lunedì 24 giugno 2013

SALO' O LE 120 GIORNATE DI SODOMA (Pier Paolo Pasolini)



Un film di Pier Paolo Pasolini. Con Caterina Boratto, Paolo Bonacelli, Giorgio Cataldi, Umberto P. Quintavalle, Elsa De Giorgi, Anna Recchimuzz, Ines Pellegrini, Antonio Orlando, Aldo Valletti,Sonia Saviange, Antiniska Nemour Drammatico, durata 116' min. - Italia, Francia 1975

Un Duca, un Monsignore, un Presidente della Corte d'Appello e il Presidente, fanno sequestrare in una villa controllata dai soldati repubblichini e dalle Ss alcuni giovani di entrambi i sessi. Guidati da quattro megere ex prostitute e stimolati dai loro racconti, li sottopongono a tortura e li usano per i propri perversi piaceri. 
Riflessione sulla cultura della morte e della sopraffazione che regola i rapporti sociali nella contemporaneità. Un film sul potere come arbitrio, letto attraverso Sade, e ambientato nel momento storico in cui il potere aveva mostrato il volto più irrazionale (ma come atroce metafora del presente). Nonostante lo spessore del discorso "Salò" si tiene lontano da qualunque didascalismo "rivoluzionario". È un testamento sofferto e quasi insostenibile. Uscito dopo la morte di Pasolini, fu oggetto di una assurda querelle giudiziaria. La rappresentazione del male allo stato puro. Non di un male diabolico, esoterico, proveniente dall'esterno, ingigantito dalle circostanze. No. Questa è la rappresentazione della malignità insita nella natura umana. Gridate pure allo scandalo, abbandonate la sala, bruciate il film e tutte le pellicole esistenti, indicate PierPaolo l'eretico, il sodomita il pervertito. Certo starete bene per un po', scaricando su un facile bersaglio l'orrendo senso di colpa, potrete sentire la vostra anima lavata e linda, vi sentirete al sicuro. Fino a quando qualcuno vi obbligherà a vedere, o meglio farà in modo che non facciate finta di non vedere. Dopo la trilogia della vita questo trionfo medioevale della morte purtroppo diventa profezia. Il corpo martoriato di Pasolini verrà trovato in un’alba livida di Novembre sul lungomare di Ostia. Il confine è stato varcato PierPaolo, non si torna più indietro. Iniziano i dibattiti sul film e sulla tua morte e per uno scherzo del destino, con i giudizi e con le parole, del tuo corpo viene fatto scempio, della tua dignità di artista e letterato viene fatto un falò indecoroso. Sei torturato, ti fanno bere piscio e ingoiare merda, ti tagliano finalmente la lingua per non farti parlare, ti cavano gli occhi per non farti più guardare, ti bruciano l’uccello perché è troppo sovversivo e si infila in buchi immorali. Si, ti hanno abbandonato tutti, soprattutto quelli che sapevano quello che facevano. Prima che il Gallo canti ti avranno rinnegato settanta volte sette. E’ l’estate, fredda, dei morti.
Kapu

IL FIORE DELLE MILLE E UNA NOTTE (Pier Paolo Pasolini)




La storia di Nur-el-Din e della bellissima schiava Zumurrud; la trappola tesa da Tiffané e Zeudé per scoprire chi sia miglior amante fra un ragazzo e una ragazza. E ancora: i diversi destini di Aziz e di Tagi, il primo punito con l'evirazione per un tradimento amoroso, il secondo, invece molto più fortunato. Infine due prìncipi, per cammini diversi ma ugualmente avventurosi, finiscono per farsi bonzi.
Tratto dalla famosissima raccolta di novelle orientali, il film di Pasolini (oltre a chiudere la "trilogia della vita", iniziata con "Il Decameron" e proseguita con "I racconti di Canterbury") comincia e racconta (come storia principale) l'amore e le peripezie tra Nur ed-Din e la sua schiava Zumurrud, con il resto dei racconti che procedono e si incastrano con il racconto principale. Il film presenta ottime narrazioni non manichee e non retoriche. E'un film che richiede un surplus di attenzione per non perdersi nei vari intrecci delle diverse storie, si avvale di un ottima ambientazione (ricostruita dal vero in Africa, Yemen, Iran ed addirittura Nepal). Naturalmente nella coerenza di un approccio realista e popolare anche la sessualità è vista in maniera molto libera pur se lo sguardo della cinepresa non ha nulla di morboso. Sembra tutto molto naturale, chi vi ha visto oscenità (e il film si beccò la classica puntuale denuncia per oscenità da parte di qualche bigotto benpensante) probabilmente non conosce il limite tra arte e oscenità. E'solo vittima di inutili pregiudizi. Il più bello, favoloso e poetico dei film della cosiddetta "Trilogia della vita", nonchè il più riuscito, ricco di una sessualità che non è mai sovrabbondante nè volgare, ma vuole essere, nelle intenzioni dell'autore, ed è realmente, un ritorno ad un passato mitico, purtroppo ormai scomparso, che nella mente del poeta- regista coincideva con il Terzo Mondo, in cui la sessualità viene vista come un bisogno naturale, pari al mangiare, al bere, al dormire, quindi mai peccaminoso, anzi innocente e puro. Il sesso puro e innocente che non esiste nella nostra società apparentemente tollerante e libertaria, dove però in realtà il sesso o viene imposto dal comportamento comune o è mercificazione dei corpi. Suntuosa la scenografia, molto bravi gli attori, anche quelli non protagonisti, poetico e indimenticabile il sogno della colomba, bellissimo l'episodio con Ninetto Davoli.
Kapu

I RACCONTI DI CANTERBURY (Pier Paolo Pasolini)



Un film di Pier Paolo Pasolini. Con Hugh Griffith, Franco Citti, Laura Betti, Ninetto Davoli, Joséphine Chaplin, Alan Webb, Tom Baker, Vittorio Fanfoni, Anita Sanders, Vernon Dobtcheff, Jenny Runacre, Philip Davis Commedia, Ratings: Kids+16, durata 122' min. - Italia 1972

Pellegrini in viaggio per Canterbury si raccontano novelle: uno studente seduce la moglie di un superstizioso legnaiolo; due amici si vendicano di un mugnaio disonesto; le disavventure del candido e gaio Perkin; una donna insaziabile "consuma" cinque mariti; un maturo scapolo sposa una moglie troppo giovane; la discesa agli inferi di un frate; gli insuccessi di un altro frate a cui nessuno vuole comprare le reliquie.
Le storie raccontate dai pellegrini diretti a Canterbury, sono quelle che noi non vogliamo raccontare, quelle che parlano di argomenti troppo scottanti ed “inappropriati” per poter essere ascoltati, l'opera di Chaucer non rappresenta solo uno schiaffo diretto all'ipocrisia della Chiesa quattrocentesca, al suo degrado, e alla sua corruzione, ma una divertente ed assurda visione dei comportamenti dell'uomo in versione “integrale”, non giulivi ed innocenti come ne Il Decameron, ma rozzi ed infimi come quello delle bestie, anzi, gli uomini, con la loro emotività ed il loro profondo ed indistruttibile egoismo, si riducono ad un livello ancor più basso di quello di un comune animale (che non fa altro che sopravvivere, e non accaparrarsi quanto più è possibile diventando sempre più ingordo). Può tutto questo non ispirare un genio come Pasolini? Certamente no, e nel secondo capitolo della Trilogia della vita, lasciandosi scappare anche un omaggio a Charlot (nel delizioso episodio con Ninetto Davoli), ci parla della felicità irriducibile degli esseri umani, accostata al suo innegabile aspetto folle ed incompatibile con qualsiasi tentativo di civilizzazione (ed è proprio quest'ultimo fattore, forse, a sembrare il più ambiguo e contraddittorio dei nostri comportamenti), senza utilizzare attenuanti narrative (come sempre del resto) e senza fare a meno, neanche un secondo, dei suoi slanci di coraggio: ci sono disgustosità a go go (peti, sangue, scene di nudo di ogni genere, “sporcaccionerie”, e così via), storie di tradimenti (di ogni genere), di omicidi, di inganni e di omosessualità, c'è una chiara denuncia alla corruzione della Chiesa (con i criminali ricchi che vengono lasciati in pace e quelli poveri che vengono arsi vivi) e ci sono analisi caratteriali di persone avare, egoiste, maniache, vanitose, ignoranti e superstiziose. C'è comunque da dire che il regista non fu mai del tutto soddisfatto del risultato del film (nonostante l'Orso d'oro a Berlino), e cerco di cambiare il montaggio aggiungendo e togliendo diverse scene, con una versione semi-definitiva che presenta quasi mezzora in meno rispetto a tutto il girato, ma che non rappresenta completamente quanto voluto in partenza. Un film importantissimo come “figura”, ma uno dei meno riusciti di Pasolini, anche se ciò, comunque, non significa che sia brutto, anzi tutt'altro.
Kapu

IL DECAMERON (Pier Paolo Pasolini)



Un film di Pier Paolo Pasolini. Con Franco Citti, Ninetto Davoli, Angela Luce, Silvana Mangano, Pier Paolo Pasolini, Gianni Rizzo, Guido Alberti, Lino Crispo, Vittorio Fanfoni, Guido Mannari,Vincenzo Amato, Giovanni Esposito, Giacomo Rizzo, Enzo Spitaleri Commedia, Ratings: Kids+16, durata 110' min. - Italia 1971

Le novelle di Ser Ciappelletto, morto in odore di santità, e dell'allievo di Giotto ne legano altre sette: Andreuccio viene derubato da una donna che si finge sua sorellastra, ma si rifà spogliando di tutti i gioielli la salma di un alto prelato; Masetto, finto sordomuto, entra in un convento di suore dalle quali si lascia sedurre; Lisabetta conserva la testa dell'amato, ucciso dai propri fratelli, in un vaso di basilico; Caterina e Riccardo coronano il loro sogno d'amore con il matrimonio; dall'Aldilà Tingoccio rivela al timorato Meuccio che far l'amore non è peccato; fingendo di volerla trasformare in puledra, donno Gianni si gode la moglie di un ingenuo contadino; l'infedele Peronella induce il marito a introdursi in una giara per impedirgli di scoprire il suo amante.
Il film inaugura la trilogia con la quale Pasolini intese attaccare la cultura sessuofobica. Il mondo borghese di Boccaccio è trasformato in una mitica età dell'oro popolare, regno di una gioiosa e innocente assenza di tabù. Pervaso da una incredibile vitalità, il film è intriso di tutta la pacatezza formale del mondo, che si ricongiunge all’idea sessuale di Pasolini, come concentrazione di ogni proprio stimolo animalesco. Nei corpi che si uniscono sessualmente, il poeta e regista costruisce tutti i simboli della corruzione trecentesca, tutti i vizi, che appartengono ad ogni ceto sociale, dai più elevati, ai poveri, addirittura agli ecclesiastici. Pasolini destrutturizza il potere, ricordandoci che davanti al sesso anche le classi sociali scompaiono, e che desideri carnali sono desideri comuni a tutti gli esseri umani. Il film è il primo della cosiddetta “Trilogia della vita”, che accompagnerà la produzione cinematografica di Pasolini per un lustro. Dunque, il poeta, tramite un pervertivismo artistico molto accentuato, provoca, come ha sempre fatto e cerca di scuotere un mondo piatto e senza vita, un’epoca morta, distrutta dai mass-media, che demonizzano qualunque cosa. Il film è di gran lunga il migliore della trilogia, e si serve di un cast di attori noti (Ninetto Davoli, Silvano Mangano) e di molti attori meno noti, i soliti che Pasolini riesce a trovare scrutando la periferia. Alla fine, questo Decameron è quasi una battaglia, tra mondo borghese e sottoproletariato. La borghesia ne esce distrutta nella rivisitazione pasoliniana, ne esce con le ossa tutte rotte e senza più nulla da dire. Non ha vinto nessuno, nemmeno il sesso. Anzi, forse ha vinto l’arte.
Kapu

MEDEA (Pier Paolo Pasolini)



















Un film di Pier Paolo Pasolini. Con Massimo Girotti, Maria Callas, Giuseppe Gentile, Laurent Terzieff, Sergio Tramonti, Piera Degli Esposti Drammatico, durata 118' min. - Italia 1969.

Giasone provoca l'ira della maga, lasciandola per la figlia del re di Corinto.
Giasone sbarca in Colchide con gli Argonauti alla ricerca del Vello d'Oro; viene aiutato dalla maga Medea, che, invaghitasi di lui, lo segue nel ritorno. Giasone la sposa e ha da lei due figli. Quando però, accecato dall'ambizione l'abbandona per sposare la figlia del re di Corinto, la vendetta di Medea si abbatte implacabile.
Dal testo forse più impegnativo di Sofocle, Pasolini trae un film tragico a sfondo antropologico, poiché quello che gli interessa di più è mostrare Medea che appartiene ad un popolo primitivo, rispetto alla civiltà greca nella quale tenta di integrarsi. Rilettura del mito greco messa in scena da Pasolini con risultati di grande lirismo. Le geometrie rinascimentali della Piazza dei Miracoli, i torrioni rocciosi della Cappadocia, l'estrosità dei costumi, la bellezza dei paesaggi: straordinaria ricchezza figurativa al servizio di una rara sobrietà narrativa. La tragedia di Euripide già è bellissima, Pasolini riesce ad aggiungerci del suo portandone in luce tutta la modernità e la potenza tragica di un archetipo che ritorna in continuazione nella storia e nelle nostre vite. Decisamente geniale l'ambientazione "metafisica" in cui il contrasto fra le grotte della cappadocia e il campo dei miracoli di Pisa simboleggia in gran stile un contrasto che spacca in due le nostre vite. Il film, insieme a Teorema, il Vangelo secondo Matteo ed Edipo Re rappresenta un punto inarrivabile del cinema, un momento di grandissima ispirazione. "Tutto è santo, non c'è niente di naturale nella natura. In ogni punto dove guardi è nascosto un dio e seppure egli non c'è, ha lasciato i segni della sua presenza sacra. Quando la natura ti sembrerà naturale tutto sarà finito e inizierà qualcos'altro". L’obiettivo di Pasolini riesce a trasformare i personaggi in icone universali, i cui sentimenti non sono impulsivi moti dell’animo, ma lucide espressioni della coscienza, momenti di riflessione sul proprio ruolo nella storia dell’uomo. Ecco perché quest’opera si sottrae ai limiti del tempo e dello spazio, come la vera poesia. L’universalità è sottolineata da un mirabile esercizio acrobatico di ripresa, tra Piazza dei Miracoli a Pisa e l’Anatolia.
Kapu

PORCILE (Pier Paolo Pasolini)




Cannibalismo in tempi remotissimi. Oggi, un giovane se la fa coi maiali.
Due storie distanziate da millenni. Nell'antichità, un gruppo di selvaggi impara a nutrirsi di carne umana, finché la "società" li condanna a morte. Nel presente, il giovane figlio di un industriale, che nutre una passione morbosa per i porci, rifiuta la fidanzata. Non si inserisce nell'azienda, ma nemmeno contesta; finirà sbranato dagli stessi maiali mentre il padre si allea a un criminale nazista.
La reiterata continuazione della società dei potenti, una società che divora i suoi figli per poi rigenerarsi sotto altre vesti : un'altra pervenza di perbenismo per un altro orrore sociale. "Porcile" è uno dei film più chiaramente apocalittici del grande poeta friulano. Un film che sceglie il grottesco per meglio sottolineare la centralità della creazione artistica consapevole e che tende all'irrealtà per meglio raccontare la verità della disumanizzazione. E' un film con una tesi forte : è storicamente accertato che i detentori del potere costituito tendono a distruggere ogni agente estraneo all'idea di ordine che si intende imporre. Non importa se si è obbedienti o meno, ciò che principalmente interessa al potere è generare le condizioni per quell'assolutamente indifferenziato in cui tutto diventa necessarimente la promanazione del suo arbitrio, il frutto della volontà eterodiretta di una massa informe e incolore. Quello che spaventa è la coscienza critica, la sacralità di un'idea di diversità autonomamente condotta fino all'estreme conseguenze. Evenienza questa che, in una società che cannibalizza tutto e che svuota di contenuto ogni cosa, solo nella pura essenzialità del vivere quotidiano può trovare il suo più naturale compendio, l'originale testimonianza di una vita autenticamente vissuta. La sterile rinuncia alla vita o la solitaria ribellione sociale diventono un mero delirio esistenziale se non accompagnati da un recupero del senso più sacro della vita. Neanche tanto paradossalmente diventano funzionali alla rigenerazione di quel potere che si intende combattere (come il giovane cannibale e Julien che vengono divorati dalla sostanza della società che hanno rifiutato) in quanto ne legittimano l'autorità fortificandone la natura repressiva. Per meglio solidificare questa posizione, i potenti attuano il rito della fusione : la mescolanza indifferenziata di ogni attività umana debitamente svuotata di senso e autenticità. Come viene detto da Herr Klotz, una società siffatta mantiene una "grande capacità di digerire", di interessarsi a ciò che ha cannibalizzato. Tutto rimane uguale perchè manca la forza sufficiente per renderlo diverso. "Porcile" è un tipico esempio delle capacità e modalità di analisi di Pier Paolo Pasolini che ha sempre guardato in faccia i problemi dell'occidente filtrandoli con la sua sensibilità di poeta. Non fa sconti nella rappresentazione "oscena" dei suoi effetti possibili e il guaio è che i fatti hanno dimostrato che quasi sempre c'ha visto giusto.
Kapu

TEOREMA (Pier Paolo Pasolini)




La feroce satira antiborghese di Pasolini nell'anno della contestazione.
Lucia (Mangano) e Paolo (Girotti) sono una tranquilla coppia borghese con due figli studenti, Odetta (Anne Wiazemsky) e Pietro (Cruz Soublette). In casa vive anche la domestica Emilia (Betti). Poi arriva un ospite (Stamp) che diventa il centro dell'attenzione, e non solo platonica, di tutta la famiglia. Sarà il principio della fine: il padre lascia la fabbrica agli operai, la madre si scopre ninfomane, la figlia impazzisce, il figlio si dà all'arte e la cameriera muore in odore di santità. 
"Teorema" è una parabola antiborghese che inizia il "68" cinematografico di Pier Paolo Pasolini e che segna il punto più alto del suo isolamento intellettuale. Un'allucinazione visiva di affascinante resa figurativa, ricca di sfumature stilistiche (montaggio alternato, alternanza di colori) e di rimandi allegorici. Chi è il giovane ospite ? Un angelo venuto a chiarire il senso dell'esistenza di ognuno o il diavolo tentatore venuto a giustificare l'inizio della fine ? O l'uno o l'altro, fa lo stesso. Ciò che importa è che rappresenta un peso da cui è impossibile sottrarsi una volta che si è palesato. La sua presenza costringe a guardarsi dentro e la sua assenza rende difficile il confronto con ciò che si è scoperto. La risultante è che un mondo fondato sulla santa parvenza di moralità viene minato alla base dalla presenza discreta di un estraneo, dal magnetismo indagatore di un idea altra di verità, che arriva a mettere in crisi certezze consolidate e a certificare la natura sistemica dell'irredimibilità della borghesia. Il giovane ospite è portatore di un'alterità che si mostra con una naturalezza disarmante ed è la sua assoluta estraneità a quei valori di ordine, benessere, possesso, quelli che garantiscono il mantenimento nel tempo di una spiccata identità borghese, a determinare l'impossibilità dei membri della famiglia a rapportarsi con lui mantenendo intatti i caratteri del loro conservatorismo sociale. L'ospite li conduce uno alla volta in campo aperto, li porta a rivelarsi a se stessi e a mettere in crisi il vicendevole vincolo sociale accentuando il grado del loro innato individualismo. Ognuno ha fatto sesso con lui e ognuno vi ha scoperto qualcosa di nuovo della propria personalità, un'idea del diverso che li riguarda personalmente e che li spinge a ricercare nell'altro da sè il senso profondo della propria identità. Quanto più la borghesia è condotta verso l'altro, senza che questi possa diventare oggetto della sua naturale tendenza omologatrice, tanto più essa è costretta ad annullarsi, a vagare nel deserto rivolgendo il suo sguardo verso il nulla che gli è rimasto di fronte. Questo è il teorema di Pasolini il Poeta.
Kapu

EDIPO RE (Pier Paolo Pasolini)



Laio e Giocasta si sentono minacciati dalla profezia secondo cui il loro figlio Edipo ucciderà il padre e sposerà la madre. Così ordinano a un servo di uccidere il neonato, ma questi viene raccolto da un pastore e allevato da re di Corinto. Edipo, ormai uomo, apprende il vaticinio e fugge, ma, il destino lo guida inesorabilmente al compimento dell'atroce profezia. Edipo, disperato, si acceca.
Nel 1967 PierPaolo Pasolini filtra le tragedie di Sofocle “Edipo Re” ed “Edipo a Colono” attraverso il suo pensiero e il suo stile cinematografico. L’Edipo pasoliniano si sviluppa in tre fasi: un prologo, il testo originale e un epilogo che hanno come filo rosso il destino scritto dell’uomo, la lotta per combatterlo e l’ineluttabilità finale. Fedele al testo delle tragedie di Sofocle "Edipo re" ed "Edipo a Colono", il film si avvale di scenografie suggestive (moderne nell'introduzione e nell'epilogo) e di immagini di plastica efficacia. Pasolini fonde accortamente "barbarie" e raffinatezza. Pasolini plasma l’Edipo Re con il primitivismo (ancora originale) del suo stile: primi piani, macchina a mano, asciuttezza nei dialoghi; si stacca dai canoni della tragedia greca per rappresentarne una sua personale visione. Alcuni personaggi minori parlano con accento meridionale denotando una diversità antropologica, sociale e linguistica. Anche la scelta del cast è orientata con quanto detto prima ed è coerente con la sua poetica cinematografica. Tra il professionale e il dilettantismo, lo sperimentale e il primordiale. Naturale e istintivo come l’Edipo interpretato da un ottimo Franco Citti doppiato da Paolo Ferrari (come in Accattone), Ninetto Davoli perfetto messaggero candido e angelico. Il poeta Francesco Leonetti (servo di Laio) e Giandomenico Davoli (il pastore di Polibo). I talenti teatrali (allora emergenti) Julian Beck (Tiresia) e Carmelo Bene (Creonte). Le eccellenti e indimenticabili presenze di Alida Valli (Merope) dagli occhi espressivi e unici e la Giocasta di Silvana Mangano: enigmatica, sensuale, laconica alla quale basta uno sguardo, un’espressione per comunicare sentimenti, presagi e imminenti sciagure. Grande attrice. E infine le musiche di Mozart alternate a canti e spiritual tribali e popolari dalla varie anime. “Edipo Re una tragedia antica e moderna” resa ancora più tale dall'irripetibile Pasolini.
Kapu

UCCELLACCI E UCCELLINI (Pier Paolo Pasolini)




Meditazione comico-filosofica di Pasolini sulla Storia vilipesa e dimenticata.
Totò e Ninetto si recano a sfrattare della povera gente da una cascina della periferia romana. Strada facendo, si affianca loro un corvo, intellettuale veteromarxista, che racconta di come frate Ciccillo e frate Ninetto cercarono invano di convincere passerotti e falchi a fare amicizia. Dopo aver, tra l'altro, incrociato i funerali di Togliatti e fatto l'amore con una prostituta, i due hanno fame. Il corvo parla e parla: finisce divorato. Favola filosofica in cui Pasolini parla del suo tempo dal punto di vista di un intellettuale in crisi. 
Un film atipico per il cinema italiano (ma anche per quello mondiale), un apologo sociopolitico sotto forma di fiaba come solamente a Pasolini poteva venire in mente: quarant'anni dopo questo lavoro, il dibattito se il suo autore sia un genio o un folle è ormai concluso con il massivo riconoscimento del genio. Nella favola di Pasolini, la virtù dominante dei due protagonisti è quella di viaggiare senza alcuna direzione, di accettare lo sviluppo della società in senso capitalistico senza un reale progresso della società stessa. Una società dove il materialismo vincente è quello del denaro e del sesso a pagamento. Una società sempre più piccolo-borghese che non riesce più fare la storia ma è costretta a subirla. Una società la cui unica ideologia è una non-ideologia, che accentua il declino delle ideologie, siano esse marxiste o cristiane. Alla fine infatti il destino del corvo-intellettuale è segnato, sarà mangiato, sarà mercificato visto che i suoi insegnamenti restano inascoltati. Il nostro riesce ad essere comico, ironico, tragico, e surreale, riuscendo a toccare tutte le corde della sensibilità umana. La comicità del film sta nella maschera definitiva che è Totò per il quale il regista crea delle sequenze da cinema muto richiamando Chaplin e Keaton ( come già aveva fatto nella ricotta). L'ironia è quella dei due personaggi che sanno di non poter trovare godot, ma lo cercano lo stesso affidandosi ai cartelli stradali più assurdi della storia del cinema. L'inserto francescano raggiunge il surreale quando il poverello di Assisi, preso atto del fallimento della missione evangelizzatrice di falchi e passerotti che tra loro si scannano e si scanneranno sempre, si mette a citare la lotta di classe ai due poveri frati ciccillo e ninetto che sconsolati e sorpresi riprendono la missione. Il funerale di togliatti visto attraverso le immagini di repertorio di lacrime e pugni alzati è forse uno degli ultimi momenti storici veramente e puramente tragici del nostro paese nel senso che appunto Pasolini dava alla definizione di tragico, come momento non ancora inquinato dalla logica della società dei consumi dove tutto è mercificato per essere venduto.
Kapu

IL VANGELO SECONDO MATTEO (Pier Paolo Pasolini)




Il film ripercorre i momenti salienti del Vangelo: l'annunciazione, i Magi, la fuga in Egitto, la strage degli Innocenti, Gesù nel deserto, la guarigione del lebbroso, il discorso della montagna, la morte del Battista, la moltiplicazione dei pani e dei pesci, l'ingresso in Gerusalemme, la passione, la resurrezione. 
In anni dominati dall'iconografia cinematografica hollywoodiana e dalle sue ricostruzioni bibliche spettacolari, Pasolini impose questo film straordinario per fedeltà letterale al Vangelo, interpretato da attori non professionisti, girato a Matera e altrove, con una colonna sonora raffinatissima elaborata insieme a Morricone e un uso della camera sospeso tra rapidità documentaristica e distanza monumentale. Gran premio della giuria a Venezia. Dedicato alla cara, lieta e familiare memoria di Giovanni XXIII, è un film che con il suo sincretismo formale, la scabra luminosità, i rapporti pittorici ispirativi, la molteplicità delle forma, e i riferimenti concreti al Terzo Mondo (che non è qui più e soltanto preistoria) , ma anche con le sue apparenti contraddizioni latenti che sono poi la sua forza maggiore, raggiunge una forte tonalità epico-religiosa (il Morandini), oscillando tra un viscerale e profondo “fervore” che potremmo definire “cristiano” e un sentito, autentico furore anche di denuncia contro i mali endemici del mondo e delle società (l’ipocrisia, l’inganno, i soprusi dell’uomo sull’uomo), delle sofferenze laceranti che essi determinano (le urla dei ladroni quando i chiodi penetrano nelle mani, le convulsioni di Maria ai piedi della croce), che si estrinseca alla fine in un sentimento “accusatorio” di odio e disprezzo verso i potenti ed ogni forma di sopraffazione. Emozionante e bello come nessun altro film che sia stato tratto dai Vangeli, è – lo ripeto ancora una volta – una “rappresentazione” laica della Passione che mette in evidenza l’umanità più che la divinità di un Gesùpugnace, medievale, carico di tristezza e di solitudine, o, per meglio dire ancora, citando ciò che ha scritto Alessandro Bencivenni, Trionfo quasi perfetto del tipico manierismo pasoliniano, impasto raffinato di grigi e di bianchi (straordinaria la fotografia di Tonino Delli Colli e fondamentale l’utilizzo delle riprese mediante l’uso della cinepresa a spalla manovrata dallo stesso Pasolini) aggregazione convulsa di gesti e di parole, di furori e di ieratiche solennità, esposizione di languori estatici (il volto di Maria giovane, il battesimo) e di tremende violenze (il discorso della montagna, la crocifissione), Il Vangelo secondo Matteo entra con pieno diritto nel gruppo sparuto degli autentici film “religiosi”.
Kapu

MAMMA ROMA (Pier Paolo Pasolini)



Un film di Pier Paolo Pasolini. Con Anna Magnani, Franco Citti, Ettore Garofalo, Lamberto Maggiorani, Silvana CorsiniMario Cipriani, Paolo Volponi, Renato Montalbano Drammatico, b/n durata 114' min. - Italia 1962.

Una ex prostituta cerca inutilmente di dare un avvenire al figlio borgataro.
Mamma Roma è una prostituta che decide di cambiare vita. Si riprende il figlio, affidato a una famiglia che abita in provincia, e va ad abitare con lui in una borgata della capitale. Ma il ragazzo si mette nei guai e finisce in prigione. 
"Mamma Roma" segna uno dei punti più alti dell'analisi pasoliniana sul mondo dimenticato del sottoproletariato urbano, sulla diffusa e anche razzistica convinzione che la loro miseria non conosce soluzioni e sulla forza omologatrice della società borghese che tende a percepirli come i figli illegittimi di un benessere generalizzato. E' il secondo film di Pier Paolo Pasolini e rispetto ad "Accattone" si avverte un uso più sapiente degli strumenti cinematografici (l'uso continuo dei campi e dei controcampi ad esempio) che servono a conferirgli, pur nell'utilizzo di quella "sgarbata" asciuttezza di linguaggio che gli consente di aderire con sufficiente realismo alla realtà sociale rappresentata, una migliore fluidità narrativa. Come "Accattone", "Mamma Roma" è interamente ambientato nelle borgate romane, in quei nuovi centri di distribuzione della miseria cittadina che furono (e sono ancora in moltissimi casi) le periferie urbane nate dalle menti di urbanisti illuminati a partire dai primi anni sessanta. Ma mentre il primo è caratterizzato da un sostanziale immobilismo dei protagonisti, che di fatto li rende degli schiavi inconsapevoli del destino che gli è capitato in sorte, Mamma Roma coltiva l'ambizione piccolo borghese di migliorare la sua condizione sociale, di far emergere il figlio dalla miseria in cui è sempre vissuta. Non c'è nulla di male a rincorrere il desiderio di una raggiunta e piena integrazione sociale, ma questa strenua rincorsa rischia di diventare un ulteriore passaggio agl'inferi se non è accompagnata da una consapevole conoscenza della propria condizione esistenziale, se non è tesa al miglioramento principalmente etico di essa, se non si dà più importanza all'essere che all'apparire, all'essenza di un'identità umana finalmente libera dai ricatti della carne che alle forme indistinte di un ambizione desiderata. Ma, alla realtà di un emancipazione intellettuale, Mamma Roma antepone una falsa omologazione morale, l'adesione acritica a un modello sociale di cui conosce solo la patina esteriore di un perbenismo ostentato. E' accecata dall'amore per il figlio e dall'odio per la vita e questo la porta con istintiva naturalezza a seguire un'altra strada, più semplice e più veloce, a maturare in se un malsano spirito di emulazione, quello che la porta a ritenere che basta un individuale spirito volontaristico per spostarsi dal mondo che si è imparati a disprezzare e indossare la maschera di una rispettabilità borghese meccanicamente percepita. l film si potrebbe definire con una parola: capolavoro. Parabola sugli umili schiacciati dal peso dei sogni piccoloborghesi (il benessere...), sacralità proletaria riflessa nel rimando iconografico (Masaccio, Mantegna...), architettura dell'urbe violentata dalla periferia (casermoni, archeologia romana). Eterno lo sguardo finale di Anna Magnani dalla finestra, il suo urlo è opposto e gemello di quello di "Roma città aperta".
Kapu

ACCATTONE (Pier Paolo Pasolini)



Un film di Pier Paolo Pasolini. Con Franco Citti, Franca Pasut, Adriana Asti, Silvana Corsini, Paola GuidiSergio Citti, Alfredo Leggi, Mario Cipriani, Umberto Bevilacqua, Edgardo Siroli, Polidor,Leonardo Muraglia, Franco Marucci, Giovanni Orgitano Drammatico, b/n durata 120' min. - Italia 1961

Storia di uno sbandato, Accattone, che trascina una esistenza vuota nelle borgate romane. C'è una donna che pensa a mantenerlo facendo la prostituta. Quando lei viene arrestata e Accattone si vede privato del suo sostentamento, va in cerca della moglie, abbandonata tempo prima con un figlioletto; respinto da lei trova solidarietà in una ragazza "pulita". 
Il primo lavoro cinematografico di Pier Paolo Pasolini è qualcosa che molti hanno considerato una trasposizione su pellicola dei suoi lavori letterari. Dopo aver visto i primi giornalieri Federico Fellini disse a Pasolini: torna a scrivere, è meglio. Invece il film d'esordio del regista-poeta è un capolavoro. Musica sacra, volti proletari, storie di vita, e l'ombra del sacro. Pasolini inventò un nuovo modo di fare cinema, unendo le acquisizioni della nouvelle vague all'estetica del muto e al Bunuel di "Los Olvidados". Il film ebbe problemi con la censura. In una particina c'è Elsa Morante che fa una detenuta. Il contrasto è forte, Pasolini utilizza gli strumenti del muto ma li inonda di continue e chiassose risate ed una musica sacra che pervade l'aria come una nenia dannata. Accattone è un miserabile ma è soprattutto un debole, una persona incapace della minima coerenza, dapprima restio a lavorare tenterà di praticare anche quella strada e di fatto tutte le strade possibili prima dell'epilogo. Accattone è il quadro di quell'Italia e di quella miseria, un uomo che sembra avere voglia di vivere o più probabilmente solo una maggiore paura di morire; che cerca ogni espediente per tirare a campare e magari mostrare un po' di oro sul corpo agli amici e che si rende persino conto della sua condizione abietta pur non riuscendo di fatto a prenderne mai davvero le distanze. E' la sintesi degli italiani medi, paga con la sua mancanza di coerenza il fatto di rappresentare tante tipologie di persone che popolavano i sobborghi di Roma capitale come di tante altre realtà del dopoguerra. Giustamente da molti considerato un capolavoro di Pasolini, questo film annega nella miseria umana ma lo fa con un linguaggio nuovo per l'epoca sia sul piano comunicativo sia su quello tecnico. Accattone ed i suoi amici citano i campi di concentramento, citano Norimberga, usano un linguaggio che non gli è proprio ed in questo contrasto tra i dialoghi e le persone emerge la personalità di un Pasolini grandioso e imponente. E' un film triste in cui le risate forzate sono spesso anche disturbanti e comunque amare. Consigliato soprattutto ai cinefili.
Kapu

QUASI AMICI (Olivier Nakache, Eric Toledano)



Un film di Olivier Nakache, Eric Toledano. Con François Cluzet, Omar Sy, Anne Le Ny, Clotilde Mollet, Audrey Fleurot, Alba Gaïa Bellugi, Christian Ameri, Grégoire Oestermann, Cyril Mendy
Titolo originale Intouchables. Commedia, durata 112 min. - Francia 2011.

Dopo un incidente di parapendio che l'ha paralizzato dal collo in giù, il ricco aristocratico Philippe ha bisogno di qualcuno che si occupi costantemente di lui, che lo porti in giro e che accontenti ogni sua richiesta, e assume come badante Driss, un giovane senegalese dalla pelle scura appena uscito dal carcere. Driss, però, è la persona meno adatta a quel tipo di lavoro, andando incontro a una serie di imprevisti iniziali e di incomprensioni che, una volta superate grazie agli insegnamenti di Philippe, pongono la base per un rapporto di amicizia folle e inaspettato.
Quasi amici propone un’utopia sociale in forma di commedia popolare: ha il garbo e il didascalismo del prodotto medio, la capacità di indurre elegantemente lacrime e risate su temi scomodi addomesticati, il cerchiobottismo di chi alterna facili demistificazioni (la derisione del mondo dell’alta cultura) a una diffusa, subdola demagogia intrisa di cliché. I registi dicono di ispirarsi a Risi, Scola e Monicelli: ma in questa fiaba non si guarda in faccia la realtà, la si sogna delicata, riconciliante, digeribile. E poco importa che il film sia tratto da una storia vera.
Kapu

PSYCO (Alfred Hitchcock)



Un film di Alfred Hitchcock. Con Janet Leigh, Anthony Perkins, Vera Miles, John Gavin, Martin Balsam, John McIntire, Simon Oakland, Patricia Hitchcock, Frank Albertson, Lurene Tuttle, John Anderson, Vaughn Taylor, Mort Mills Titolo originale Psycho. Giallo, Ratings: Kids+16, b/n durata 109 min. - USA 1960

Il thriller più famoso della storia del cinema e il capolavoro di Hitchcock.
Marion Crane insoddisfatta impiegata di Phoenix taglia i ponti con il suo passato: ruba quarantamila dollari dal suo ufficio e fugge in auto. Si ferma al motel gestito da Norman Bates, un giovane timido e impacciato che vive con la madre in una sinistra casa accanto al motel e che ha una collezione di animalida lui stesso impagliati. Mentre Marion fa la doccia qualcuno la uccide. Il giorno dopo il fidanzato e la sorella si mettono alla sua ricerca, affiancati, a un certo punto, dal detective Arbogaste. 
Psyco ha una importanza cruciale nella storia del cinema e rappresenta contemporaneamente un punto d’arrivo e di partenza. E’ sicuramente l’ultimo grande film di Hitchcock che da quel momento in poi, con l’eccezione degli “Uccelli”, non riuscirà più a raggiungere tali vette artistiche e a bissare lo strepitoso successo di pubblico. Dall’altra parte sposta in avanti il concetto della rappresentazione della violenza e crea un modello estetico che ancora oggi non ha smesso di essere imitato. Con un prodotto a basso costo, sceneggiato dall’allora semidebuttante Joseph Stephano, con un inganno feroce e sadico (utilizzo di una voce femminile al doppiaggio), Hitchcock inchioda alla poltrona lo spettatore utilizzando la sua bravura tecnica e creando tensione e suspence con un montaggio serrato (scena dell’assassinio nella doccia) e con equilibrismi della macchina da presa (la scena dell’assassinio sulle scale). A questo si aggiunge una prova maiuscola dei due attori principali Janet Leigh-Marion e Antony Perkins- Norman Bates. Che dire ancora? Il pezzo di bravura della macchina che si inabissa in due tempi (che crea una empatia tra spettatore e Norman Bates, anche noi come lui, tratteniamo il respiro e speriamo di non essere scoperti). La ripresa dall’alto dell’omicidio dell’investigatore privato che è velocissima nella prima parte e poi rallentata nella caduta. Il lento avanzare della sorella di Marion verso la casa, con lo spettatore assolutamente tachicardico e aritmico. Il finale davvero agghiacciante con quella figura travestita che è più spaventosa di duemila mostri digitali di ultima generazione. Guardate la lampadina che va avanti e indietro e illumina la scena in maniera altalenante, creando da sola l’orrore. E poi alla fine, fissate gli occhi schizofrenici di Norman Bates nella sua cella di isolamento, non vi chiedono forse un po’ di complicità?
Kapu