è sfasatura suprema: noi nel mezzo della sua visione, troppo piccoli per entrare nel totale. Un film complesso debordante di richiami pittorici che va goduto al momento durante la visone ma anche e soprattutto nella post visione che diventa analisi, scavo e scoperta dell'universo Greenaway. Non è solo estetica ed estasi dei significanti. Il contenuto, o meglio i contenuti, sono innumerevoli e le varie scatole cinesi greenawayiane disvelano o nascondono la "giusta via" allo spettatore colpito e tramortito da un'orgia di colori, di corpi, di forme, che lo folgorano come una scarica da 220 tenendolo con la forza ancorato all'immagine che è opera pittorica in movimento in cui le lente carrellate (tipiche del regista alternate ad inquadrature in oggettiva) lo accompagnano poco a poco nei meandri della rappresentazione a cui non basta un'unica "doppia" dimensione, ma cerca una terza strada oltre il Cinema e verso e dentro l'Arte contemporanea. La narrazione classica è spazzata via da questa tempesta greenawayiana in cui utopia e razionalità trovano medesimo posto. Prospero come una sorta di Dio purificatore si vendica (per poi perdonare) di quegli uomini che hanno peccato nei suoi confronti e porta il macrocosmo-umanità nel suo microcosmo-isola, dove egli è il Creatore-padrone di tutto e in cui il "suo" Sapere è anche l'unico sapere. Egli è uomo e mondo stesso, terra e tiranno. Per chi non avesse visto alcuna opera di questo regista, di sicuro viene a mancargli una parte imporatante di quest'Arte, almeno degli ultimi 25 anni!. Quando si dice: il cinema allo stato puro. 

tres

OLIVER TWIST (Roman Polanski)

Locandina Oliver Twist

















Un film di Roman Polanski. Con Ben Kingsley, Frances Cuka, Barney Clark, Lewis Chase, Jake Curran,
Titolo originale OLIVER TWIST. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 130 min. - Gran Bretagna, Repubblica ceca, Francia, Italia 2005. uscita venerdì 21 ottobre 2005.     

Se c'è chi pensa che il detto "si nasce rivoluzionari e si muore conservatori" valga per il Roman Polanski che "illustra" (come alcuni hanno scritto) "Oliver Twist" di Dickens non si illuda. Il regista di Rosemary's Baby e di Il coltello nell'acqua ha conservato intatto il proprio sguardo attento agli angoli oscuri della società e della psiche. Uno sguardo mediato dall'esperienza di Il pianista e proprio da quel film di successo stimolato a rivisitare il proprio passato di bambino salvatosi dal ghetto di Cracovia con la madre uccisa ad Auschwitz. Lo fa per l'interposta persona di uno dei personaggi più famosi dell'universo dickensiano, quell'Oliver Twist che ha già costituito una fonte di ispirazione per il cinema.
Polanski legge la vicenda narrata dal grande autore inglese immergendola in una miseria materiale e morale quasi palpabile. Osservate l'illuminazione del film: è dominata da un buio sporco, per nulla gotico ma carico invece delle scorie prodotte dall'abbrutimento dell'essere umano al contempo carnefice e vittima nel tragico incedere dell'industrializzazione forzata. La luce di una bella giornata di sole è un fatto quasi incidentale, secondario, non "normale". Così al centro della storia sono sì le vicende dell'innocente orfanello costretto a far parte di una banda di ladri organizzati. Ma chi gli ruba il proscenio è Fagin nell'interpretazione magistrale che ne dà un irriconoscibile Ben Kingsley. È lui, padre e padrone della banda di ladruncoli, che detta i ritmi della vicenda con il suo corpo laido che percorre le stanze e le vie del degrado umano ricordando a tratti le caricature infami con cui i nazisti dileggiavano gli ebrei. In questo coacervo di bassezze, in questo "diavolo" Polanski va a cercare una scintilla d'umanità dandogliene testimonianza nella bella scena finale che evita il lieto fine consolatorio. Conservando però intatto lo spirito di un autore come Dickens che, figlio di un carcerato e abituato al lavoro duro fin dall'infanzia, ha ancora molto da dire a questo mondo che preferisce pensare che i bambini siano tutti come quelli della pubblicità. Pur sapendo benissimo che non è così.

tres