mercoledì 3 luglio 2013

SAVIOR (Predrag Antonijevic)

Locandina Savior















Un film di Predrag Antonijevic. Con Dennis Quaid, Nastassja Kinski, Stellan Skarsgård Drammatico, durata 104 min. - USA 1998

Joshua è un ufficiale americano delle forze antiterrorismo di stanza a Parigi ha appena salutato moglie e figlio in un bar quando il locale salta in aria uccidendo entrambi. La reazione del militare è tanto irrazionale quanto immediata: prende un'arma ed entra nella moschea del quartiere uccidendo tutti i presenti. Lo ritroviamo dopo qualche tempo arruolato nella Legione Straniera. Il suo compito è combattere, non importa per chi, ma lui ha bisogno di altro: vuole qualcuno da odiare. Siamo agli inizi degli anni Novanta e quindi la meta diventa la Serbia. In Montenegro Joshua assiste alle uccisioni più spietate e vi partecipa fino a quando sulla sua strada non incontra Vera, una giovane donna serba stuprata dalle milizie musulmane. Joshua l'aiuta a far nascere la figlia e dovrà poi decidere che fare quando la famiglia caccia via madre e bambina.
Dennis Quaid sa come offrire il proprio aspetto dolente a una storia intrisa di umanità e di efferatezza. È lui il punto di forza di Savior che propone senza remore (onore al merito alla Repubblica del Montenegro che ha offerto assistenza tecnica visto che all'epoca esisteva ancora un seppur tenue legame con la Serbia la cui popolazione in armi non brilla certo per sensibilità nel film). Il percorso di redenzione di un essere umano duramente provato lo abbiamo già visto innumerevoli volte al cinema ma in questo film si inserisce in un contesto ben descritto di violenza quotidiana e insensata come forse solo Winterbottom in Welcome to Sarajevo era riuscito a rendere in modo altrettanto efficace. Un'avvertenza per i fans di Nastassja Kinski: il suo nome è solo utile per promuovere il film. Infatti il suo personaggio (la moglie di Joshua) scompare, per non fare più ritorno, nell'arco dei primi 5 minuti del film.

Loris              

L' ULTIMO DEI MOHICANI (Michael Mann)

Locandina L'ultimo dei mohicani

















Un film di Michael Mann. Con Daniel Day-Lewis, Madeleine Stowe, Russell Means, Eric Schweig, Jodhi May,  Steven Waddington, Maurice Roëves, Wes Studi, Dylan Baker, Patrice Chereau, Edward Blatchford, Terry Kinney, Tracey Ellis, Justin M. Rice, Dennis Banks, Pete Postlethwaite, Colm Meaney
Titolo originale The Last of the Mohicans. Western, durata 130 min. - USA 1992.

La Guerra dei sette anni è sbarcata oltre oceano. È il 1757. Le colonie americane sono terreno fertile per sangue e morti. Inglesi e francesi si contendono le terre, mentre le tribù autoctone decidono da quale parte schierarsi e a chi giurare una presunta fedeltà. Tra loro anche Nathan, nato inglese e adottato dai Mohicani, corre tra foreste e fiumi in cerca di una pacifica convivenza tra coloni e invasori. Gli equilibri verranno presto spezzati dalla crescente tensione tra le forze europee e dai labili patti che legano gli indigeni ai due schieramenti.
Tratto dal romanzo omonimo di J.F. Cooper e remake de I re dei pellerossa (1936), L'ultimo dei Mohicani è un kolossal in grande stile, epico racconto in cui l'interesse per la narrazione cede il passo all'azione. Micheal Mann procede di corsa, parte in medias res e avanza senza soste in un continuo susseguirsi di fughe e assedi. Tanto affanno e poche parentesi per il pensiero in un film dove lo spazio per l'animo dei personaggi è minimo e le azioni parlano per loro.Questo registro espressivo pragmatico e poco dedito all'approfondimento psicologico dei caratteri è però funzionale a quel mondo selvaggio, dominato dalle armi, in cui la diplomazia si scopre arte faticosa e sterile, mentre la violenza divide facilmente il mondo in morti e vivi, vincitori e vinti. Con l'amore a fungere da unico antidoto. L'interesse principale ricade sullo scontro tra culture in cui solo l'habitat si distingue per purezza. I colonizzatori sono ingordi e non c'è più ingenuità nel popolo ospitante perché la contaminazione è già parte del Nuovo Mondo. Eppure la divisione è ancora netta, con gli invasori dediti al rispetto dei propri doveri e gli indigeni impegnati nella salvaguardia dei propri diritti. L'opera di Mann si apprezza e si distingue soprattutto per l'affresco estetico di una Natura che funge da silenziosa testimone, sulle note di una travolgente colonna sonora capace di far respirare a pieni polmoni lo spettatore e di evocare in lui il recupero di una pace per lo spirito. Il carisma spigoloso di Daniel Day Lewis fornisce corpo e vigore ad uno dei tanti cuori impavidi del cinema epico-storico. Un eroe più coraggioso di un film che parla di sensi di appartenenza (alla terra, ai certi valori innati e alla persona amata) senza andare oltre gli argini del genere a cui appartiene.

tres              

IL SAPORE DEL DELITTO (Anatole Litvak)




Un film di Anatole Litvak. Con Humphrey Bogart, Edward G. Robinson, Claire Trevor Titolo originale The Amazing Doctor Clitterhouse. Drammatico, b/n durata 87' min. - USA 1938

Autore di un libro sulle reazioni psichiche dei criminali si trasforma in ladro e si unisce a una banda. Il capo vuole costringerlo a derubare i suoi amici più ricchi. Sceneggiato da John Wexley e John Huston sulla base di una pièce (1936) di B. Lyndon, è un dramma criminale che H. Bogart, per la sua fosca prestazione, disprezzava: è invece un film avvincente e ben costruito. E.G. Robinson non regge il confronto con Cedric Hardwicke che interpretò lo stesso ruolo a teatro.AUTORE LETTERARIO: Barre Lyndon

tres

THE BURNING PLAIN - IL CONFINE DELLA SOLITUDINE (Guillermo Arriaga)

Locandina The Burning Plain - Il confine della solitudine












Un film di Guillermo Arriaga. Con Charlize Theron, Kim Basinger, Jennifer Lawrence, José María Yazpik, Joaquim de Almeida, Tessa Ia, Diego J. Torres, J.D. Pardo, Danny Pino, Brett Cullen, Gray Eubank, Toni Marie Lopez, Sean McGrath, Cesar Miramontes, Marty Papazian, TJ Plunkett, John Corbett
Titolo originale The Burning Plain. Drammatico, durata 110 min. - USA, Argentina 2008. - Medusa uscita venerdì 7 novembre 2008.     


Sylvia è la responsabile di un ristorante di lusso a Portland. È fredda e contenuta come l'ambiente che la circonda e percossa intimamente dalle onde di un mare in perenne tempesta. Mariana è una ragazzina che ha intrecciato una relazione con Santiago, dopo che un rogo si è portato via il padre di lui e la madre di lei, nella deserta pianura del New Messico. Maria è una bambina messicana che vive felice con il padre, fino a quando un incidente non cambia improvvisamente ogni cosa.
The burning plain, esordio alla regia dello sceneggiatore Guillermo Arriaga, confermando la sua fedeltà a 
uno stile ormai codificato di racconto, ne illumina la sensibilità introspettiva, la personalità artistica sicura, in una parola la pienezza e l'autonomia creativa. Nella scrittura di Arriaga - Babel lo testimonia - c'è sempre un momento che apre la diga e fa debordare, inarrestabile e potente, il film-fiume. Quel momento coincide con un incontro e, spesso, l'incontro è con uno sconosciuto, l'altro che rivela il sé. Non tanto, o almeno non più, personaggio-funzione, ma nodo di quell'immaginaria mappa spazio-temporale che i suoi racconti inventano con precisione e millimetrica coerenza. Percorrendo le strade della mappa -qui circoscritta dai quattro punti cardinali di terra, aria, acqua e fuoco- l'incidente è certo, tragico, irreparabile. Tale che devia il percorso, cambia la vita, la re-inventa, perché è questo il senso del suo narrare: andare ("sulla strada"), inciampare, "finire" per vivere.Il viaggio di Sylvia lungo la mappa della sua storia, prende l'avvio dall'incontro con uno sconosciuto proveniente da una terra che il regista conosce bene, il Messico, e dalla quale non ha più bisogno di allontanarsi esageratamente. Non è il caso (come altrove) a fare da guida, piuttosto, al contrario, la necessità. Con pochi, importanti scarti rispetto al già dato, Arriaga dimostra di saper evitare le trappole di un sistema di scrittura che, per quanto estensibile all'infinito, rischiava evidentemente di divenire già gabbia. Letteralmente patetico anche se non per questo melodrammatico, The burning plain è un frutto maturo. La penna, così come i personaggi, si è fermata "al limite", un attimo dopo sarebbe scaduta nel cattivo gusto, un attimo prima il gusto non sarebbe stato pieno.Rispetto al collega Inarritu, che ha portato sullo schermo le sue migliori sceneggiature (e migliori di questa), Arriaga sceglie la strada che ha fatto sua in letteratura: nessuna patina, nessuna maschera sulla crudeltà dei luoghi e del cuore. Per questo, soprattutto, e per l'intensità richiesta alle attrici, il film non è già tutto sulla carta ma trova l'emozione. Charlize Theron, Kim Basinger, Jennifer Lawrence, Tessa Ia. Donne, ma soprattutto madri e figlie, perché è la "generazione" il cuore di quest'opera: personaggi che hanno generato e sono stati generati e che, in virtù o per colpa di ciò, generano a loro volta il film, all'interno di un progetto autoriale in cui l'arte cerca di riprodurre il più esattamente possibile il moto della vita, per osmosi più ancora che per mimesi. Un progetto di cui Arriaga, con questo film, ribadisce e rivendica, appunto, la genitorialità.

tres