domenica 23 giugno 2013

LA COMMEDIA DI DIO (João César Monteiro)



Un film di João César Monteiro. Con João César Monteiro, Claudia Teixeira, Manuela De Freitas Titolo originale A comédia de Deus. Commedia, durata 172' min. - Portogallo 1995.

Joao de Deus (Joao Gèsar Monteiro) è il gestore del "Paradiso del gelato". Ha un talento straordinario nel creare nuovi gusti di gelato e quello a gusto paradiso è una prelibatezza famosa in tutta Lisbona. Oltre a mandare avanti gli affari dell'avida proprietaria Judite, Joao de Deus si cura di iniziare ai segreti del sesso e dell'igiene più capillare le giovani e carine ragazze che gli capitano sotto tiro. "Ricordatevi che un giorno sarete delle madri", gli ripete di continuo. Fa collezione di peli pubici che tiene raccolti in un "Libro di pensieri", a ricordo delle sue conquiste. Il testamento in vita di un conservatore libertino. "La commedia di Dio di Joao Gèsar Monteiro, è un raffinato tentativo di fare un resoconto sullo stato di salute della nostra modernità attraverso le originali elucubrazioni di un simpatico mascalzone, un uomo che ama starsene in un angolo del suo negozio a filosofeggiare sulla vita e sulla storia. Intriso del citazionismo cinefilo più disparato (Murnau, Tati, Bunuel, Fellini), il film è percorso da una carica di ironia che poggia tutta sull'ambigua personalità di Joao de Deus, indicabile tanto come un pervertito della peggior specie, il conquistatore di giovani corpi che gli servono per sperimentare sempre nuove sensazioni erotiche, quanto un acuto conoscitore delle cose del mondo, l'inventore di gusti deliziosi, il difensore strenuo di una raffinata tradizione artigianale che l'invasiva moda portata dagli "americani" sta mettendo in pericolo. Un esteta che gioca con l'oggetto sessuale come se si trattasse di una cerimonia purificatrice a cui sottoporre le sue amate fanciulle, una pratica propedeutica per generargli l'accettazione consapevole del suo, personalissimo, paradiso. Due le sequenze da antologia ed entrambe ritraggono il gelataio al meglio della sua sardonica ambiguità. Nella prima, abbiamo Rosarinha sdraiata su un tavolo che si muove come se stesse nuotando in acqua, poi si ferma e si finge morta. Nel mentre Joao de Deus gli ronza intorno, le sfiora il corpo senza toccarlo mai e si muove con fare vampiresco. Nella seconda, invece, Joaninha viene fatta accovacciare su una cornucopia, proprio come se stesse covando le uova che sono state messe al suo interno. Terminato lo scopo della fanciulla, Joao de Deus conficca la testa nella cornucopia immergendosi nel liquame che inizia a fuoriuscire copioso dal recipiente. L'acqua, la nudidà, le uova, Joao de Deus stesso, tutto riporta all'inizio della vita, a una difesa della classicità europea (il riferimento a Dracula e il suo "Libro di pensieri"), alla rinascita di una vitalità dell'uomo affossata dalla banale normalizzazione del talento creativo (la continue invettive contro il gelato standardizzato di importazione oltreoceanica). Picchiato brutalmente da un padre vendicativo ed estromesso dalla fusione aziendale che produrrà gelati senza più una storia, Joao de Deus tuona contro chi lo ha licenziato dalla vita che "non siete voi che mi cacciate. Sono io che vi costringo a rimanere". Le parole sono di un fustigatore della modernità, artefice della fine del paradiso (in tutti i sensi) e, a queste condizioni, a lui non dispiace mettersi in disparte, convinto com'è di essere il più giusto in un mondo di mediocri. Il moralismo di un immorale, dunque, o il bizzarro libertinismo di un nostalgico della tradizione. Oltre due ore di gioiosa e continua provocazione per un gioiello di film.
Kapu

IL PAP'OCCHIO (Renzo Arbore)



Un film di Renzo Arbore. Con Renzo Arbore, Roberto Benigni, Diego Abatantuono, Andy Luotto, Mario Marenco, Luciano De Crescenzo, Silvia Annichiarico, Martin Scorsese, Tiziana Altieri,Salvatore Baccaro, Kathleen Kramer, Manfred Freyberger, Ferdinando Murolo, Milly Carlucci, Matteo Salvatore, Graziano Giusti, Michael Pergolani, Alessandro Vagoni, Neil Hansen, Mauro Bronchi, Richter Hans Otto, Witthuser Bernd, Cesare Gigli, Otto, Gerardo Gargiulo, Fabrizio Zampa, Tito Leduc, Ruggero Orlando, Mimma Nocelli, Barnelli, Mariangela Melato, Isabella Rossellini Commedia, durata 101' min. - Italia 1980.

Preoccupato per l'avanzata dei buddisti e per il boom tra i giovani delle discoteche e delle droghe, il Papa decide di inagurare la Televisione Vaticana con uno spettacolo di varietà in mondovisione. La regia viene affidata a Martin Scorsese che interpella la compagnia di Renzo Arbore. 
Più che un film, uno scherzo surreale, autoironico, e una presa in giro di Papa Wojtyla (eletto nel 1978), gran sportivo e "comunicatore". Alcune gag sono esilaranti: quella del "Signore sia con voi" riferita a Marenco, il monologo di Benigni sul Giudizio Universale, la canzone "Non correre papà", "Azzurro" interpretata dal coro a bocca chiusa e pernacchie, Abatantuono che spiega l'Inferno di Dante, la sigla della televisione vaticana sulle note dell'Internazionale dei lavoratori. Valore storico: prendere questo film e metterlo in bella mostra in un museo del cinema, classificarlo come "film che non faranno mai più", almeno non in Italia. Film: discontinuo in molte cose, ma unito da una vena surreale che non si esaurisce mai. Un'opera prima intelligente, divertente, piena di sorprese e gag geniali. Arbore e Benigni, ovviamente, sono sopra tutti (il comico toscano in primis), ma anche gli altri si fanno ricordare. Una perla.
Kapu

LA COMUNIDAD, INTRIGO ALL'ULTIMO PIANO (Álex De La Iglesia)



Un film di Álex De la Iglesia. Con Carmen Maura, Eduardo Antuña, Jesús Bonilla, Paca Gabaldón Titolo originale La comunidad. Commedia nera, durata 105 min. - Spagna 2000

Una donna trova dei soldi che fanno gola a molti.
Julia, agente immobiliare, ha messo per caso le mani su un bottino di sei miliardi trovato nascosto sotto una mattonella nell'appartamento di un morto. I condomini, venuti a conoscenza del fatto, sono pronti a tutto, dalla seduzione all'omicidio, purché Julia non si allontani dal palazzo con il suo valigione pieno di pesetas. Alex de la Iglesia dirige con "La comunidad" il suo film più riuscito dimostrando di saper miscelare bene la lezione di Hitchcock, Polanski di "L'inquilino del terzo piano" e, naturalmente, sprazzi sfottenti alla Almodóvar. Claustrofobico al punto giusto, Carmen Maura, sempre sull'orlo di una crisi di nervi, è talmente brava da tenere alto lo spirito e l'ironia. ll cinema di Alex De La Iglesia è da prendere o lasciare, o lo si ama o lo si odia. Fin da AZIONE MUTANTE, il regista spagnolo (per l’esattezza basco) ha dimostrato una propensione per il grottesco e la black comedy violenta e dissacrante. Una ispirata vena narrativa e visiva accompagnata da una disinvolta abilità nell’uso della macchina da presa, che a molti irrita stroncando e liquidando con facilità ogni sua opera, sono invece al suo attivo. La storia de LA COMUNIDAD - come quasi tutti gli altri film del regista - ha una conclusione non sui generis in cui i perdenti, i brutti, gli sfigati o i portatori di handicap hanno una sorta di riscatto sociale finale nei confronti di chiunque. Quest’ultimo aspetto è una ulteriore carta vincente per il corpulento regista oltre ad uno stile stravagante ma decisamente originale e ad una impeccabile direzione d’orchestra del cast.
Kapu

LA STRATEGIA DELLA LUMACA (Sergio Cabrera)



Un film di Sergio Cabrera. Con Frank Ramirez, Florina Lemaitre, Fausto Cabrera Titolo originale La estrategia del caracol. Commedia, durata 110' min. - Italia, Colombia 1993

Il proprietario di un caseggiato popolare di Bogotà intende buttar fuori gli inquilini; questi tentano di scongiurare il pericolo per via legale, ma la legge non sta dalla parte dei deboli. Non resta che fare di necessità virtù e organizzare lo svuotamento clandestino e integrale dell'edificio a cui tutti, secondo le proprie capacità, collaborano, con l'appoggio esterno di qualche amico fidato.
Questo film tocca qualcosa nel fondo dell'animo, non è regia o magia o montaggio. Non è questione di analisi e non c'è bisogno di tirare in ballo grandi congetture e critiche, chi lo può capire piange e ride come un isterico, analizzando aspetti della società con una trasparenza che spesso i drammoni tralasciano in favore di un paio di lacrime forzate da improbabili catastrofi sentimentali o storico-politiche. Questo film è dolce, è un amore perduto, è un ricordo di una storia che, in un personaggio o nell'altro, ci è vicina più di quanto siamo disposti ad ammettere. Attinge a piene mani al realismo magico di Garcia Marquez (ovviamente imprescindibile per un film colombiano), tanto che lo si potrebbe definire "Cent'anni di vita condominiale". Il film ha un'impostazione anarchica e stracciona venata da un sottile surrealismo. Film senz'altro da vedere, molto coinvolgente e appassionante. Molto bravi anche i protagonisti. Non solo Hollywood!
Kapu

M, IL MOSTRO DI DÜSSELDORF (Fritz Lang)



Un film di Fritz Lang. Con Peter Lorre, Gustaf Gründgens, Rudolf Blummer, Ellen Widman, Inge Landgut, Otto Wernicke, Theodor Loos, Friedrich Gnaß, Fritz Odemar, Paul Kemp, Theo Lingen,Georg John, Franz Stein, Ernst Stahl-Nachbaur, Gerhard Bienert Titolo originale M. Drammatico, b/n durata 117 min. - Germania 1931

Un maniaco infanticida (Lorre) si aggira imprendibile per Düsseldorf. L'allarme generale e la mobilitazione della polizia disturbano le attività dei ladri e dei barboni della città che decidono di fare giustizia a modo loro. 
Capolavoro dove tutto concorre a un'intensa progressione drammatica, fino al vibrante, quasi insostenibile finale. Lorre è straordinario, la sperimentazione col sonoro (allora una novità) già arditissima, con l'assassino che fischietta "Peer Gynt". M è soprattutto una satira, affilata e feroce: contro l’ordine mentale del cittadino tedesco. E' una satira amara contro ogni società, e la troveremo simile in film americani come Furia: folla pronta alla violenza fai-da-te, burocrazia lenta, ottusa e formalista. Qualcuno ha visto nel serial killer un’immagine del nazismo che sta per imporsi (e che infatti avrebbe cercato di impedire la diffusione del film). Pare invece che, con ben più attenta analisi storica e sociologica, sia il comportamento della folla e l’efficace organizzazione dei malviventi a far pensare al nazismo ed a preoccupare: il killer finisce per apparire nella sua debolezza di malato, ma la folla è pronta comunque a uccidere: prima di lui si era accanita contro un nonno che aveva baciato la nipotina. Anche per il nazismo c’è stata la tendenza a denunciare solo la “follia” di Hitler come unica responsabile di tutta quella tragedia; ma un pazzo non fa tanti danni se la folla non è pronta alla violenza, come dimostra di essere ogni folla, ovunque; molti leggono invece Furia come denuncia della mania americana del linciaggio, diversa da quella del popolo tedesco. Non pare proprio che nei due film ci sia differenza di comportamento della folla e di modo di vederla; diverso è invece il caso e il comportamento dei due protagonisti: il killer tormentato, anche dai rimorsi, ma incapace di resistere alla tendenza omicida, se ne confessa in un momento fortemente drammatico, uno dei culmini dell’arte di Lang che contrappone la sua umanità, per quanto colpevole, al feroce giustizialismo degli altri, oltre tutto ricercati o ex-carcerati, spesso assassini, ma non disposti a comprendere; mentre il bravo innocente cittadino americano accusato ingiustamente diventa a sua volta feroce come gli altri, pronto a lasciarli condannare per un omicidio non avvenuto: i “mostri” sono sempre anche loro, i bravi cittadini pronti ad ascoltare gli impulsi alla violenza che emergono ad ogni occasione. Contro gli ebrei o i malati o i presunti assassini… o contro i presunti assassini di presunti assassini…
Kapu

LA VITA SOGNATA DEGLI ANGELI (Eric Zonca)



Un film di Erick Zonca. Con Gregoire Colin, Elodie Bouchez, Natacha Regnier Titolo originale La vie rêvée des anges. Drammatico, durata 117' min. - Francia 1998.

Isa ha vent'anni, uno zaino in spalla e un'allegra filosofia molto fatalista. Arriva a Lille dopo altre tappe alla ricerca di un lavoretto che la aiuti a sbarcare il lunario. In una sartoria incontra Marie, vent'anni anche lei, sola, ipersensibile e chiusa nella sua rivolta contro tutto e tutti. Nasce un'amicizia che assomiglia a una reciproca adozione e che le porta a fare nuove amicizie e a inseguire nuovi amori. 
Un premio meritato, la Palma d'oro a Cannes per la migliore interpretazione femminile assegnata alla brunetta Bouchez e alla bionda Régnier. Un racconto un po' vecchio stile, scritto (con Roger Bohbot) e diretto dall'esordiente Zonca, che però sa usare immagini di modernità e che, coerentemente, si chiude con un deciso messaggio. Non disdegna il tasto della commozione, ma, al momento della tragedia, sa essere secco, improvviso, inappellabile. Eppure il regista non banalizza mai, non schematizza e non giudica, la caratterizzazione delle due ragazze è quanto mai convincente e reale nella percezione dello spettatore. Lo stile è asciutto ed essenziale, corroborato da una splendida fotografia. La musica quasi assente resta sullo sfondo, come giusto che sia quando accompagna esistenze fragili e preda continua dei propri pensieri. Il finale è aperto nonostante la sentenza inappellabile che mostra, fa presagire che oggi sia duro sognare, anche per gli angeli.Bellissimi e intensi ritratti femminili, come il migliore cinema francese sa fare, dosando realismo e interiorità, giustamente riconosciuti a Cannes con la Palma d'oro alle due protagoniste.
Kapu

MESSAGGERO D'AMORE (Joseph Losey)



Un film di Joseph Losey. Con Julie Christie, Margaret Leighton, Alan Bates, Michael Redgrave Titolo originale The Go-Between. Drammatico, durata 110' min. - Gran Bretagna 1970

La lunga, straordinaria e terribile estate del piccolo Leo.
Inghilterra, estate del 1900. Leo, un bambino di tredici anni, trascorre le vacanze nella tenuta di campagna di un amico. Qui l'aristocratica Marian (Julie Christie) ha una storia d'amore con il fattore Ted (Alan Bates) e i due amanti si servono di lui per scambiarsi appuntamenti e lettere appassionate. Il conformismo e l'ipocrisia della società avranno però il sopravvento e anche la personalità di Leo ne verrà segnata irrimediabilmente. 
Compreso in un unico flashback, il film si presenta come un ricordo di Leo che, ormai anziano e inaridito, ripensa con nostalgia e rabbia a quella lontana stagione. Sotto l'apparenza estenuata e "viscontiana", una crudele indagine dei rapporti di classe. Sceneggiatura di Harold Pinter dal romanzo "L'età incerta" di Leslie Poles Hartley. Palma d'oro a Cannes. Film di grande forza stilistica e narrativa, giocato in modo critico e non nostalgico sul tema della memoria e del continuo intrecciarsi tra passato e presente, in una reciproca (dis)continuità temporale, "The Go-Between" è un capolavoro ammaliante e spietato che conferma ancora una volta "la portata corrosiva del barocco gelido di Joseph Losey" (Angelo Moscariello).
Kapu

LUCI NELLA NOTTE (Cédric Kahn)



Un film di Cédric Kahn. Con Carole Bouquet, Jean-Pierre Darroussin, Eric Moreau, Vincent Deniard, Paul Charline, Jean-Pierre Gos Titolo originale Feux rouges. Thriller, durata 106 min. - Francia 2004.

Una coppia si mette in viaggio e un evaso è sulla loro strada.
Hélène e Antoine si stanno recando a prelevare i figli in vacanza nel Sud della Francia. Esasperato dal caldo e dagli ingorghi, il marito decide di uscire dall'autostrada e si ferma in un bar. La radio annuncia l'evasione di un pericoloso criminale. Dopo essersi rimessi in marcia, i due litigano furiosamente... 
Un efficace noir che descrive la trita destabilizzazione della coppia borghese, ma soprattutto mette in scena la riappropriazione dell'identità ferina e dominatrice del maschio, in conflitto con la donna realizzata e "castratrice". Tratto da un romanzo di Simenon del periodo americano, Luci nella notte di Cédric Kahn sembra uno di quei film degli anni ’70 a metà strada tra il revenge movie e il polar d’autore. Il protagonista Jean-Pierre Darroussin, in una febbricitante performance che ricorda Trintignant, pare uscito da quell’immaginario. E ci sono spiazzanti scelte di regia, come i dodici minuti di piano sequenza al telefono in vertiginosa ricerca della moglie. Il film gira intorno a due argomenti: il primo, quello della destabilizzazione della coppia borghese, è trito e ritrito; il secondo, quello della riappropriazione dell’identità ferina e dominatrice del maschio, in conflitto con la donna realizzata e castratrice, è molto interessante ma forse un po’ irrisolto, e lasciato alla bravura degli attori (lei, Carole Bouquet, è altrettanto in parte). Un noir in ogni caso godibile, che speriamo non passi inosservato.
Kapu

ORWELL 1984 (Michael Radford)



Un film di Michael Radford. Con John Hurt, Richard Burton, Suzanna Hamilton, Cyril Cusack, Gregor Fisher, James Walker, Andrew Wilde, David Trevena, Corinna Seddon, David Cann, Peter Frye, Roger Lloyd-Pack, Anthony Benson, Martha Parsey, Rupert Baderman, Merelina Kendall, Shirley Stelfox, James Boswall, Antony Benson, Joscik Barbarossa Titolo originale Nineteen Eighty-Four.Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 115' min. - Gran Bretagna 1984

Ribellione impossibile nel mondo dove il Grande Fratello domina le coscienze.
A Londra, capitale dell' Oceania dominata da un partito unico, l'esistenza di ogni individuo è spiata e indirizzata dal Grande Fratello. L'impiegato Winston Smith si innamora e tenta di resistere al potere totalitario e alla degradazione personale.
Trasposizione del capolavoro di Orwell scritto nel 1949, realizzata proprio nell'anno in cui lo scrittore situava gli avvenimenti. La versione si fa apprezzare soprattutto per l'efficace ambientazione, che però non può restituire le atmosfere originali. Michael Radford ha pensato bene di girare un film fantapolitico ad esso ispirato nello stesso anno in cui lo scrittore l'ha ambientato. I personaggi hanno lo stesso aspetto tenebroso che viene descritto nel libro, e le ambientazioni fanno paura per la cura maniacale con cui si attengono alla rappresentazione dell'Oceania e del lugubre paesaggio londinese inventato da George Orwell. Nessuna pecca, quindi, nelle location e nei costumi. Ultima apparizione di Richard Burton.
Kapu

EMOTIVI ANONIMI (Jean-Pierre Améris)



Un film di Jean-Pierre Améris. Con Benoît Poelvoorde, Isabelle Carré, Lorella Cravotta, Lise Lamétrie, Swann Arlaud, Pierre Niney, Stéphan Wojtowicz Titolo originale Les émotifs anonymes.Commedia, durata 80 min. - Francia, Belgio 2010.

Jean-René (Benoît Poelvoorde) dirige una fabbrica di cioccolato, dove lavora la bella Angélique (Isabelle Carré), esperta nella preparazione di golose praline di cacao. Entrambi sono talmente timidi da non riuscire quasi a proferir parola, nonostante amici e colleghi provino a spronarli a vincere le loro insicurezze. Inoltre, uniti dalla comune passione per l’attività che svolgono, i due si amano ma dovranno trovare il coraggio di dichiararsi reciprocamente i loro sentimenti e superare la mancanza di fiducia nel mondo che li circonda. gli Gli emotivi anonimi del titolo funzionano come gli alcolisti. Si ritrovano in gruppo e discutono a turno dei propri problemi con gli altri e con se stessi. Essendo, però, il loro principale problema la timidezza, spesso le reazioni sono incontrollate. Per esempio, la graziosa Isabelle Carré, attrice in passato valorizzata da François Ozon, solo a sentirsi salutare da tutti all’unisono, sviene. Poi trova lavoro da un celebre maître chocolatier, Benoît Poelvoorde, che ha il suo stesso “difetto”. Ovvero un’emotività che se spinta alle estreme conseguenze può generare catastrofi. Una delle quali, come noto, si chiama amore. Se però a desiderarsi reciprocamente sono due timidi, da dove cominciare? Si rivolgeranno mai la parola? Esce con oltre un anno di ritardo in Italia, per chissà quali strani accordi distributivi, questa sobria commedia di Jean-Pierre Améris, regista di Lione che in passato si fece notare per l’apprezzabile Les aveux de l’innocent, interpretato dal sempre ottimo Jean-François Stévenin. Il registro adesso cambia radicalmente. Si sorride con parsimonia addentrandosi nel favoloso mondo di due timiducci chiamati a fare fronte comune contro tutto e tutti. Mancano i colori pastello di Jeunet, ma la prova dei due protagonisti è brillante. Benoît Poelvoorde, poi, ha una faccia incredibile, e quando si stupisce delle cose più evidenti gli diventi complice in un secondo e mezzo.
Kapu

DERSU UZALA, IL PICCOLO UOMO DELLE GRANDI PIANURE (Akira Kurosawa)




Un film di Akira Kurosawa. Con Juri Solomin, Maksim Munzuk, Yuri Solomin, Svetlana Danilchenko, Dmitri Korshikov, Suimenkul Chokmorov, Vladimir Kremena, Aleksandr Pyatkov Titolo originale Dersu Uzala. Avventura durata 140' min. - URSS, Giappone 1975.

1902: in zona selvaggia lungo il fiume Ussuri, ai confini con la Manciuria, Dersu Uzala, solitario cacciatore mongolo e di età indefinita, incontra la piccola spedizione cartografica del capitano russo Arseniev. Il nomade salva la vita all'ufficiale e i due diventano amici. Si ritroveranno cinque anni dopo, e questa volta sarà il mongolo a dovere la vita al russo. 
Ispirato ai due libri di viaggio che costituiscono le memorie di Vladimir Arseniev e girato nel corso di due anni in condizioni difficili, segna il ritorno al cinema di Kurosawa dopo un lustro di depressione. Magnifica messa in scena del rapporto d'amicizia e di quello tra l'uomo e la natura. Kurosawa ha girato nei luoghi narrati da Arseniev: da ciò deriva il fascino epidermico del film, un viaggio fiabesco tra paesaggi splendidi, misteriose musiche delle vette, foreste minacciose e orizzonti a perdita d’occhio. La riuscita dell’opera è dovuta anche all’indimenticabile interpretazione di Maksim Manzuk, un veterano del teatro di Tuva e musicologo che fa di Dersu Uzala un personaggio indimenticabile: la virile amicizia con il capitano (Yurij Solomin), è narrata senza sussulti romanzeschi o retorici e tutto il film si regge su un equilibrio di rapporti che non conosce cadute di tono o sbavatura alcuna. Va sottolineato il coraggio di Kurosawa che, in anni in cui tutto doveva essere politico ad ogni costo (qualche critico “impegnato” glielo rimproverò), svolge un tema sui rapporti uomo-natura-progresso; in questo senso gli è vicino il grande Luis Buñuel il quale ha affermato: “La prima rivoluzione da fare è quella ecologica. Il problema politico è passato in secondo piano”. Oscar come miglior film straniero nel 1976.
Kapu

DELITTI E SEGRETI (Steven Soderbergh)



Un film di Steven Soderbergh. Con Jeremy Irons, Alec Guinness, Armin Mueller-Stahl, Ian Holm, Joel Grey, Theresa Russell, Robert Flemyng, Keith Allen, Brian Glover, Simon McBurney, Jeroen Krabbe Titolo originale Kafka. Thriller, durata 98' min. - USA 1991

Nella Praga degli anni Venti, dominata dal misterioso Castello in cui risiede il Potere, lo scrittore Franz Kafka, ancora quasi sconosciuto, è impiegato in una grande società di assicurazioni. Il futuro scrittore, timido e frustrato com'è, viene tiranneggiato dall'ambiguo Burgel. Recatosi all'obitorio per identificare il corpo del suo amico Eduard, ritrovato nel fiume, Kafka apprende dal commissario Grubach che la polizia dà credito all'ipotesi del suicidio. L'amante del morto invece è certa che sia stato ucciso
Tutti, chi più chi meno, hanno detestato questo film di Soderbergh su Kafka. I motivi non sussistono. Il film non è "di maniera", non è uno scherzo cinefilo, non è citazionismo d'accatto, non è scopiazzatura lynchana. E' un ottimo esempio di raffigurazione visionaria del pensiero postmoderno. Soderbergh tenta di dare al film una connotazione allegorica cambiando il b/n iniziale con il colore, per mettere in risalto il passaggio del personaggio dal mondo esterno a quello interno e segreto del Castello. Soderbergh riesce a conferire al film una componete grottesca, quasi metafisica. Il discorso è anche molto superficiale e niente affatto profondo, ma è qua che il cinema di Soderbergh diventa pura immagine. Nel dichiarare la falsità di un immaginario sfasato (quello kafkiano) che non corrisponde mai a quello vero. E' un altro mondo di un sotto mondo. Soderbergh dirige nel magnifico panorama di Praga e si fa aiutare in sede di sceneggiatura da Lem Dobbs. La fotografia invece è affidata alla mano di Walt Lloyd.
Kapu

MATADOR (Pedro Almodóvar)



















Un film di Pedro Almodóvar. Con Assumpta Serna, Eusebio Poncela, Carmen Maura, Antonio Banderas, Julieta Serano, Bibì Andersen, Chus Lampreave Grottesco, durata 110' min. - Spagna 1986.

A causa di un incidente il torero Diego Montes è costretto ad abbandonare la sua brillante carriera. Non potendo fare a meno di uccidere trasferisce la propria furia omicida sulle sue amanti che elimina nel momento dell'orgasmo. Anche Maria, un'affascinanate avvocato penalista, riserva lo stesso trattamento ai suoi amanti. Ángel, un ragazzo problematico allievo di Montes, si autoaccusa degli omicidi. Maria, segretamente innamorata di Montes, decide di difendere il ragazzo per poter finalmente conoscere il grande torero. Fra i due, scoppia una passione folle. 
Sangue e arena secondo Almodovar. Uno dei film più passionali di Pedro, che brulica di istinti ma si appoggia su un concreto baricentro narrativo; rispetto ad altre sue pellicole infatti la storia ha la sua importanza, arbitra i personaggi come marionette del desiderio e li logora fino all'eccesso, alla disperazione. Un dramma smisurato, senza inibizioni, a cui Pedro contrappone uno stile che non si sovrappone alla scabrosità del racconto, ma lo segue senza deformarlo, che trova nel finale un autentico momento di lirica almodovariana. E' "La signora della porta accanto" dello spagnolo più rock ed amabile dello schermo, dove le pulsioni omicide, le metafore, il sangue cremisi dell'amore e della morte, Eros e Thanatos, sembrano combinarsi con l'unicità del mondo di Pedro, e così dalla corrida esce l'assassino non l'eroe, dal realismo si passa all'astratto (come se fosse un quadro d'arte contemporanea) e all'inspiegabile, sia la psicologia umana o l'innamorarsi. Un frutto acerbo che però vuole dire tanto e dà moltissimo.
tres

IL MERCANTE DI VENEZIA (Michael Radford)

Locandina Il mercante di Venezia












Un film di Michael Radford. Con Al Pacino, Jeremy Irons, Joseph Fiennes, Mackenzie Crook, Julian NestLynn Collins, Ben Whishaw Titolo originale The Merchant of Venice. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 124 min. - Gran Bretagna, Italia 2004. uscita venerdì 11 febbraio 2005.

Questa nuova versione del celeberrimo testo shakespeariano arriva dopo oltre cinquant'anni la precedente, quella italiana con Michel Simon nei panni del vendicativo Shylock. Il motivo della lunga consegna all'oblio (cinematografico) de Il Mercante di Venezia è facilmente intuibile, essendone protagonista l'odio profondo tra "gentili" e "giudei", sebbene raccontato col garbo, la profondità e la suprema genialità del bardo. Radford decide di infischiarsene dei rischi connessi ad un adattamento per il grande schermo della superba opera di fine '500, e fa bene.
Ci sono delle ovvie considerazioni da fare: con un testo del genere; avvalendosi della partecipazione di due mostri di bravura quali Al Pacino e Jeremy Irons; con le porte della città di Venezia spalancate per le riprese; sarebbe stato veramente difficile sbagliare il colpo. Certo, alcune parti del film non reggono la parabola di tensione e pathos che il testo disegna (soprattutto l'ultima mezz'ora), così come si avverte la mancanza di un vero affiatamento tra Pacino e Irons (i due fanno splendidi assolo, ma sembrano ignorarsi a vicenda). Ma sono dettagli in un'opera ben realizzata sotto tanti punti di vista (costumi, fotografia, scenografia), che ne fanno un ottimo sostituto per chi non ha avuto ancora occasione di vedere "Il Mercante di Venezia" in teatro, dove meglio si apprezzano i dialoghi di Shakespeare.Un'ultima considerazione su Al Pacino: stupisce che sia stato totalmente ignorato dall'Academy Awards per gli Oscar 2005, anno che lo vede comunque, con questo film, una spanna al di sopra di suoi celebri colleghi, Hoffman e De Niro, protagonisti di filmetti di seconda categoria (eccezion fatta per il ruolo minore di Hoffman in Neverland).
tres

DANCER IN THE DARK (Lars Von Trier)



Un film di Lars von Trier. Con Catherine Deneuve, David Morse, Björk Gudmundsdóttir, Peter Starnmare, Peter Stormare Musical, durata 140 min. - Danimarca 2000.

Selma, una giovane cecoslovacca emigrata in America e con la passione del musical, fa l'operaia alla catena di montaggio, vive in uno squallido sobborgo di motorhomes, sta diventando cieca e mette via ogni centesimo per far operare il suo bambino e salvarlo dalla cecità che gli ha trasmesso geneticamente mettendolo al mondo. Infagottata in vestitini da quattro soldi, con le lenti spesse e lo sguardo sperso di chi non vede quasi più Selma si arrabatta e si vede costretta all'omicidio quando qualcuno le ruba tutti i suoi risparmi. 
Ogni rumore, o concatenazione di rumori, lo stridio di una macchina, le voci e le "entrate" che si accavallano in un processo, il battito di un treno sulle rotaie o quello sordo e terrorizzato di un cuore, tutto serve a Selma per creare davanti a ai suoi e ai nostri occhi il sogno di una vita cinematografica, da "Tutti insieme appassionatamente" (che fa da "guida"al film), a "Sette spose per sette fratelli", dal modernismo alla Bob Fosse al vitalismo del musical sovietico anni '50, all'omaggio vivente a Jacques Demy e alle sue "demoiselles" che è Catherine Deneuve, operaia tenerissima, dalla faccia pulita, quasi ringiovanita. Nel film (anche il titolo è una citazione minnelliana), ci sono un dolore e un amore enormi, intrecciati appassionatamente nella più impossibile, ma per alcuni anche la più quotidiana delle finzioni: sognare la perfezione del cinema per resistere all'orrore della vita.
Kapu

IL LAUREATO ( Mike Nichols)



Un film di Mike Nichols. Con Dustin Hoffman, Anne Bancroft, Katharine Ross, William Daniels, Murray Hamilton, Elizabeth Wilson, Buck Henry, Brian Avery, Norman Fell, Alice Ghostley, Marion Lorne, Eddra Gale, Kevin Tighe, Richard Dreyfuss, Walter Brooke Titolo originale The Graduate. Drammatico, durata 105 min. - USA 1967.

Già dalle prime inquadrature si legge sul volto del ventenne Benjamin Braddock uno strano turbamento, un'insolita inquietudine che basta a sfatare il topos del nostalgico ritorno a casa. Figlio d'un affermato uomo d'affari, neolaureato a pieni voti e proiettato verso una brillante carriera, all'apparenza il giovane protagonista non avrebbe alcun motivo di essere scontento, eppure sembra assente, totalmente estraneo a quel sontuoso e ovattato mondo in cui è chiamato a vivere. Né valgono le sollecitazioni paterne a scuoterlo dal profondo stato di inerzia in cui è caduto. L'unica distrazione dalla nuova torpida esistenza è la relazione segreta con la signora Robinson, moglie del socio di suo padre. Ma nemmeno in questa timida esperienza di trasgressione Benjamin riesce a instaurare un serio contatto umano. Una difficoltà di comunicazione, di apertura verso il mondo tormenta il protagonista, incapace di affrontare la solitudine, finchè l'amore per la bella Elaine, figlia della sua matura amante, ridesta in lui la speranza. Ma la storia scivola nel dramma quando la relazione con la Robinson viene a galla ed Elaine, pur innamorata di Benjamin, decide di sposare un altro uomo.
Dal romanzo di Charles Webb, Mike Nichols trae un intricato dramma familiare aggiornandolo al fervido clima di contestazione che era nell'aria. Ma gli spunti di polemica sociale sono blandi e contraddittori, se rapportati alla figura del protagonista, che prende solo relativamente le distanze da quel mondo, cui comunque appartiene e di cui non rifiuta i privilegi. La stessa tematica del conformismo è denunciata "dall'interno", in modo abbastanza generico e semplicistico. Dubbia inoltre la caratterizzazione dei personaggi, lontani dagli stereotipi ma psicologicamente vaghi.L'interesse de Il laureato risiede soprattutto nella storia, diretta con abilità e con una seconda parte sempre più incalzante, carica di un'ironia che storna i tempi morti e smussa la drammaticità. Per ammissione dello stesso regista, i tre minuti finali sono i più belli. L'espressione felice dei protagonisti è subito interrotta dalla consapevolezza della realtà e l'apparente happy end della vicenda lascia spazio alla riflessione. È un finale aperto, in cui tutto sembra risolto ma in realtà nulla è veramente concluso. Per il laureato Benjamin Braddock ha inizio l'università della vita. Forse.
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GOOD NIGHT AND GOOD LUCK (George Clooney)

Locandina Good Night, and Good Luck.












Un film di George Clooney. Con David Strathairn, Frank Langella, Robert Downey Jr., Patricia Clarkson, George Clooney, Jeff Daniels, Reed Diamond, Tate Donovan, Joseph Dowd, Simon Helberg, Grant Heslov, Thomas McCarthy, Glenn Morshower, Katharine Phillips Moser, Matt Ross, Alex Borstein, Ray Wise, Robert John Burke, David Christian Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 90 min. - USA 2005. uscita venerdì 16 settembre 2005.

Il cinema americano può ancora sperare di ritrovare la propria anima originaria se darà spazio a registi come George Clooney che con il Presidente degli Usa condivide solo il nome. Clooney però si sente, e a buon diritto, un vero americano e dichiara "Io spero che con questo film abbiamo reso merito ai giornalisti coraggiosi. Erano dei patrioti e come tali devono essere ricordati". Di uno di questi si occupa il suo film: Ed Murrow che nel 1953 condusse dagli studi della CBS una dura battaglia contro il senatore McCarthy propugnatore delle liste di proscrizione contro i 'comunisti' che causarono perdite di lavoro, incentivazioni della delazione e anche suicidi tracciando una pagina nera della storia americana. Clooney sceglie, per questa sua seconda prova registica dopo Confessioni di una mente pericolosa, uno stile "old fashion". Un bianco e nero lucido ci accompagna in un percorso che conta soprattutto sui volti degli attori decidendo inoltre di non far interpretare a nessuno il ruolo di McCarthy. Tutte le immagini dell'ottuso e rancoroso senatore sono affidate a materiale di repertorio. Il suo volto, la sua voce (nella versione originale) parlano da sole. Dicevamo dell'old fashion. Clooney accompagna questa battaglia giornalistica ("Non si può portare la libertà altrove se in patria si calpestano i diritti individuali") con una sceneggiatura che non mitizza nessuno, neppure Ed Murrow, ma ci ricorda il meglio del cinema americano degli anni Cinquanta fondendo impegno civile e leggerezza di scrittura. Un film raffinato quindi per un tema che a cinquant'anni di distanza si ripropone con una forza esponenzialmente più elevata (e non solo negli States): l'informazione televisiva e il tentativo, da parte dello stesso mezzo, di narcotizzare le coscienze. Con in più, e anche qui la storia si ripete, l'uso massiccio del terrorismo verbale: quel 'comunisti' o 'fiancheggiatori dei comunisti' gettato addosso a chiunque non sia d'accordo. Il simpatico seduttore dall'occhio malandrino è capace di grande impegno e serietà. Clooney ci narra dell'ieri con davanti una chiara visione dell'oggi prendendosi anche una piccola soddisfazione che farà contenta una parte del pubblico: in questo film si fuma, accanitamente, in continuazione. Che sia una voluta scelta 'politically uncorrect"?
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THE BONDOCK SAINTS - GIUSTIZIA FINALE (Troy Duffy)


Locandina The Boondock Saints - Giustizia finale












Un film di Troy Duffy. Con Willem Dafoe, Sean Patrick Flanery, Norman Reedus, David Della Rocco, Billy Connolly, David Ferry, Brian Mahoney, Richard Fitzpatrick, William Young, Robert Pemberton, Bill Craig, Dot Jones, Scott Griffith, Layton Morrison
Titolo originale The Boondock Saints. Politico, durata 140 min. - USA 1999.

C'è del marcio a Boston. Il sangue versato dalla mafia si mescola con la buona birra irlandese. Il retrogusto è quello della vendetta e del castigo divino. I fratelli Mac Manus credono nella figura del Dio punitore e ritengono sia l'ora di fare piazza pulita. Se il creatore scatenò le piaghe d'Egitto, i due giovani sceriffi fai da te applicheranno un'epurazione totale. Spacciatori, stupratori, assassini. La punizione si trasforma in un dovere da rispettare tutti i santi giorni.
The Boondock Saints è una naturale conseguenza della ventata pulp del cinema tarantiniano. Quello dei balordi da punire, degli scontri verbali oltre che fisici, passi biblici inclusi. Troy Duffy si serve del genere senza diventare vittima di confronti, raccontando un hard boiled deduttivo capace di sollevare un interessante problema etico sul senso della giustizia. Laddove il necessario non coincide col giusto e quando le leggi umane si scoprono inapplicabili come i precetti religiosi, la violenza sembra l'unica estrema soluzione. Il film ha il merito di non schierarsi e di delineare protagonisti contradditori, in cui l'opposizione manichea tra bene e male si risolve in anime grigie. Il giudizio morale viene lasciato al pubblico, tanto simili ai cittadini intervistati che accompagnano i titoli di coda. Questa "messa" in scena di blasfema sacralità è favorita da un Willem Dafoe che si muove leggiadro come una prima donna tra personaggi grotteschi e tutti ben caratterizzati. Con la ricostruzione postuma della polizia che risulta il meccanismo scenico più ispirato. Tra pastori e pecore nere, The Boondock Saints è un film che in qualche modo riesce a distinguersi dal gregge di un genere tanto usurato.
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DEAD MAN DOWN - IL SAPORE DELLA VENDETTA (Niels Arden Oplev)

Locandina Dead Man Down - Il sapore della vendetta












Un film di Niels Arden Oplev. Con Colin Farrell, Noomi Rapace, Terrence Howard, Dominic Cooper, Isabelle Huppert, Armand Assante, F. Murray Abraham, Saul Stein, Michael McKiddy, John Cenatiempo, Stu Bennett, Kresh Novakovic, James Biberi, Luis Da Silva Jr, Franky G, Jennifer Mudge, Raw Leiba, Jennifer Butler, Raymond Mamrak, Kelly Southerland
Titolo originale Dead Man Down. Thriller, Ratings: Kids+16, durata 117 min. - USA 2013. - Lucky Red uscita giovedì 14 marzo 2013

 Victor è un membro fidato della gang del boss Alphonse, da qualche tempo tenuta sotto scacco da un killer che sembra volerla far fuori pezzo dopo pezzp, uomo dopo uomo. Ma Victor è anche il vicino di casa di Béatrice, una ragazza che francese che vive sola con la madre, incapace di superare il trauma di un incidente stradale che l'ha sfigurata in volto. Béatrice ha visto Victor uccidere un uomo e lo ricatta perché faccia altrettanto con il pirata della strada che l'ha rovinata. Riusciranno i due tormentati assetati di vendetta a chiudere con il passato e a trovare un futuro, magari insieme?
Primo film anglofono del danese Niels Arden Oplev, corteggiato dagli studios all'indomani del successo di Uomini che odiano le donne, Dead Man Down resta in bilico tra due modi di fare e pensare il cinema, finendo per non prendere posizione e risultare più incidentale che incisivo.Il problema non è tanto quello di capire come thriller adrenalinico e storia sentimentale si giochino fra loro il ruolo di sostanza e di copertura, dato che, negli esempi cinematograficamente migliori, i due termini s'intersecano al punto da non permetterci di rispondere con sicurezza, ma quel che paralizza il film di Oplev è piuttosto la mancanza di personalità su entrambi i fronti. C'è indubbiamente una nota dolente, dal sapore europeo, che corre lungo tutto il film e narra della deriva psicologica di un uomo e una donna per bene, rotti al loro interno da un dolore incomunicabile che ha ucciso la pietà e allevato mostri, e c'è dunque la costruzione di un incontro amoroso particolare (anche se non certo inedito), ma manca del tutto quell'argine di realismo e credibilità, specialmente nella gangster story, che avrebbe fatto del film qualcosa di potenzialmente interessante.
Non è dato sapere, per esempio, come e dove il tranquillo ingegnere interpretato da Colin Farrell abbia acquisito l'arsenale, le nozioni e le abilità militaresche che si ritrova (forse in altri film?), né che bisogno ci fosse di sfondare il pavimento del plausibile, proprio sull'approssimarsi del finale, per ritrovarsi sul piano della baracconata. E pensare che tanto Farrell quanto Noomi Rapace potevano essere i nomi giusti, se si fosse scelto di sottolinearne la normalità anziché una fantasiosa specialità.
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VERO COME LA FINZIONE (Marc Forster)

Locandina Vero come la finzione












Un film di Marc Forster. Con Will Ferrell, Maggie Gyllenhaal, Dustin Hoffman, Queen Latifah, Emma Thompson,Tom Hulce, Tony Hale, Denise Hughes, Linda Hunt
Titolo originale Stranger Than Fiction. Commedia, Ratings: Kids+13, durata 113 min. - USA 2006. - Sony Pictures uscita venerdì 2 febbraio 2007.

 Harold Crick è un uomo che vive la propria esistenza attraverso i numeri. Conta le volte che muove lo spazzolino tra i denti, i passi che compie per arrivare alla fermata dell'autobus, esegue a mente calcoli impossibili. Una mattina, appena svegliato e pronto a svolgere il proprio lavoro di esattore delle tasse, sente una voce femminile. La voce descrive i movimenti di Harold e ogni azione che compie. Contemporaneamente, una famosa romanziera in preda a un blocco creativo, sta proprio scrivendo la storia di quell'uomo qualunque. Realtà e finzione sono frequentemente oggetto delle sceneggiature cinematografiche. Nel caso di Vero come la finzione (molto meglio il titolo originale Stranger than fiction), questi due mondi corrono in parallelo percorrendo una linea dolcemente surreale, semplice nelle situazioni, e con una dose di ironia espressa con garbo da Will Ferrell, un Harold dall'occhio fisso e perplesso, da Emma Thompson, affascinante nel suo ruolo letterario, da una Maggie Gyllenhaall donna angelicata, e da un Dustin Hoffman che finalmente si diverte e al quale sono affidate le battute più riuscite. Marc Forster trasporta lo spettatore dal sogno stile Neverland a un limbo sospeso, leggero, che si allontana da Peter Pan e si avvicina alla dura esistenza che conduce indissolubilmente verso una fine nota. La magia è nell'attimo, scandito da un orologio, emblema della precisione degli ingranaggi, dichiarazione dell'unicità delle emozioni quotidiane di ognuno di noi.
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OGGI E' GIA' DOMANI ( Joel Hopkins)

Locandina Oggi è già domani













Un film di Joel Hopkins. Con Dustin Hoffman, Emma Thompson, Kathy Baker, James Brolin, Eileen Atkins.
Richard Schiff, Liane Balaban, Michael Landes, Alex Avery, Patrick Baladi Titolo originale Last Chance Harvey. Drammatico, Ratings: Kids+13, - Gran Bretagna 2008.

Harvey è un musicista jazz americano che è ormai stabilmente impegnato nella realizzazione di jingle per spot televisivi ma le cui creazioni sembrano non interessare più la clientela. Deve raggiungere Londra per il matrimonio della figlia la quale vive ormai da tempo con la madre e con il patrigno. Desideroso com'è di lasciare rapidamente un ambiente in cui si sente a disagio, sta per fare ritorno negli States, ma perde l'aereo. In aeroporto incontra Kate, addetta ai sondaggi con i passeggeri. Kate è una single con una madre iperassillante ed un'amica che cerca di proporle possibili partner.
Ci sono film la cui sceneggiatura si rivela di una prevedibilità pressoché assoluta ma che, per una sorta di alchimia che solo all'arte è possibile, finiscono con il catturare l'attenzione dello spettatore. E' il caso di questo film di Joel Hopkins alla sua opera seconda in cui firma anche come sceneggiatore. Quante volte abbiamo visto al cinema due non solitudini non più giovani incontrarsi casualmente per poi trovare un'empatia che li possa spingere a guardare al futuro con occhi diversi? Innumerevoli. Ma se hai a disposizione due 'vecchie' volpi come Dustin Hoffman (liberato per una volta da caratterizzazioni in voce o in volto) ed Emma Thompson il discorso cambia e si rinnova. Grazie anche a un montaggio alternato iniziale che ne mostra e dimostra i differenti disagi. Harvey è un padre che è stato troppo distante per pretendere di recuperare appieno l'amore di una figlia di cui conserva però l'affetto così come Kate ha ormai quasi nelle fibre dei tessuti degli abiti che indossa il logorio di una vita che cerca nelle parole su carta (il corso di scrittura creativa) una fuga dall'inerte squallore di appuntamenti che si diluiscono in un bicchiere di vino bianco secco. Sono pronti per incontrarsi e per riaccendere un barlume di speranza in un domani che non sarà infinito. Ci vogliono due veri attori per sostenere due ruoli in understatement come questi. Hoffman e Thompson lo sono.
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CONFIDENCE - LA TRUFFA PERFETTA (James Foley)

Locandina Confidence - La truffa perfetta













Un film di James Foley. Con Morris Chestnut, Leland Orser, Rachel Weisz, Dustin Hoffman, Edward Burns,
Andy Garcia, Paul Giamatti, Dave Foley, Luis Guzmán, Donal Logue, Robert Forster Titolo originale Confidence. Thriller, durata 97 min. - USA 2003

 Jake Vig è un truffatore di lungo corso, che però stavolta ha avuto il torto di immischiarsi con un boss tanto dmesso all'apparenza quanto pericolosamente psicopatico nei fatti. Per rimediare accetta il suo ordine di tentare una truffa contro uno degli autentici padroni di los Angeles, ex gangster ora proprietario di banca. Ma quando arrivano contemporaneamente l'amore e u agente dell'Fbi disposto a tutto per mettergli le manette la faccenda si complica terribilmente. E non è un caso che la storia siaraccontata da un morto, o presunto tale... James Foley sembrò a un certo punto un regista discontinuo ma capace di vero talento, con titoli come A distanza ravvicinata e il bell' Americani tratto dalla miglior commedia di David Mamet.I due sembrano tornare a incrociarsi, visti i debiti - non dichiarati ma evidentissimi - della pellicola con l'esordio cinematografico del commediografo, La casa dei giochi.
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THE LOST CITY (Andy Garcia)

Locandina The Lost City












Un film di Andy Garcia. Con Andy Garcia, Dustin Hoffman, Bill Murray, Ines Sastre, Tomas Milian, Lorena Feijóo, Elizabeth Peña
Drammatico, durata 143 min. - USA 2005. uscita venerdì 17 novembre 2006

1958, Havana, Cuba. Durante la dittatura di Batista, Fico Fellove (Andy Garcia), proprietario di un locale notturno, apprezzato e rinomato dal jet-set, appartiene a una famiglia ricca, unita, tradizionale, che si ritrova a tavola per il pranzo della domenica. All'improvviso, due dei suoi fratelli manifestano interessi per la rivoluzione castrista che sta prendendo piede sull'isola, gli equilibri si spezzano, e tra musica, balli, amore e morte, qualcosa inizia radicalmente a cambiare. Nella vita di Fico. Nella storia. Scritto dal famoso autore cubano Cabrera Infante, l'atto d'amore di Andy Garcia nei confronti della sua "città perduta", Cuba, ha il difetto di mettere sul piatto Storia e sentimento, abbandonandosi a una passionalità incontrollata che gli impedisce di dominare i numerosi elementi del film. The Lost City, è un affresco personale di un paese in cambiamento, in cui Garcia si pone come protagonista, osservatore e trait d'union (con qualche reminiscenza del personaggio di Humprey Bogart in Casablanca). L'impegno a raccogliere un cast di alto livello (Dustin Hoffman, Bill Murray, Ines Sastre, Tomas Milian), la cura nella fotografia al limite di un artificioso patinato, la musica e i balli sempre presenti a sottolineare l'anima di Cuba, i personaggi della Storia, annunciati ma superficiali, sono la dimostrazione sincera di come questo lungometraggio fosse il vero sogno di Andy Garcia regista (tanto che ha prodotto, diretto, composto le musiche e interpretato il film), tuttavia l'aria che si respira, dall'esterno e dall'interno, è quella dell'ingovernabilità, dell'impossibilità di esprimere con chiarezza i confini fra bene e male, imprigionati nella confusione della sua memoria di bambino.
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APPARTAMENTO AD ATENE ( Ruggero Dipaola)

Locandina Appartamento ad Atene












Un film di Ruggero Dipaola. Con Laura Morante, Richard Sammel, Gerasimos Skiadaressis, Vincenzo Crea, Alba De Torrebruna Drammatico, durata 95 min. - Italia 2011. - EyeMoon Pictures uscita venerdì 28 settembre 2012

Atene, 1942. Prima della guerra Nikolas Helianos era un editore e un borghese abbiente. Sensibile e illuminato è il padre amorevole di Leda e Alex e il consorte innamorato di Zoe, con cui cerca di sopravvivere alla guerra e all'occupazione nazista. Il loro ménage viene interrotto dall'ingresso letterale di un ufficiale tedesco. Ottuso e tirannico, il capitano Kalter sequestra la loro intimità, sistemandosi nella loro camera da letto, occupando per i pasti il loro salone, disponendo libri e sigari nel loro studio. Nikolas e Zoe loro malgrado imparano a convivere col capitano, prudenti nelle azioni e nei pensieri. Richiamato in patria, Kalter si congeda per due settimane al termine delle quali rientra in seno alla famiglia trasformato. Depresso e inappetente non trova più piacere nel vessare e comandare gli ospiti ospitanti. Tra un bicchiere di vino rosso riscaldato e la lettura di un classico, Nikolas e Kalter sembrano trovare un equilibrio nuovo e paritetico. Ma la confessione del capitano, promosso maggiore, intorno a un dolore privato, sovvertirà un'altra volta simmetrie e convivenze, infilando un epilogo tragico. Opera prima e dolente di Ruggero Dipaola, Appartamento ad Atene è un crudele gioco delle parti: un disturbato ufficiale nazista accomodato davanti alla tavola e una famiglia greca 'insediata' che lo fissa negli occhi impotente. Perché agli Helianos non sfugge la comprensione del dramma, a sfuggire è piuttosto la logica perversa che muove quel tiranno, che ha invaso la loro terra e la loro casa e adesso brama anche la loro anima. Portatore dell'aberrante piacere del potere assoluto esercitato su chi non può difendersi senza mettere in pericolo la propria e altrui incolumità, Kalter incarna l'ordine del terrore eliminando qualsiasi relazione diretta tra una condotta e la conseguente punizione.
È l'irruzione improvvisa dell'ignoto, è l'interruzione del normale corso degli accadimenti e della disposizione alla razionalità. Le vittime di quell'invasione sono spossessate e ogni azione aggressiva può essere compiuta. Al piacere sadico di Kalter, così prossimo a quello dei comuni criminali, 'reagisce' la mitezza di Nikolas che si muove diversamente e ostinatamente nello spirito dell'amore. (Rin)chiusi in un appartamento, luogo della rappresentazione e centro dell'azione, l'ufficiale e il padre 'parlano', come ogni altra cosa o oggetto nella casa, di equilibri interiori affranti, di domini sadici, di dilemmi angosciosi. Dipaola entra nell'appartamento dalla porta d'ingresso, introducendo lo spettatore nei corridoi e nei meandri delle oscurità dell'anima, dentro un'angoscia palpabile e insostenibile. Nelle stanze 'occupate' degli Helianos il black out è assoluto e spezza qualsiasi legame con l'esterno, che alterna l'interno soltanto per immergersi in altre tenebre e nella psiche degenerata di un maggiore zoppo, innocuo all'apparenza e poi terribile nel praticare la stessa crudeltà. Alla maniera dello scorpione nell'incipit, gli Helianos sono in trappola e sperimentano il dolore e l'impossibilità a superare indenni le fiamme, troppo alte dell'orrore. Lo dichiara subito il regista, anticipandoci pena e condanna, ma offrendoci insieme il conforto del racconto. Appartamento ad Atene deriva da un romanzo, comincia con la narrazione di una bambina e chiude sul volto muto della protagonista e sulla voce over del marito che recita la propria lettera e il proprio testamento. Alla Zoe della Morante non serve vedere per capire, ha bisogno di una voce per ricordare. Perché la parola permette di dare un senso a un'intimità violata, di contenere nei limiti della sopportabilità umana la più feroce delle aggressioni.Trasposizione del romanzo omonimo di Glenway Wescott, Appartamento ad Atene è cinema 'da camera' che indaga l'incarnazione del male e la relazione che intrattiene con l'umano. Cinema che ritrova nelle parole la Memoria degli orrori subiti dentro una guerra che è tutte le guerre.
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RAIN MAN - L'UOMO DELLA PIOGGIA (Barry Levinson)

Locandina Rain Man - L'uomo della pioggia













Un film di Barry Levinson. Con Dustin Hoffman, Tom Cruise, Valeria Golino, Gerald R. Molen, Michael D. Roberts
Titolo originale Rain Man. Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 140' min. - USA 1988

Viaggio da Cincinnati a Los Angeles di un disinvolto commerciante d'auto e di suo fratello, autistico con genio matematico. Divertente, commovente, ruffianello, conta specialmente per D. Hoffman e il suo istrionismo raffreddato. 4 Oscar: film, regia, sceneggiatura (Ronald Bass e Barry Morrow), D. Hoffman. Orso d'oro a Berlino 1989.
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EYES WIDE SHUT ( Stanley Kubrick)

Locandina Eyes Wide Shut












Un film di Stanley Kubrick. Con Nicole Kidman, Tom Cruise, Madison Eginton, Jackie Sawris, Sydney Pollack,Peter Benson, Todd Field, Michael Doven, Sky Dumont, Louise J. Taylor, Stewart Thorndike, Randall Paul, Julienne Davis, Lisa Leone, Kevin Connealy, Thomas Gibson, Jackie Sawiris, Leelee Sobieski, Rade Sherbedgia, Rade Serbedzija, Leslie Lowe, Marie Richardson, Vinessa Shaw, Alan Cumming Drammatico, durata 160 min. - Gran Bretagna, USA 1999.

Attesissimo, beatificato a priori, questo film ha chiuso tre parabole: ricerca, carriera e vita. È quasi naturale che Kubrick, dopo tanto rigoroso, totale, maniacale e mistico impegno, non gli sia sopravvissuto. È un altro allarmante elemento del mito di Eyes Wide Shut e dell'autore, che ha sempre fatto film diversi, affrontando (e risolvendo a modo suo) questo e quel tema della vita e del cinema. Qui pone il suo suggello, la verità ultima, sul sesso, che è certamente più importante, per fare un solo esempio, della fantascienza. Il regista si ispira a un racconto di Arthur Schnitzler, Doppio sogno, ambientato nella Vienna degli anni venti, e traspone la vicenda nella New York dei giorni nostri. Alta borghesia, alto censo, belle case, bella gente. Cruise è il medico William Harford, e Kidman è sua moglie Alice. A un party la coppia corteggia e si fa corteggiare (venialmente), ma tornando a casa lei gli confessa di aver recentemente provato un'attrazione irresistibile per un ufficiale. William sembra sorriderci, ma la rivelazione lavora sulla sua coscienza e nei suoi incubi. Immagina la moglie in atti sessuali con l'ufficiale. Cambia il suo rapporto con il sesso, cede alla corte della figlia di un suo paziente, esce nella notte e incontra una prostituta, non resiste alla tentazione di partecipare a un'orgia. Anche il sesso con sua moglie si trasforma. E anche la sua vita si trasforma. Perché il sesso è una cosa seria e misteriosa, dolorosa e, soprattutto (ed ecco Kubrick) pensata. Il sesso è di certo a lungo e fortemente rappresentato, ma Kubrick si è abbondantemente guadagnato la franchigia di artista (come Fellini), dunque lo stile tutto soccorre. Tuttavia l'autore, per la versione americana, ha nascosto certi particolari. Potrebbe essere inteso come una sorta di metafora del dispetto, di un americano che ha scelto di vivere a Londra e che da tempo non ha voluto far cinema negli USA, mecca del cinema: "le nascondo l'essenza, che tengo per gli evoluti europei". Il resto è ormai cronaca-leggenda, appunto: i quasi tre anni di lavorazione, certi attori assunti poi protestati, come Keytel e Malcovich, e le crisi matrimoniali-sessuali di alcuni protagonisti, a cominciare dalla coppia regina Tom-Nicole. Chissà se è tutto vero.
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