domenica 30 giugno 2013

QUELL'OSCURO OGGETTO DEL DESIDERIO (Luis Buñuel)



Titolo originale Cet obscur objet du désir. Drammatico, durata 100' min. - Francia 1977

Mathieu è innamorato di due donne: l'inquietante Concha e la sensuale Concha.
Siviglia. Mathieu è in partenza sul treno per Parigi. Concha lo implora di non lasciarla, ma lui le rovescia un secchio d'acqua in testa. Poi agli stupefatti compagni di viaggio racconta la sua storia. Da quando ha incontrato Concha il desiderio lo divora, ma la ragazza lo sconcerta: ora sembra facile e ora inaccessibile. Il gioco continua, sempre più crudele, grottesco e ossessivo. Nell'epilogo una donna ricuce un lenzuolo macchiato di sangue. Un'esplosione annienta tutto.
Grande, incommensurabile Luis Bunuel con "Quell’Oscuro Oggetto Del Desiderio", ultima opera del maestro spagnolo. Può essere letta in chiave politica: la borghesia non fagociterà il proletariato (lettura troppo riduttiva). L’uomo non potrà mai comprare la libertà della donna (meglio). Il desiderio, il sesso, il possesso come chiavi d’interpretazione della coppia e si potrebbe proseguire. Ciò che più colpisce a distanza di trentacinque anni sono i vari simbolismi di cui è disseminato. Non solo, la satira sferzante e beffarda (un aggettivo bunueliano a tutti gli effetti) dei gruppi terroristici che sullo sfondo della vicenda compiono attentati, estorsioni e sabotaggi sfiorando e disinteressando i protagonisti per poi…Nella scena conclusiva da un altoparlante apprendiamo che varie sigle del terrorismo di estrema sinistra si sono alleate con i Gruppi Rivoluzionari del Bambin Gesù e pure quelli di destra sono pronti a scatenare confusione totale e attentati senza logica. Grandi attori tra cui il trio principale: Fernando Rey, Carole Bouquet e Angela Molina. Ennesima, ultima magia di uno che di strategie del desiderio se ne intendeva. E l'idea di far interpretare la stessa parte a due attrici diverse è semplice quanto geniale. Bunuel si commiata dal suo pubblico con un'opera che è la summa del suo filmo-pensiero: surreale, anarchico, erotico. Film seminale per Almodovar e De La Iglesia.

tres

BELLA DI GIORNO (Luis Buñuel)



Titolo originaleBelle de jour. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 100' min. - Francia 1967

La moglie di un chirurgo si lascia andare alle sue inclinazioni sadomasochistiche. Inizia così una doppia vita: di notte l'amore per il marito; di giorno la frequentazione di una casa di appuntamenti. Sévèrine è una donna, in apparenza, sévère: bellissima fredda e distaccata, poco loquace e tendente al giudizio facile, vive dello sguardo degli altri sulla sua virtù. La sua vivacità è quella di un soprammobile e neanche l'amore di un marito (Pierre / Pietro: stabile ed indistruttibile come una pietra, dai toni sempre corretti, levigato) bello e di successo riesce a scalfire questa aura di intoccabilità e perfezione. Non ha, a dirla tutta, nessuna qualità specifica. Se non l'avvenenza e l'eleganza. Nessun interesse, nessuna occupazione. A Sévèrine non importa essere interessante, acculturata, intelligente, di gradevole conversazione, oppure appassionata, o curiosa, o simpatica. Nessuno le chiede di esserlo, neppure Pierre. Che accetta il suo essere immobile e vacua, senza volontà propria, con malcelata soddisfazione maschile. Seduta nel proprio salotto Sévèrine non è molto diversa da uno dei vasi, o dei quadri che addobbano l'ambiente. Catherine Deneuve bellissima, volutamente e forse eccessivamente inespressiva. Imperscrutabile. Gelida, egoista, non concede nulla del proprio cuore. Il dramma la sfiora appena, giusto in tempo per farle recuperare il ruolo subalterno di moglie (e forse, in futuro, madre). Non c'è rimprovero, non c'è rimorso, non c'è castigo.
l più grande successo commerciale di Bunuel fu questo "Bella di giorno", inquietante esplorazione dei fantasmi masochisti di una giovane moglie borghese apparentemente candida e virginale, interpretata con sorprendente aderenza e notevole precisione compositiva dalla giovane e ancor bellissima Catherine Deneuve. Affiancato dallo sceneggiatore Jean-Claude Carrière, Bunuel realizza il film con uno stile apparentemente classico, ma in realtà aperto alle suggestioni moderniste, poichè giustappone in una maniera pressochè "invisibile" scene realiste e sequenze oniriche, lasciando sempre trasparire un certo margine di ambiguità dalle immagini. E' l'adattamento di un romanzo scritto negli anni Trenta da Joseph Kessel, con riferimenti neanche tanto velati alle opere del Marchese de Sade, e con un potere di suggestione "erotica" che spesso deriva da certe allusioni che non vengono mai del tutto chiarite (ad esempio, la misteriosa scatola del cinese), senza mai cadere nei compiacimenti e nelle volgarità di cui abuseranno tanti imitatori dello stile di Bunuel. Bunuel prende a picconate l'edificio borghese costituito dall'unità-famiglia. Si avvale della complicità della conturbante Deneuve, personaggio scomodo e discusso. Provocatorio quanto acuto, si staglia nitido per personalità sullo sfondo di un panorama cinematografico troppo spesso piatto e compiacente. Lascia una sgradevole sensazione di crisi dell'individuo moderno e di una clustrofobica mancanza di vie di fuga. Le convenzioni, l'espressione del sè, il rapporto tra istinto, ragione e valori, la fiducia, la libertà, il ruolo di uomo e donna nella società. Opera audace per i tempi in cui fu realizzata, mantiene una perfetta vedibilità a tanti anni di distanza e molto del merito è da attribuire all'affascinante protagonista, ben affiancata da Jean Sorel, Michel Piccoli e Pierre Clementi.
Kapu

L'ANGELO STERMINATORE (Luis Buñuel)



Titolo originale El angel exterminador. Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 95' min. - Messico 1962

Un gruppo di invitati a una cena non riesce, a festa conclusa, ad abbandonare la villa che li ha ospitati, qualcosa di indefinito e inspiegabile gli impedisce di varcare la soglia della sala da pranzo, mentre all'esterno si radunano amici, parenti e le forze dell'ordine. Dopo ore di panico qualcuno farà il passo. 
L'angelo sterminatore è la paura, che tiene in ostaggio la borghesia, impedendole di mescolarsi con il resto del mondo. Questa ossessione sottile e inconfessabile, che si affaccia sistematicamente negli incubi notturni, è una micidiale mistura di pregiudizi, superstizioni, manie, che riduce le sue vittime ad un gregge (gli agnelli) o ad un branco di animali ammaestrati (l'orso al guinzaglio). I palazzi in cui si tengono i ricevimenti, e le chiese dove si celebrano i riti domenicali, diventano ovili e circhi equestri, in cui bestie selvatiche in cattività sfogano le proprie paranoie in uno spettacolo primitivo e degradante. Fuori dagli schematismi di forzose convenzioni, l'elitarismo dell'alta società si rivela il terreno di coltura di istinti repressi, pullulante di vizi e debolezze: la prigionia autoimposta – di cui il film presenta una metaforica esasperazione - toglie l'aria, costringe alla promiscuità, e sottrae agli individui l'intimità necessaria a coltivare le proprie personali perversioni. Queste, se trasportate all'esterno, si trasformano in germi contaminanti, in veleno per l'ambiente circostante: nessuno, infatti, possiede in sé gli anticorpi per i morbi dell'anima altrui. Luis Buñuel presenta l'elemento surreale come l'incarnazione ectoplasmica della degenerazione morale dovuta alla combinazione di geni incompatibili, di mutazioni solitarie e gelosamente chiuse nella propria deviante irripetibilità. Nel momento in cui la facciata dell'etichetta si sgretola, la superficiale armonia si rompe, lasciando tutti nell'incapacità di decidere come comportarsi. Diventa impossibile, allora, ritornare alla normalità, perché si è perso il filo del copione, il ritmo della finzione scenica che si è come inceppata. Basta una piccola stonatura, una lieve distrazione, perché l'incanto si spezzi e la confusione rapidamente si propaghi, causando un blocco generale degli ingranaggi. Quello che Buñuel mette in scena, nella villa tenuta sotto assedio da un blackout psicologico dei suoi occupanti, sembra la versione ante litteram di un reality televisivo, in cui i "famosi" sono sottratti, non tanto alle loro comodità, quanto alle loro certezze di casta, senza le quali il loro universo, fatalmente, crolla. Capolavoro assoluto del cinema di tutti i tempi in una apologia, tipicamente buñueliana, sul senso assurdo del religioso e sull'agire dell'libero arbitrio in società di conformismo borghese.

Tres

IL FANTASMA DELLA LIBERTA' (Luis Buñuel)



Un film di Luis Buñuel. Con Adriana Asti, Julien Bertheau, Adolfo Celi, Jean-Claude Brialy, Michel Piccoli, Jean Rochefort, Monica Vitti, Milena Vukotic, Paul Le Person, Pascale Audret,Claude Piéplu, Hélène Perdrière, Bernard Verley, Paul Frankeur, Pierre Maguelon, François Maistre, Jean Champion, Michael Lonsdale, Jacques Debarry, Jenny Astruc, Ellen Bahl, Philippe Brigaud, Philippe Brizard, Agnès Capri, Anne-Marie Deschoutt, Michel Dhermay, Philippe Lancelot, Marius Laurey, Pierre Lary Titolo originale Le fantôme de la liberté. Commedia, durata 103 min. - Francia 1974.

Nel prologo, anno 1808, assistiamo alla fucilazione di patrioti e di un ufficiale profanatore di tombe. Poi si passa al presente, ed ecco un uomo che mostra a due bimbe foto "oscene" dei monumenti di Parigi, un assassino messo in libertà, la repressione di una manifestazione che inneggia alle catene...Le convenzioni sociali della borghesia, perfidamente rovesciate, rivelano tutto il loro assurdo. Il mondo capovolto di Luis Bunuel, un distillato di salutare ironia che sconvolge l'andamento logico della nostra percezione del reale, che ribalta il senso delle parole e dei fatti. Una spruzzata di intelligenza viva rivolta contro la passiva acquiescenza di uno stato delle cose accettato per abitudine e difeso per opportunità. Se si è presi atto che non sono valsi secoli di apologia della ragione per liberare l'uomo dalle convenzioni sociali che si è autoimposto, se si è giunti al punto che un'astratta idea di ordine sociale viene regolarmente preferita al piacere sano di abbandonarsi ai propri più intimi desideri, tanto vale divertirsi a destrutturare l'ordinario andamento sistemico per cercare di costruirne uno di segno opposto, giocare a rimescolare i pezzi che compongono l'esistente sensibile per ricomporlo come se si trattasse di un puzzle pensato a propria immagine e secondo regole tutte nuove. Se la libertà è un fantasma allora è meglio regolarizzare il paradosso. Ne vale una possibilità data all'uomo per affrancarsi dai vincoli codificati dal senso comune e liberare la libertà dello spirito dalla banalizzante recita di se stessa. "Il fantasma della libertà" è il manifesto anarchico di Luis Bunuel, che usa la ferrea logica dell'assurdo per minare le certezze consolidate dell'ordine costituito. La glorificazione del surreale per una rivitalizzante cerimonia iconoclasta. Jean-Claude Brialy, Julien Bertheau, Milena Vukotic, Adriana Asti, Michel Lonsdale, Adolfo Celi, Jean Rochefort, Monica Vitti, Michel Piccoli, tutti danno un volto all'inaudita plausibilità della vita e tutti sono partecipi di questa divertita sagra degli ossimori. Un capolavoro di irridente genialità. L'ennesimo di un maestro. Uno dei film più limpidi e divertenti del tardo Buñuel, che recupera una acredine inconciliata insieme ad una olimpica semplicità. 
Kapu

ITALIANO PER PRINCIPIANTI (Lone Scherfig)



Un film di Lone Scherfig. Con Anders W. Berthelsen, Annette Stovelbaek, An Eleonora Jorgensen, Lars Kaalund Titolo originale Italiensk For Begyndere. Commedia, durata 112 min. - Danimarca 2000

L'idioma del Bel Paese fa proseliti nella terra di Amleto.
Alla periferia di Copenaghen, un gruppo di persone si incontra per la lezione settimanale di italiano. Fra gli allievi, un eccentrico pastore protestante, un uomo e una donna bloccati dalla timidezza, due signore che si scoprono sorelle e altri esemplari di varia umanità. 
Il dodicesimo film targato Dogma è un curioso esempio di mescolamento linguistico, che fortunatamente la distribuzione non ha alterato scegliendo di sottotitolare i dialoghi in danese. Oltre a emozionare e divertire con garbo, ci offre un'occasione per vederci riflessi in uno speciale specchio cineantropologico e sorridere un po' di noi stessi. Orso d'argento a Berlino. “Italiano per principianti” è una commedia dolceamara che prende spunto dalla passione di alcuni danesi per la nostra lingua. Esistenze insoddisfatte, agnizioni da tragedia greca, piccoli inconvenienti del quotidiano di un gruppo di persone che gravitano attorno ai trent’anni, trovano una valvola di sfogo nell’apprendimento della lingua e della cultura italiana, non senza alimentare stereotipi che ci perseguitano da sempre e che durante la proiezione al Festival di Berlino suscitavano l’ilarità scoppiettante del pubblico. Film molto gradevole, buone recitazioni e, soprattutto, fantastica l’assenza di aberranti luoghi comuni sulla nostra nazione.
Kapu

IL CATTIVO TENENTE (Abel Ferrara)



Un film di Abel Ferrara. Con Harvey Keitel, Frankie Thorn, Victor Argo, Zoe Lund, Frank Adonis. Titolo originale The Bad Lieutenant. Drammatico, durata 98' min. - USA 1992

(Stra)ordinaria storia di abiezione e redenzione
Sullo sfondo della vicenda c'è la finale di baseball tra Dodgers e Mets. LT (Harvey Keitel) ha scommesso sui Dodgers. LT, tra le altre cose, è un tenente di polizia, ma passa tutto il suo tempo a portare i figli a scuola (quando deve), a sequestrare droga per poi rivenderla (quando può), a sequestrare droga per poi usarla (quasi sempre). L'unica volta che fa un'azione buona è anche l'ultima azione della sua vita. 
Si può apprezzare o criticare il cinema di Ferrara, così come si può amare alla follia il cinema di Tarantino oppure disprezzarlo. Ma, se per il regista de Le Iene non si può non tenere conto del suo indubbio lato visionario, iperrealistico, la sua visione “ultraista” della realtà, manipolata a piene mani, tutti elementi che costituiscono il suo segno e la sua originalità (discutibile fin che si vuole), per Ferrara bisogna fare un discorso a parte. Il “segno” qui ha un carattere molto diverso. Anzitutto l’ambientazione. I luoghi preferiti sono i quartieri miserabili della metropoli, i palazzi fatiscenti, gli appartamenti squallidi abitati dalla feccia umana, ma non solo. Ci sono i neri senza più sogni, “latinos”, gli ispanici che si arrabattano alla bell’e meglio, le larve umane distrutte dalla droga, le prostitute che si fanno e battono mattina e sera, i trans che ciondolano su e giù per i marciapiedi, alla ricerca di una dose o di una marchetta, non disdegnando una soffiata alla polizia per essere lasciati in pace. Se c’è un inferno sulla terra, è qui che va ricercato. Già nel 1929, Garcìa Lorca scriveva : “L’aurora arriva e nessuno la riceve nella sua bocca perché lì non c’è domani né speranza possibile”. Senza futuro né speranza, egli vedeva “gente che vacillava insonne come appena uscita da un naufragio di sangue”. Poco a poco, però, le cose cominciano ad andare male: la quotidiana contiguità con una delle realtà sociali più degradate al mondo comincia a sgretolare la sua fragile corazza morale. Comincia con le scommesse, con ambigue frequentazioni, con le prime trasgressioni, fino a cadere pesantemente in un buco nero da cui non si esce, se non con i piedi in avanti. ome in quasi tutti i film di Ferrara, il tema dell’abiezione si confonde con quello della redenzione. A fare scattare la scintilla che dà voce alla propria coscienza, lasciata languire per troppo tempo, è il caso di uno stupro, avvenuto in una chiesa, da parte di due teppistelli a spese di una giovane suora. Scritto senza l'ausilio del collaboratore abituale Nicholas St. John, un noir metropolitano che si trasforma in una parabola cattolica sospesa tra sublime e osceno. Visionario ed eccessivo (dopo molte violenze, ad un certo punto appare un Cristo coloratissimo e muto), ossessionato dal tema della violenza e della redenzione, è tra i migliori film di Ferrara. Impressionante Harvey Keitel, che mostra tutta la pesantezza della carne e le ferite dello spirito. Splendido il finale, girato con la macchina da presa nascosta.
Kapu

GATTO NERO GATTO BIANCO (Emir Kusturica)



Un film di Emir Kusturica. Con Bajram Severdzan, Florijian Ajdini, Srdjan Todorovic Titolo originale Black Cat, White Cat. Commedia, durata 120' min. - Jugoslavia, Francia 1998
Grga Pitic, padrino gitano nonché magnate delle discariche e Zarije, proprietario di un cementificio, sono grandi e vecchi amici pur non vedendosi da oltre 25 anni. Il figlio di quest'ultimo, Matko è un buono a nulla incapace di chiedere aiuto al proprio padre. Per questo si rivolge a Grga per farsi prestare del denaro per concludere un affare al mercato nero. Per assicurarsi la somma di denaro necessaria Matko dice a Grga che suo padre è morto. 
Il film di Kusturica è un film in cui i personaggi sono perennemente in movimento ma più che un road movie è un river movie visto che avviene tutto sulle rive del Danubio e ristretti dintorni. Kusturica in questo film ritorna alla pura arte dell'illustrazione:le sequenze sono affollati quadri in movimento con invenzioni continue, stranezze assortite (un letto carrozzina a motore per esempio), personaggi oltre il limite del grottesco (il gangster cocainomane ballerino, la cantante che leva i chiodi col sedere, i poliziotti bulgari), una scatenata festa di un matrimonio che non s'aveva da fare, resurrezioni ecc ecc. E' il suo film meno politico ma più nomade, un film eastern che non si genuflette al mito della frontiera, in cui la linea di demarcazione tra due Stati serve solo per rendere efficaci traffici illeciti, un film di gitani che si dimostrano meno arretrati e molto più allegri di quello che avevamo conosciuto dagli altri film di Kusturica. La storia in fondo interessa poco. Contano il rumore costante, la musica travolgente, le trovate e i personaggi a decine, le situazioni imprevedibili. Oltre agli uomini, contano gli animali: oche a branchi, il gattino bianco e quella nera, un maiale che lungo il film ha il tempo di mangiarsi un'intera automobile. Contano anche certi oggetti improbabili, come un letto a dondolo o una motoretta accessoriata. Kusturica continua ad avere l'occhio per le cose piccole, per i ritrattini veloci, appena schizzati che saltano fuori di continuo e affollano ogni inquadratura.
Kapu

FITZCARRALDO (Werner Herzog)

Poster Fitzcarraldo  n. 1
Un film di Werner Herzog. Con Klaus Kinski, Claudia Cardinale, José Lewgoy, Peter Berling, Salvador Godínez,  Miguelangel Fuentes, Paul Hittscher, Huerequeque Enrique Bohorquez, Grande Othello, David Perez Espinosa, Milton Nascimento, Rui Polanah, Dieter Milz, Bill Rose, Leoncio Bueno, Campas del Rio Tambo, Machiguengas del Rio Camisea
Avventura, durata 157' min. - Germania 1981

Agli inizi del Novecento l'eccentrico Brian Sweeney Fitzgerald, barone irlandese del caucciù, vuole costruire a Iquitos, nel cuore dell'Amazzonia peruviana, il più grande teatro d'opera di tutti i tempi per farci cantare Enrico Caruso. Costato 8 miliardi (più tutti gli averi del regista, due morti, parecchi feriti e tre anni di lavorazione) questo film, frutto di un'operazione un po' folle, è paradossalmente il più ordinato e accademico del più sregolato autore del nuovo cinema tedesco. Narrato a ritmo lasco col tran tran di uno sceneggiato TV, ha un solo personaggio vivo: il battello il cui assurdo ed epico trasporto attraverso il colle occupa 45 minuti. I momenti d'incanto e le sequenze visionarie, comunque, non mancano. Si apre e si chiude con un frammento delle 2 opere ottocentesche che hanno per protagonista Elvira: Ernani (1844) di G. Verdi e I puritani (1835) di V. Bellini. Esiste sulla romanzesca lavorazione del film un bel documentario di Les Blank, Burden of Dreams (1982), che, secondo alcuni, è persino più affascinante del film.

tres              

IL QUINTO ELEMENTO (Luc Besson)

Locandina Il quinto elemento













Un film di Luc Besson. Con Gary Oldman, Bruce Willis, Ian Holm, Milla Jovovich, Chris Tucker,
Titolo originale Le cinquième element. Fantascienza, durata 122' min. - Francia, USA 1997.

Nel 2413, in una Manhattan con macchine volanti che sfrecciano tra i grattacieli, un muscoloso tassista (Willis) si coalizza con una bella guerriera (Jovovich) tornata in vita dopo 5000 anni per salvare la Terra dalla malvagità di un guerrafondaio (Oldman). Costato 90 milioni di dollari (dichiarati dalla Gaumont che l'ha prodotto), è il film più costoso nella storia del cinema francese sonoro e ha vinto la scommessa al botteghino contro i megaprodotti di Hollywood. Nel suo barocchismo stravagante corretto da una vena ironico-umoristica, è vicino più alla fantasy che alla fantascienza. Ne è autore alla sua 7° regia L. Besson, che aveva sognato di fare qualcosa del genere fin da ragazzo e che s'è scelto preziosi collaboratori, tra cui il geniale disegnatore Moebius che ha ideato i paesaggi e il raffinato e inventivo stilista-costumista Jean-Paul Gaultier. È un colossale videogioco che stupisce, incuriosisce, talvolta affascina e alla fine sazia.

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