giovedì 4 luglio 2013

IL TAGLIAGOLE (Claude Chabrol)



Un film di Claude Chabrol. Con Antonio Passalia, Stéphane Audran, Jean Yanne Titolo originale Le Boucher. Poliziesco, durata 95' min. - Francia 1969

Il macellaio Popaul, duramente segnato dall'esperienza della guerra, crede di trovare una compagna nella maestra del paese Hélène, ma questa rifiuta di impegnarsi in un rapporto che vada oltre la semplice amicizia. Quando vengono ritrovati i cadaveri di alcune giovani donne, Hélène capisce che l'assassino è...
Ad un tratto, la tranquilla vita di paese viene sconvolta da una serie di efferati omicidi che fanno pensare alla possibile presenza di un serial killer. Sullo sfondo di un tipico ambiente di provincia, Claude Chabrol sviluppa un intreccio che passa dal melò al noir con elegante disinvoltura, con un occhio fisso sull'incontro di due solitudini che fa affiorare il ritorno di un sentimento amoroso probabilmente salvifico sia per Hèlène che per Popaul, e un'altro attento al sangue versato da innocenti fanciulle che riporta l'attenzione sulla brutale istintività delle pulsioni umane più violente. Amore e morte convivono con estrema naturalezza dunque, presupponendo nella loro intima coesistenza la presenza ingombrante di un passato duro a cadere nell'oblio, carico di cattivi pensieri e colmo di ferite che non si chiudono. Benchè il personaggio del macellaio sia facilmente leggibile, Chabrol ne fa un contraddittorio e problematico antieroe, facente parte di quella comunità assente e incredula, mentre l'interesse maggiore lo riveste Helene, la direttrice. La sua paura di amare deriva da un rapporto d'amore finito male anni prima e limita la possibilità di nuovi rapporti affettivi. Helene come detto appare come una donna emancipata, fuma per strada, vive da sola, proviene da un contesto lontano e diverso dal paesino in cui si trova. Dall'altra parte accetta passivamente la corte di Popaul come se fosse obbligata a farlo, come se fosse rassegnata all'esistenza del solo amore senza coinvolgimento nè sentimento, fatto solo di carne. Quando esplicita la sua diversità dal macellaio la situazione precipita fino all'emblematico finale dove sullo sfondo appare il paesaggio per la prima volta sfuocato e incerto. Helene posa il suo sguardo senza nessun obiettivo da mettere a fuoco, chiedendosi senza poter rispondere, se sacrificando sè stessa a Popaul si sarebbero evitate le tragedie seguenti. Chabrol ne fa una moderna Giovanna d'arco votata a un supplizio ma incapace di sostenerlo, trasfigurandone la figura che forse da lì in avanti può sentirsi parte integrata della comunità. E a Chabrol per fare de "Il tagliagole" una riflessione sulla natura violenta della società che arma la mano dei suoi potenziali carnefici. Con l'eleganza sorniona di sempre, usando il "genere" per parlare dell'uomo, della politica e, come in questo caso, condannare a suo modo l'abitudine primitiva di farsi la guerra. 

tres

STÉPHANE, UNA MOGLIE INFEDELE (Claude Chabrol)



Un film di Claude Chabrol. Con Michel Bouquet, Maurice Ronet, Stéphane Audran, Michel Duchaussoy, Donatella Turri Titolo originale La Femme infidèle. Drammatico, durata 98' min. - Francia 1968

Stephane è sposata con Charles e lo tradisce con Victor. Quando Charles scopre la tresca uccide Victor e ne fa sparire il corpo. Tempo dopo la polizia scorpre il delitto e interroga tutti quelli che hanno avuto a che fare con l'ucciso, tra cui Stephane. Quando la donna trova in una tasca di Charles una foto di Victor capisce tutto e non fa nulla per evitarne l'arresto. 
"La Femme infidèle" è a suo modo uno dei film più paradigmatici dell'intera filmografia di Claude Chabrol, che si sa, ama muoversi nelle torbide acque degli ambienti alto borghesi per arrivare ad aprire il sipario sulle sensazioni malsane che vi si annidano. Credo che l'espediente che più di ogni altro caratterizza il suo modo di fare cinema è questa calma apparente che sorregge gran parte dei suoi film, il fatto che i suoi personaggi si muovono con una naturalezza disarmante, come se tutto quello che dicono o fanno corrispondesse esattamente a quello che andava detto o fatto, necessariamente ed imprescindibilmente. Non c'è effetto che possa far dubitare sull'inevitabilità della causa che l'ha prodotto e c'è sempre una maschera pronta a celare sensazioni traditrici. In questo film si ha subito la sensazione che le cose non sono propriamente come ci appaiono, che qualcosa di strano cova sotto l'apparente giovialità familiare e la grandezza di Chabrol, qui come altrove, sta nell'insinuare il sospetto tra le pieghe di accadimenti banali, di generare uno stato di tensione latente facendo esclusivo ricorso a sfumature caratteriali o scarti emotivi. Ci mette di fronte alla necessità che qualcosa dovrà accadere, ma non si sa mai di preciso come, quando e perchè. Per circa metà del film lo spettatore è portato a nutrire gli stessi dubbi di Charles circa la fedeltà della moglie, dopodichè fa la conoscenza di Victor nell'unica occasione in cui lo ritroviamo insieme a Stèphane in quella che è una sequenza profondamente emblematica. "Anche un piccolo cambiamento potrebbe turbare il mio equilibrio" dice Charles nelle prime battute del film. Siamo sulla soglia dei grandi mutamenti di costume e di liberazione della morale, e Chabrol, il demiurgo francese dei vizi e delle virtù umane ne coglie il segno che intacca la classe borghese. Quando la vicenda prende la via della risoluzione e della verità, Chabrol non esita a infierire sullo spettatore con un finale fra i suoi più belli e contraddittorio, riportando sullo stesso piano spietatezza e sentimento, forse percepiti da entrambi i protagonisti per la prima volta nel nome di un malcelato compromesso alla sopravvivenza.
Kapu

A DOPPIA MANDATA (Claude Chabrol)



Un film di Claude Chabrol. Con Jean-Paul Belmondo, Antonella Lualdi, Madeleine Robinson, Jeanne Valérie Titolo originale A double tour. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 100' min. - Francia 1959

In una lussuosa villa, nei dintorni di Aix-en-Provence, vivono Henri Marcoux, la moglie Thérèse e i due figli, l’inetto Richard ed Elisabeth. Quest’ultima è fidanzata con l’insolente e fascinoso Lazlo. Henri Marcoux ha un’amante, la giovane e affascinante Leda, loro vicina di casa. La relazione è palese e la moglie la subisce pur di salvare le apparenze. Un bel giorno però, Leda viene assassinata... 
Dopo l'esordio, l'anno precedente, con Le beau Serge, Chabrol aveva girato l'altrettanto piacevole I cugini ed ora arrivava al terzo lungometraggio con questo soggetto tratto da un romanzo di Stanley Ellin e sceneggiato insieme a Paul Gegauff (già collaboratore per la precedente pellicola). Un cambio di cast (nei primi due film i protagonisti erano i medesimi) ed un approfondimento dei temi della famiglia e soprattutto dell'ambiente domestico borghese sono i due elementi maggiormente evidenti in questo A doppia mandata. Ritratto di borghesia in nero: il giovane Chabrol indaga e analizza con uno sguardo spietato, lucido, glaciale, amarissimo e sconsolato il lento sfasciarsi e disgregarsi di una famiglia come tante, ricca di possedimenti e di averi ma del tutto incapace di restare unita, distrutta da odi, paure, rancori, segreti, inganni e tradimenti per troppo tempo tenuti nascosti ed esplosi improvvisamente in tutto il loro fragore generando dolore e morte. Si è detto e scritto infinite volte che Chabrol realizza grandi film quando affonda il bisturi nei vizi, le debolezze e l’ipocrizia della società di provincia, meglio ancora se si tratta dell’alta o della piccola borghesia. « A double tour » è la prima opera del regista che si addentra in questo campo e la borghesia chiamata in causa è tutt’altro che piccola. Chi sia il colpevole viene immediatamente suggerito. Quel che interessa all’autore è descrivere una classe sociale disposta a dissimulare qualsiasi meschinità pur di assicurare la propria rispettabilità. Gli viene incontro il fior fiore degli attori della « Nouvelle Vague », da Jean-Paul Belmondo a Bernadette Lafont, passando per Madeleine Robinson, che per questa sua interpretazione vinse la Coppa Volpi alla Mostra di Venezia del 1959. Tornando a Jean-Paul Belmondo, trova qui un ruolo tagliato su misura : strafottente, esagerato, maleducatissimo, tiene banco per buona parte del flm, grazie a quel suo modo di recitare volutamente sopra le righe che ne segnerà il successo. Chabrol pone le basi per molti dei suoi futuri lavori, affrontando apertamente la spietata società odierna ed intessendo una trama sufficientemente 'nera'.

tres

IL BUIO NELLA MENTE (Claude Chabrol)



Titolo originale La cérémonie. Drammatico, durata 120 min. - Francia 1995

Un mattino d'inverno alla stazione di Saint-Malo la signora Lelièvre accoglie Sophie, la nuova cameriera. Subito apparentemente a suo agio nella gestione delle faccende domestiche, Sophie riesce a fare tutto e a soddisfare tutti. Se non fosse per quella sua strana mancanza di emozioni... Jeanne, la spigliata e curiosa postina del paese, riesce a fare amicizia con la nuova arrivata; i segreti delle due giovani donne, diversi ma ugualmente inconfessati, trasformano l'amicizia in una alleanza. La famiglia Lelièvre, senza saperlo e senza volerlo, si avvicina pericolosamente allo svelamento di questi segreti.
Ci sono tutti gli ingredienti del cinema di Chabrol in questa bella pellicola: dramma psicologico, ambiguità morale della borghesia, contraddizioni del modernismo. Uno di quei film in cui in apparenza non succede niente, dove i gesti quotidiani tessono una ragnatela di segnali inquietanti e trascinano la storia verso l'inevitabile esplosione finale. Da un romanzo di Ruth rendell (già portato sullo schermo in La morte non saleggere), una paradossale lotta di classe privata. Chabrol ha modificato molto la struttura del romanzo e cambiando soprattutto la caratterizzazione di Sophie e Jeanne, nel senso di conferirgli i tratti di personalità psichicamente disturbate e del tutto aliene a un discorso di scelte autenticamente consapevoli, direi che ha contribuito non poco ad annacquare la valenza politica del film se non in senso più lato e più generale. Aldilà di questo aspetto (che pure meritava di essere evidenziato), direi che ci troviamo di fronte a uno dei migliori film di Chabrol in assoluto. Un congegno a orologeria che in questo caso rasenta la perfezione, regolato da un raffinato affabulatore di cose di cinema e retto da un gruppo di attori straordinari. Jacqueline Bisset e Jean-Pierre Cassel grandi come sempre. Isabelle Huppert e Sandrine Bonneire semplicemente superlative (premiate a Venezia). 

tres

L'INFERNO (Claude Chabrol)



Un film di Claude Chabrol. Con François Cluzet, Emmanuelle Béart, Nathalie Cardone Titolo originale L'enfer. Drammatico, durata 65' min. - Francia 1993

Qual è il confine tra amore e gelosia? Lo stesso che intercorre tra normalità e pazzia, come dimostra la vicenda di questo albergatore di provincia. Regia nervosa e sorprendente di Chabrol e una grande prova della Béart
Paul ha tutti motivi per essere soddisfatto di se stesso. A trentacinque anni è riuscito a rilevare l'albergo in cui lavora, a rimetterlo a posto e a farlo diventare una specie di paradiso per clienti che cercano pace e tranquillità. E poi ha convinto la bella Nelly a sposarlo e a dargli un erede; non solo, ma la donna si dimostra un'abile collaboratrice nella gestione dei turisti. Forse il punto è proprio questo: Nelly è troppo abile. E' affabile, scherza con i clienti, ha una parola per tutti. Un giorno, nel salone dell'albergo, assiste a luci oscurate alla proiezione di diapositive portate da un amico di famiglia. Paul li sorprende e da quel momento il suo equilibrio mentale ne esce sconvolto. I due non hanno fatto niente, ma ogni gesto di Nelly adesso viene interpretato da Paul come una sicura prova di tradimento. In un primo tempo lei sembra divertirsi di questa improvvisa gelosia del marito. Ma la situazione precipita e coinvolge anche il buon andamento degli affari, i clienti assistono turbati alle scene isteriche sempre più frequenti di Paul. La moglie convince il medico di famiglia a far entrare Paul in una clinica psichiatrica, ma i due devono ancora passare una notte insieme...
L'inferno doveva essere l'ultimo film di Henri-Georges Clouzot (il regista di Vite vendute); nel 1964, dopo i primi ciak con Romy Schneider e Serge Reggiani, un infarto aveva impedito al regista di proseguire. Chabrol, esponente di punta della Nouvelle Vague, riprende il soggetto e ne fa uscire un film nervoso, sorprendente, bellissimo. Tutto rimane sospeso tra incubo e realtà, non sapremo mai se la donna ha o no tradito e come si sono svolte esattamente le cose nella loro ultima notte. Una storia d'amore intensa e struggente, con Emmanuelle Béart che si conferma attrice di punta del cinema francese. Claude Chabrol ha ottenuto i suoi esiti più lusinghieri quando ha affrontato i nidi di vipere nascosti sotto un'apparente calma piatta. Qui confeziona un film bello e terribile, elegante e angoscioso, dove il rapporto amore-gelosia, mette paura.

tres

L'ISPETTORE LAVARDIN (Claude Chabrol)



Un film di Claude Chabrol. Con Jean-Claude Brialy, Bernadette Lafont, Jean Poiret Titolo originale Inspecteur Lavardin. Giallo, durata 99' min. , Francia 1986

In una cittadina di provincia, poco dopo essere riuscito a far vietare la rappresentazione di una pièce giudicata blasfema, lo scrittore cattolico Raoul Mons viene trovato morto, accoltellato e lasciato nudo su una scogliera. Incaricato delle indagini e spedito sul luogo, Lavardin capisce ben presto che la soluzione del caso non va ricercata nel conflitto tra la troupe teatrale e lo scrittore, bensì nei consueti scheletri nell’armadio della famiglia di quest’ultimo.
Inutile raccontare gli sviluppi del piccolo giallo, che serve all’autore solo per affondare ancora una volta il coltello nelle ipocrisie e menzogne della borghesia di provincia. Gli aspetti più gustosi del film sono infatti costituiti dalla descrizione dei personaggi e dalla vivacità dei dialoghi. Chabrol fa ricorso ad amici fidati e di lunga data, primi fra tutti Jean-Claude Brialy e Bernadette Lafont. Nel film sono fratello e sorella, il primo deliziosamente gay, spiritoso ed eccentrico, la seconda leggermente squilibrata, diafana e distaccata, morbosamente legata al fratello e alla figlia avuta da un primo matrimonio. L’ispettore li conosce da tempo. In gioventù, la donna era stata una sua fiamma. Anche il secondo film di Claude Chabrol che vede come protagonista Jean Poiret nei panni dell’ispettore Lavardin rientra forse nella filmografia minore del regista, ma diverte e può essere considerato un giallo di buona fattura. Pur riprendendo un canovaccio e uno stile narrativo simili al film precedente, questo sequel mi è apparso più raffinato e studiato con maggior cura. Jean Poiret padroneggia un personaggio ormai rodato e lo arricchisce di un fraseggio al limite del sarcasmo, di un’ironia accentuata e di notevole snellezza recitativa. Forti del discreto successo ottenuto dalle due pellicole nelle sale cinematografiche, regista e attore insisteranno nella serie « Lavardin » con quattro telefilm di 90’, trasmessi tra il 1988 e il 1990 dall’emittente televisiva TF1.
Kapu

UNA MORTE DI TROPPO (Claude Chabrol)



Un film di Claude Chabrol. Con Michel Bouquet, Stéphane Audran, Jean Poiret, Lucas Belvaux Titolo originale Poulet au vinaigre. Giallo, durata 110' min. - Francia 1984

Una serie di omicidi sconvolge la provincia francese.
Un paese della provincia francese è sconvolto da una serie di delitti legati a un affare immobiliare. L'indiziato numero uno è Louis Cuno, il postino del paese. A condurre le indagini dalla capitale arriva nella cittadina l'ispettore Lavardin dai metodi poco ortodossi che avrà il suo bel daffare per tentare di districare l'ingarbugliata matassa. 
Claude Chabrol trae la vicenda da un romanzo di Dominique Roulet che firma anche la sceneggiatura. La figura dell'ispettore Lavardin interpretato da Jean Poiret darà origine a una serie di telefilm. Il film conserva personaggi piccoli e meschini tipici della provincia francese. Divertentissimo giallo nello stile più classico del grande regista : borghesia della provincia francese piena di scheletri negli armadi, omicidi, un ispettore alla Maigret, atmosfere alla Simenon e attori eccellenti. Gli ingredienti ci sono tutti, ma siamo in presenza di uno Chabrol più leggero del solito. Sa in partenza di non puntare alla grande opera d’arte ma, come ha spesso raccontato egli stesso, adorava queste trasferte in provincia, la ricerca delle locations, il contatto con le figure locali. Si divertiva e faceva gustosamente divertire il suo pubblico. Altrettanto in sintonia appaiono i suoi attori. L’ « inspecteur Lavardin », interpretato da Jean Poiret, con il suo comportamento al limite del lecito per un poliziotto e la sua aria apparentemente bonaria, compare solo dopo 40 minuti e funziona molto bene, tanto da meritarsi un « sequel » l’anno successivo con l’altrettanto valido « Inspecteur Lavardin ». Non meno convincente la figura della classica madre psicotica, ossessivamente e morbosamente attaccata al figlio, cui da vita Stéphane Audran, ex-moglie di Claude Chabrol e interprete di alcuni tra i suoi capolavori (« Il tagliagole » e « Stéphane, una moglie infedele », entrambi del 1969, « L’amico di famiglia » del 1972, « Violette Nozière » del 1978 e « Betty » del 1992, tanto per citare quelli che considero i migliori). Qui, Stéphane Audran è una povera madre abbandonata dal marito e inchiodata su una sedia a rotelle. Difende la sua casa minacciata da imprenditori senza scrupoli che tentano di sfrattarla, ma è un personaggio completamente fuori di testa. Parla con il marito assente, nel finale incendia la sua stessa casa... Una figura politicamente scorrettissima, come amava crearle quel burlone di Claude Chabrol. Altro attore feticcio del regista, Michel Bouquet è ovviamente perfetto nel ruolo del notaio notabile del paese, perfido e vile.
Kapu

SÉRAPHINE (Martin Provost)



Drammatico, durata 125 min. - Francia, Belgio, Germania 2008

1914, venti di guerra sull’Europa. Nella provincia francese si è ritirato Uhde, insigne gallerista e critico d’arte parigino, ma di origine tedesca, che comincia a sentire sulla propria pelle la tensione del conflitto prossimo venturo. Al suo servizio Séraphine Louis, domestica dai modi spicci raccomandata dalle suore e dalla ricca ma grossolana locataria. Séraphine, quasi in segreto, dipinge, e quando Uhde si accorge di avere a che fare con un talento eccezionale, cambia la natura del loro rapporto.
Grande successo del cinema francese “d’autore”, distribuito in Italia con due anni di ritardo, Séraphine è il tipico film da cineforum, di cui non si può che parlare bene. Invita al dibattito sciorinando temi diversi, dall’emancipazione della figura femminile al centro della scena (autodidatta, culturalmente acerba, vagamente simile alla nostra Alda Merini, poetessa) all’esasperazione dei conflitti di classe (ancora una volta, veri motori della storia) fino alla relazione di crescita reciproca tra due personaggi di estrazione sociale opposta. Tutto in questo film lascia tracce, e negli occhi entra la meraviglia di quei colori stesi sulla tela dalla mano rozza, callosa, con le dita annerite di Séraphine, la serva, la lavandaia, la fille de Marie un po’ tocca, che le pie suorine biancovestite tengono con loro, cantano insieme il Veni creator spiritus prima di far merenda con vocine angeliche, e quel réfrain è tutto quel che ha imparato Séraphine di musica, e lo canticchia mentre dipinge sul pavimento della stanza di cui non riesce a pagare l’affitto. La vita di Séraphine è quella del baco da seta nel bozzolo da cui uscirà la farfalla, unico pensiero dominante è trasferire le forme semplici della natura sulla tela, e i colori li prende da lì, li impasta con la cera delle candele sull’altare, uno sguardo mortificato al Crocifisso e via, il rosso è il sanguinaccio rubato nella cucina del macellaio, l’azzurro, il giallo, il verde sono tutti nei campi, a mazzi di cui riempie il canestro. La prova della protagonista Yolande Moreau, premiata con un meritato César, l’Oscar francese, è semplicemente superba. Bellissime le due sequenze di preparazione dei colori (la ricerca delle materie prime naturali al fiume e la lenta lavorazione, come se la donna artista stesse cucinando). Minuziosa l’immedesimazione con una figura realmente esistita, figlia povera di un’epoca. Tuttavia il personaggio più interessante e meno prevedibile del film è Uhde (Ulrich Tukur), tormentato intellettuale vittima due volte dell’idiozia umana e della carneficina imminente (traditore per i tedeschi, nemico per i francesi). E mentre si passano in rassegna gli autentici bozzetti di Picasso, il critico resta affascinato, persino intimorito soprattutto dai soggetti di Séraphine, che anticipando gli umori cupi del secolo breve appena cominciato non dipinge che mele, pere, foglie... Nature morte.
Kapu