domenica 30 giugno 2013

QUELL'OSCURO OGGETTO DEL DESIDERIO (Luis Buñuel)



Titolo originale Cet obscur objet du désir. Drammatico, durata 100' min. - Francia 1977

Mathieu è innamorato di due donne: l'inquietante Concha e la sensuale Concha.
Siviglia. Mathieu è in partenza sul treno per Parigi. Concha lo implora di non lasciarla, ma lui le rovescia un secchio d'acqua in testa. Poi agli stupefatti compagni di viaggio racconta la sua storia. Da quando ha incontrato Concha il desiderio lo divora, ma la ragazza lo sconcerta: ora sembra facile e ora inaccessibile. Il gioco continua, sempre più crudele, grottesco e ossessivo. Nell'epilogo una donna ricuce un lenzuolo macchiato di sangue. Un'esplosione annienta tutto.
Grande, incommensurabile Luis Bunuel con "Quell’Oscuro Oggetto Del Desiderio", ultima opera del maestro spagnolo. Può essere letta in chiave politica: la borghesia non fagociterà il proletariato (lettura troppo riduttiva). L’uomo non potrà mai comprare la libertà della donna (meglio). Il desiderio, il sesso, il possesso come chiavi d’interpretazione della coppia e si potrebbe proseguire. Ciò che più colpisce a distanza di trentacinque anni sono i vari simbolismi di cui è disseminato. Non solo, la satira sferzante e beffarda (un aggettivo bunueliano a tutti gli effetti) dei gruppi terroristici che sullo sfondo della vicenda compiono attentati, estorsioni e sabotaggi sfiorando e disinteressando i protagonisti per poi…Nella scena conclusiva da un altoparlante apprendiamo che varie sigle del terrorismo di estrema sinistra si sono alleate con i Gruppi Rivoluzionari del Bambin Gesù e pure quelli di destra sono pronti a scatenare confusione totale e attentati senza logica. Grandi attori tra cui il trio principale: Fernando Rey, Carole Bouquet e Angela Molina. Ennesima, ultima magia di uno che di strategie del desiderio se ne intendeva. E l'idea di far interpretare la stessa parte a due attrici diverse è semplice quanto geniale. Bunuel si commiata dal suo pubblico con un'opera che è la summa del suo filmo-pensiero: surreale, anarchico, erotico. Film seminale per Almodovar e De La Iglesia.

tres

BELLA DI GIORNO (Luis Buñuel)



Titolo originaleBelle de jour. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 100' min. - Francia 1967

La moglie di un chirurgo si lascia andare alle sue inclinazioni sadomasochistiche. Inizia così una doppia vita: di notte l'amore per il marito; di giorno la frequentazione di una casa di appuntamenti. Sévèrine è una donna, in apparenza, sévère: bellissima fredda e distaccata, poco loquace e tendente al giudizio facile, vive dello sguardo degli altri sulla sua virtù. La sua vivacità è quella di un soprammobile e neanche l'amore di un marito (Pierre / Pietro: stabile ed indistruttibile come una pietra, dai toni sempre corretti, levigato) bello e di successo riesce a scalfire questa aura di intoccabilità e perfezione. Non ha, a dirla tutta, nessuna qualità specifica. Se non l'avvenenza e l'eleganza. Nessun interesse, nessuna occupazione. A Sévèrine non importa essere interessante, acculturata, intelligente, di gradevole conversazione, oppure appassionata, o curiosa, o simpatica. Nessuno le chiede di esserlo, neppure Pierre. Che accetta il suo essere immobile e vacua, senza volontà propria, con malcelata soddisfazione maschile. Seduta nel proprio salotto Sévèrine non è molto diversa da uno dei vasi, o dei quadri che addobbano l'ambiente. Catherine Deneuve bellissima, volutamente e forse eccessivamente inespressiva. Imperscrutabile. Gelida, egoista, non concede nulla del proprio cuore. Il dramma la sfiora appena, giusto in tempo per farle recuperare il ruolo subalterno di moglie (e forse, in futuro, madre). Non c'è rimprovero, non c'è rimorso, non c'è castigo.
l più grande successo commerciale di Bunuel fu questo "Bella di giorno", inquietante esplorazione dei fantasmi masochisti di una giovane moglie borghese apparentemente candida e virginale, interpretata con sorprendente aderenza e notevole precisione compositiva dalla giovane e ancor bellissima Catherine Deneuve. Affiancato dallo sceneggiatore Jean-Claude Carrière, Bunuel realizza il film con uno stile apparentemente classico, ma in realtà aperto alle suggestioni moderniste, poichè giustappone in una maniera pressochè "invisibile" scene realiste e sequenze oniriche, lasciando sempre trasparire un certo margine di ambiguità dalle immagini. E' l'adattamento di un romanzo scritto negli anni Trenta da Joseph Kessel, con riferimenti neanche tanto velati alle opere del Marchese de Sade, e con un potere di suggestione "erotica" che spesso deriva da certe allusioni che non vengono mai del tutto chiarite (ad esempio, la misteriosa scatola del cinese), senza mai cadere nei compiacimenti e nelle volgarità di cui abuseranno tanti imitatori dello stile di Bunuel. Bunuel prende a picconate l'edificio borghese costituito dall'unità-famiglia. Si avvale della complicità della conturbante Deneuve, personaggio scomodo e discusso. Provocatorio quanto acuto, si staglia nitido per personalità sullo sfondo di un panorama cinematografico troppo spesso piatto e compiacente. Lascia una sgradevole sensazione di crisi dell'individuo moderno e di una clustrofobica mancanza di vie di fuga. Le convenzioni, l'espressione del sè, il rapporto tra istinto, ragione e valori, la fiducia, la libertà, il ruolo di uomo e donna nella società. Opera audace per i tempi in cui fu realizzata, mantiene una perfetta vedibilità a tanti anni di distanza e molto del merito è da attribuire all'affascinante protagonista, ben affiancata da Jean Sorel, Michel Piccoli e Pierre Clementi.
Kapu

L'ANGELO STERMINATORE (Luis Buñuel)



Titolo originale El angel exterminador. Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 95' min. - Messico 1962

Un gruppo di invitati a una cena non riesce, a festa conclusa, ad abbandonare la villa che li ha ospitati, qualcosa di indefinito e inspiegabile gli impedisce di varcare la soglia della sala da pranzo, mentre all'esterno si radunano amici, parenti e le forze dell'ordine. Dopo ore di panico qualcuno farà il passo. 
L'angelo sterminatore è la paura, che tiene in ostaggio la borghesia, impedendole di mescolarsi con il resto del mondo. Questa ossessione sottile e inconfessabile, che si affaccia sistematicamente negli incubi notturni, è una micidiale mistura di pregiudizi, superstizioni, manie, che riduce le sue vittime ad un gregge (gli agnelli) o ad un branco di animali ammaestrati (l'orso al guinzaglio). I palazzi in cui si tengono i ricevimenti, e le chiese dove si celebrano i riti domenicali, diventano ovili e circhi equestri, in cui bestie selvatiche in cattività sfogano le proprie paranoie in uno spettacolo primitivo e degradante. Fuori dagli schematismi di forzose convenzioni, l'elitarismo dell'alta società si rivela il terreno di coltura di istinti repressi, pullulante di vizi e debolezze: la prigionia autoimposta – di cui il film presenta una metaforica esasperazione - toglie l'aria, costringe alla promiscuità, e sottrae agli individui l'intimità necessaria a coltivare le proprie personali perversioni. Queste, se trasportate all'esterno, si trasformano in germi contaminanti, in veleno per l'ambiente circostante: nessuno, infatti, possiede in sé gli anticorpi per i morbi dell'anima altrui. Luis Buñuel presenta l'elemento surreale come l'incarnazione ectoplasmica della degenerazione morale dovuta alla combinazione di geni incompatibili, di mutazioni solitarie e gelosamente chiuse nella propria deviante irripetibilità. Nel momento in cui la facciata dell'etichetta si sgretola, la superficiale armonia si rompe, lasciando tutti nell'incapacità di decidere come comportarsi. Diventa impossibile, allora, ritornare alla normalità, perché si è perso il filo del copione, il ritmo della finzione scenica che si è come inceppata. Basta una piccola stonatura, una lieve distrazione, perché l'incanto si spezzi e la confusione rapidamente si propaghi, causando un blocco generale degli ingranaggi. Quello che Buñuel mette in scena, nella villa tenuta sotto assedio da un blackout psicologico dei suoi occupanti, sembra la versione ante litteram di un reality televisivo, in cui i "famosi" sono sottratti, non tanto alle loro comodità, quanto alle loro certezze di casta, senza le quali il loro universo, fatalmente, crolla. Capolavoro assoluto del cinema di tutti i tempi in una apologia, tipicamente buñueliana, sul senso assurdo del religioso e sull'agire dell'libero arbitrio in società di conformismo borghese.

Tres

IL FANTASMA DELLA LIBERTA' (Luis Buñuel)



Un film di Luis Buñuel. Con Adriana Asti, Julien Bertheau, Adolfo Celi, Jean-Claude Brialy, Michel Piccoli, Jean Rochefort, Monica Vitti, Milena Vukotic, Paul Le Person, Pascale Audret,Claude Piéplu, Hélène Perdrière, Bernard Verley, Paul Frankeur, Pierre Maguelon, François Maistre, Jean Champion, Michael Lonsdale, Jacques Debarry, Jenny Astruc, Ellen Bahl, Philippe Brigaud, Philippe Brizard, Agnès Capri, Anne-Marie Deschoutt, Michel Dhermay, Philippe Lancelot, Marius Laurey, Pierre Lary Titolo originale Le fantôme de la liberté. Commedia, durata 103 min. - Francia 1974.

Nel prologo, anno 1808, assistiamo alla fucilazione di patrioti e di un ufficiale profanatore di tombe. Poi si passa al presente, ed ecco un uomo che mostra a due bimbe foto "oscene" dei monumenti di Parigi, un assassino messo in libertà, la repressione di una manifestazione che inneggia alle catene...Le convenzioni sociali della borghesia, perfidamente rovesciate, rivelano tutto il loro assurdo. Il mondo capovolto di Luis Bunuel, un distillato di salutare ironia che sconvolge l'andamento logico della nostra percezione del reale, che ribalta il senso delle parole e dei fatti. Una spruzzata di intelligenza viva rivolta contro la passiva acquiescenza di uno stato delle cose accettato per abitudine e difeso per opportunità. Se si è presi atto che non sono valsi secoli di apologia della ragione per liberare l'uomo dalle convenzioni sociali che si è autoimposto, se si è giunti al punto che un'astratta idea di ordine sociale viene regolarmente preferita al piacere sano di abbandonarsi ai propri più intimi desideri, tanto vale divertirsi a destrutturare l'ordinario andamento sistemico per cercare di costruirne uno di segno opposto, giocare a rimescolare i pezzi che compongono l'esistente sensibile per ricomporlo come se si trattasse di un puzzle pensato a propria immagine e secondo regole tutte nuove. Se la libertà è un fantasma allora è meglio regolarizzare il paradosso. Ne vale una possibilità data all'uomo per affrancarsi dai vincoli codificati dal senso comune e liberare la libertà dello spirito dalla banalizzante recita di se stessa. "Il fantasma della libertà" è il manifesto anarchico di Luis Bunuel, che usa la ferrea logica dell'assurdo per minare le certezze consolidate dell'ordine costituito. La glorificazione del surreale per una rivitalizzante cerimonia iconoclasta. Jean-Claude Brialy, Julien Bertheau, Milena Vukotic, Adriana Asti, Michel Lonsdale, Adolfo Celi, Jean Rochefort, Monica Vitti, Michel Piccoli, tutti danno un volto all'inaudita plausibilità della vita e tutti sono partecipi di questa divertita sagra degli ossimori. Un capolavoro di irridente genialità. L'ennesimo di un maestro. Uno dei film più limpidi e divertenti del tardo Buñuel, che recupera una acredine inconciliata insieme ad una olimpica semplicità. 
Kapu

ITALIANO PER PRINCIPIANTI (Lone Scherfig)



Un film di Lone Scherfig. Con Anders W. Berthelsen, Annette Stovelbaek, An Eleonora Jorgensen, Lars Kaalund Titolo originale Italiensk For Begyndere. Commedia, durata 112 min. - Danimarca 2000

L'idioma del Bel Paese fa proseliti nella terra di Amleto.
Alla periferia di Copenaghen, un gruppo di persone si incontra per la lezione settimanale di italiano. Fra gli allievi, un eccentrico pastore protestante, un uomo e una donna bloccati dalla timidezza, due signore che si scoprono sorelle e altri esemplari di varia umanità. 
Il dodicesimo film targato Dogma è un curioso esempio di mescolamento linguistico, che fortunatamente la distribuzione non ha alterato scegliendo di sottotitolare i dialoghi in danese. Oltre a emozionare e divertire con garbo, ci offre un'occasione per vederci riflessi in uno speciale specchio cineantropologico e sorridere un po' di noi stessi. Orso d'argento a Berlino. “Italiano per principianti” è una commedia dolceamara che prende spunto dalla passione di alcuni danesi per la nostra lingua. Esistenze insoddisfatte, agnizioni da tragedia greca, piccoli inconvenienti del quotidiano di un gruppo di persone che gravitano attorno ai trent’anni, trovano una valvola di sfogo nell’apprendimento della lingua e della cultura italiana, non senza alimentare stereotipi che ci perseguitano da sempre e che durante la proiezione al Festival di Berlino suscitavano l’ilarità scoppiettante del pubblico. Film molto gradevole, buone recitazioni e, soprattutto, fantastica l’assenza di aberranti luoghi comuni sulla nostra nazione.
Kapu

IL CATTIVO TENENTE (Abel Ferrara)



Un film di Abel Ferrara. Con Harvey Keitel, Frankie Thorn, Victor Argo, Zoe Lund, Frank Adonis. Titolo originale The Bad Lieutenant. Drammatico, durata 98' min. - USA 1992

(Stra)ordinaria storia di abiezione e redenzione
Sullo sfondo della vicenda c'è la finale di baseball tra Dodgers e Mets. LT (Harvey Keitel) ha scommesso sui Dodgers. LT, tra le altre cose, è un tenente di polizia, ma passa tutto il suo tempo a portare i figli a scuola (quando deve), a sequestrare droga per poi rivenderla (quando può), a sequestrare droga per poi usarla (quasi sempre). L'unica volta che fa un'azione buona è anche l'ultima azione della sua vita. 
Si può apprezzare o criticare il cinema di Ferrara, così come si può amare alla follia il cinema di Tarantino oppure disprezzarlo. Ma, se per il regista de Le Iene non si può non tenere conto del suo indubbio lato visionario, iperrealistico, la sua visione “ultraista” della realtà, manipolata a piene mani, tutti elementi che costituiscono il suo segno e la sua originalità (discutibile fin che si vuole), per Ferrara bisogna fare un discorso a parte. Il “segno” qui ha un carattere molto diverso. Anzitutto l’ambientazione. I luoghi preferiti sono i quartieri miserabili della metropoli, i palazzi fatiscenti, gli appartamenti squallidi abitati dalla feccia umana, ma non solo. Ci sono i neri senza più sogni, “latinos”, gli ispanici che si arrabattano alla bell’e meglio, le larve umane distrutte dalla droga, le prostitute che si fanno e battono mattina e sera, i trans che ciondolano su e giù per i marciapiedi, alla ricerca di una dose o di una marchetta, non disdegnando una soffiata alla polizia per essere lasciati in pace. Se c’è un inferno sulla terra, è qui che va ricercato. Già nel 1929, Garcìa Lorca scriveva : “L’aurora arriva e nessuno la riceve nella sua bocca perché lì non c’è domani né speranza possibile”. Senza futuro né speranza, egli vedeva “gente che vacillava insonne come appena uscita da un naufragio di sangue”. Poco a poco, però, le cose cominciano ad andare male: la quotidiana contiguità con una delle realtà sociali più degradate al mondo comincia a sgretolare la sua fragile corazza morale. Comincia con le scommesse, con ambigue frequentazioni, con le prime trasgressioni, fino a cadere pesantemente in un buco nero da cui non si esce, se non con i piedi in avanti. ome in quasi tutti i film di Ferrara, il tema dell’abiezione si confonde con quello della redenzione. A fare scattare la scintilla che dà voce alla propria coscienza, lasciata languire per troppo tempo, è il caso di uno stupro, avvenuto in una chiesa, da parte di due teppistelli a spese di una giovane suora. Scritto senza l'ausilio del collaboratore abituale Nicholas St. John, un noir metropolitano che si trasforma in una parabola cattolica sospesa tra sublime e osceno. Visionario ed eccessivo (dopo molte violenze, ad un certo punto appare un Cristo coloratissimo e muto), ossessionato dal tema della violenza e della redenzione, è tra i migliori film di Ferrara. Impressionante Harvey Keitel, che mostra tutta la pesantezza della carne e le ferite dello spirito. Splendido il finale, girato con la macchina da presa nascosta.
Kapu

GATTO NERO GATTO BIANCO (Emir Kusturica)



Un film di Emir Kusturica. Con Bajram Severdzan, Florijian Ajdini, Srdjan Todorovic Titolo originale Black Cat, White Cat. Commedia, durata 120' min. - Jugoslavia, Francia 1998
Grga Pitic, padrino gitano nonché magnate delle discariche e Zarije, proprietario di un cementificio, sono grandi e vecchi amici pur non vedendosi da oltre 25 anni. Il figlio di quest'ultimo, Matko è un buono a nulla incapace di chiedere aiuto al proprio padre. Per questo si rivolge a Grga per farsi prestare del denaro per concludere un affare al mercato nero. Per assicurarsi la somma di denaro necessaria Matko dice a Grga che suo padre è morto. 
Il film di Kusturica è un film in cui i personaggi sono perennemente in movimento ma più che un road movie è un river movie visto che avviene tutto sulle rive del Danubio e ristretti dintorni. Kusturica in questo film ritorna alla pura arte dell'illustrazione:le sequenze sono affollati quadri in movimento con invenzioni continue, stranezze assortite (un letto carrozzina a motore per esempio), personaggi oltre il limite del grottesco (il gangster cocainomane ballerino, la cantante che leva i chiodi col sedere, i poliziotti bulgari), una scatenata festa di un matrimonio che non s'aveva da fare, resurrezioni ecc ecc. E' il suo film meno politico ma più nomade, un film eastern che non si genuflette al mito della frontiera, in cui la linea di demarcazione tra due Stati serve solo per rendere efficaci traffici illeciti, un film di gitani che si dimostrano meno arretrati e molto più allegri di quello che avevamo conosciuto dagli altri film di Kusturica. La storia in fondo interessa poco. Contano il rumore costante, la musica travolgente, le trovate e i personaggi a decine, le situazioni imprevedibili. Oltre agli uomini, contano gli animali: oche a branchi, il gattino bianco e quella nera, un maiale che lungo il film ha il tempo di mangiarsi un'intera automobile. Contano anche certi oggetti improbabili, come un letto a dondolo o una motoretta accessoriata. Kusturica continua ad avere l'occhio per le cose piccole, per i ritrattini veloci, appena schizzati che saltano fuori di continuo e affollano ogni inquadratura.
Kapu

FITZCARRALDO (Werner Herzog)

Poster Fitzcarraldo  n. 1
Un film di Werner Herzog. Con Klaus Kinski, Claudia Cardinale, José Lewgoy, Peter Berling, Salvador Godínez,  Miguelangel Fuentes, Paul Hittscher, Huerequeque Enrique Bohorquez, Grande Othello, David Perez Espinosa, Milton Nascimento, Rui Polanah, Dieter Milz, Bill Rose, Leoncio Bueno, Campas del Rio Tambo, Machiguengas del Rio Camisea
Avventura, durata 157' min. - Germania 1981

Agli inizi del Novecento l'eccentrico Brian Sweeney Fitzgerald, barone irlandese del caucciù, vuole costruire a Iquitos, nel cuore dell'Amazzonia peruviana, il più grande teatro d'opera di tutti i tempi per farci cantare Enrico Caruso. Costato 8 miliardi (più tutti gli averi del regista, due morti, parecchi feriti e tre anni di lavorazione) questo film, frutto di un'operazione un po' folle, è paradossalmente il più ordinato e accademico del più sregolato autore del nuovo cinema tedesco. Narrato a ritmo lasco col tran tran di uno sceneggiato TV, ha un solo personaggio vivo: il battello il cui assurdo ed epico trasporto attraverso il colle occupa 45 minuti. I momenti d'incanto e le sequenze visionarie, comunque, non mancano. Si apre e si chiude con un frammento delle 2 opere ottocentesche che hanno per protagonista Elvira: Ernani (1844) di G. Verdi e I puritani (1835) di V. Bellini. Esiste sulla romanzesca lavorazione del film un bel documentario di Les Blank, Burden of Dreams (1982), che, secondo alcuni, è persino più affascinante del film.

tres              

IL QUINTO ELEMENTO (Luc Besson)

Locandina Il quinto elemento













Un film di Luc Besson. Con Gary Oldman, Bruce Willis, Ian Holm, Milla Jovovich, Chris Tucker,
Titolo originale Le cinquième element. Fantascienza, durata 122' min. - Francia, USA 1997.

Nel 2413, in una Manhattan con macchine volanti che sfrecciano tra i grattacieli, un muscoloso tassista (Willis) si coalizza con una bella guerriera (Jovovich) tornata in vita dopo 5000 anni per salvare la Terra dalla malvagità di un guerrafondaio (Oldman). Costato 90 milioni di dollari (dichiarati dalla Gaumont che l'ha prodotto), è il film più costoso nella storia del cinema francese sonoro e ha vinto la scommessa al botteghino contro i megaprodotti di Hollywood. Nel suo barocchismo stravagante corretto da una vena ironico-umoristica, è vicino più alla fantasy che alla fantascienza. Ne è autore alla sua 7° regia L. Besson, che aveva sognato di fare qualcosa del genere fin da ragazzo e che s'è scelto preziosi collaboratori, tra cui il geniale disegnatore Moebius che ha ideato i paesaggi e il raffinato e inventivo stilista-costumista Jean-Paul Gaultier. È un colossale videogioco che stupisce, incuriosisce, talvolta affascina e alla fine sazia.

tres

 

sabato 29 giugno 2013

LILI MARLEEN (Rainer Werner Fassbinder)




Un film di Rainer Werner Fassbinder. Con Giancarlo Giannini, Mel Ferrer, Hanna Schygulla, Udo Kier Drammatico, durata 120' min. - Germania 1980.

Nel 1938 a Zurigo una giovane cantante tedesca ama un musicista ebreo. La guerra li separa. La cantante, tornata in Germania, diventa famosa grazie alla canzone "Lili Marleen". A guerra finita si reca a Zurigo dove trova l'amato Robert sposato. Ispirato al romanzo autobiografico della cantante Lale Andersen Il cielo ha molti colori, il film apre idealmente la quadrilogia fassbinderiana sulla Germania in forma di un cinemelodramma in cui è difficile distinguere dove finisce il Kitsch nostalgico perseguito con voluttuoso accanimento e dove comincia la bischeraggine invereconda. La vera ragione di vederlo è la Schygulla. La famosa canzone (scritta nel 1916, musicata nel 1930 e registrata nel 1938) ha ispirato altri 3 film: 2 britannici (1952, 1970) e uno tedesco (1956).AUTORE LETTERARIO: Lale Anderson

tres

IL GIORNO DELLO SCIACALLO (Fred Zinnemann)

Poster Il giorno dello sciacallo  n. 1

Un film di Fred Zinnemann. Con Michel Auclair, Edward Fox, Terence Alexander, Delphine Seyrig Titolo originale The Day of the Jackal. Giallo, durata 141' min. - USA 1973

Nel 1963 il braccio armato dei colonialisti algerini (O.A.S.) affida ad un killer professionista l'incarico di assassinare il generale De Gaulle. Il killer, conosciuto come "lo sciacallo", viene braccato in uno spietato "tour de France" da un ispettore della Sureté. 
Il regista di "Mezzogiorno di fuoco" trascrive abilmente il celebre romanzo di Frederick Forsyth. Da un suo celebre scritto, che ricostruiva l'attentato a De Gaulle del 1963 e le mosse per impedirlo, un autore spesso di successo ma apprezzato dalla critica come Fred Zinnemann trasse un film che in molti reputano tra i migliori thriller mai prodotti. Presentando in parallelo le opposte strategie del killer detto "Sciacallo" e del governo francese , volte entrambe con grandi capacità e spreco di mezzi, con intenti opposti, l'autore di "Mezzogiorno di fuoco" elabora un meccanismo geometrico, di una nitidezza impressionante nello sciorinare movimenti ed iniziative parallele: individuo senza identità propria, lo Sciacallo è uomo di aggressiva sagacia e dalle mille risorse. Una lezione di cinema classico: asciutto e ben attento a valorizzare la suspense della storia e il crescendo delle emozioni. La geometria applicata al thriller in una caccia senza quartiere al killer senza volto. Edward Fox è un ottimo "sciacallo". Con due remake apocrifi: "L'incarico" e "The Jackal".

tres              

IL MIO AMICO GIARDINIERE (Jean Becker)

Locandina Il mio amico giardiniere

















Un film di Jean Becker. Con Daniel Auteuil, Jean-Pierre Darroussin, Fanny Cottencon, Hiam Abbass, Elodie Navarre,  Alexia Barlier
Titolo originale Dialogue avec mon jardinier. Commedia, durata 109 min. - Francia 2007.
Un pittore parigino (Daniel Auteuil) si trasferisce in campagna dove incontra un vecchio amico di scuola (Jean-Pierre Darroussin) che assume come giardiniere. Nascerà un grande affiatamento, fatto di ricordi e discussioni su due visioni opposte del mondo, quella urbana e sofisticata e quella naif del campagnard incolto ma sincero.
Jean Becker, figlio del grande Jacques (autore di Grisbi e Il buco, per intenderci), mette in scena senza pretese una semplice storia di amicizia, fondata quasi esclusivamente sulla bravura dei due splendidi attori, tanto da far pensare che una versione teatrale sarebbe forse stata più efficace. La profondità che Auteuil e Darroussin danno ai personaggi, con una serie di dialoghi dalla verosimiglianza toccante, non riesce però, e purtroppo, a nascondere una filosofia onnipresente e fastidiosa per la sua banalità.Il mio amico giardiniere insiste su una serie di luoghi comuni che i due protagonisti sanno anche rendere divertenti. Senza però arrivare a oscurare il confronto francamente logoro e discutibile tra la campagna delle cose semplici ma vere e una Parigi caricaturale fatta di traffico e vernissage dove si parla giusto per mettersi in mostra. Becker, ignorando volutamente che le descrizioni del mondo ne fanno parte, tenta l'elegia delle cose concrete. Ma la messa in scena non supporta seriamente questa visione e delle meraviglie della provincia non traspare alcunché: la campagna è filmata senza vero impegno e di Parigi si mostra banalmente il traffico in tangenziale. In fondo è proprio questo il problema de Il mio amico giardiniere. Che al quadretto stereotipato della campagna profonda e sincera non sembra crederci nemmeno lo stesso Becker.

tres              

ARANCIA MECCANICA (Stanley Kubrick)

Locandina Arancia meccanica

















Titolo originale A Clockwork Orange. Drammatico,  Gran Bretagna 1971.

Alex è un giovane senza arte né parte, figlio di proletari e dedito a furti, stupri e omicidi. Fa capo a una banda di spostati, denominati drughi. Dopo aver usato violenza alla moglie di uno scrittore finisce in carcere. Viene sottoposto ad angherie ma si fa amico un prete. Pur di essere scarcerato accetta il "trattamento lodovico", che consiste nell'assistere a filmati di violenza. Quando esce scopre che i genitori hanno subaffittato la sua stanza. Senza poter reagire, dovrà subire violenza da alcuni mendicanti vendicativi, dai drughi diventati poliziotti e dallo scrittore che ha perso la moglie e che ora si trova su una sedia a rotelle. Tenta il suicidio e all'ospedale riceve una visita di cortesia da parte del primo ministro. Ambientato nel futuro, ormai alle porte, e tratto da Arancia ad orologeria di Anthony Burgess. Geniale traversata di generi (fantascienza, storico, drammatico, comico, grottesco, orrore), un film che mostra la violenza per esserne un contro-manifesto. Accolto da polemiche e ovazioni al suo apparire, è stato sequestrato per molti anni in Francia, mentre in Gran Bretagna non può essere ancora proposto né al cinema né in videocassetta. L'ambiguità del personaggio era necessaria per mostrare le diverse violenze della medicina, della polizia, della politica e della gente comune. Quando Alex viene guarito, non può gestire le proprie scelte. Diventa docile non per volontà ma per allergia (sente nausea quando cerca di usare violenza, anche se cerca di difendersi). La più grande prova al cinema di Malcolm McDowell che ha ideato alcune scene storiche, tra cui quella dello stupro a tempo di I'm singing in the rain. Le musiche di Beethoven e Rossini rielaborate da Walter Carlos e le immagini grandangolo di John Alcott accrescono l'immersione nell'incubo. Doppiaggio italiano all'altezza dell'originale.

tres              

BLADE RUNNER (Ridley Scott)

Locandina Blade Runner














Un film di Ridley Scott. Con Harrison Ford, Rutger Hauer, Sean Young, Edward James Olmos, M. Emmet Walsh,  Daryl Hannah, William Sanderson, Brion James, Joe Turkel, Joanna Cassidy, James Hong, Morgan Paull, Kevin Thompson, John Edward Allen, Hy Pyke
Fantascienza, Ratings: Kids+16, durata 117 min. - USA 1982

In una Los Angeles piovosa e sovrappopolata, il poliziotto Deckard (Harrison Ford), dell'unità Blade Runner, viene richiamato in servizio. La sua specialità è l'eliminazione di esemplari insubordinati di "replicanti", androidi destinati al lavoro nelle colonie spaziali. Quattro di loro, Roy Batty, Leon, Zora e Pris, hanno raggiunto la Terra per tentare di infiltrarsi nelle industrie che li fabbricano. I replicanti sono identici agli esseri umani, tranne che per la durata limitata della loro esistenza e per l'apparente incapacità di provare sentimenti. Proprio sulla registrazione delle reazioni emotive si basa il test Voigt - Kampff, con cui Deckard indentifica in Rachel (Sean Young), collaboratrice dell'industriale, una replicante sperimentale, inconsapevole della propria vera natura. Deckard si pone sulle tracce di replicanti da "ritirare", eliminando per prima la spogliarellista Zora (Joanna Cassidy). È però Rachel a salvarlo da Leon, mentre Pres (Daryl Hannah) si installa a casa di un ricercatore per convincerlo a portare lei e Batty (Rutger Hauer) dall'industriale. L'incontro non ha esito felice: i due replicanti apprendono che non c'è modo di prolungare la loro esistenza. Deckard li raggiunge nel loro nascondiglio e, "ritirata" Pris, affronta Batty in un duello spietato. Salvato in extremis dal suo stesso avversario un attimo prima che questi muoia, Deckard recupera Rachel e fugge con lei lontano dalla città. Abile fusione di poliziesco e fantascienza, Blade Runner vive un rapporto di simbiosi con Il cacciatore di androidi, romanzo di Philip K. Dick da cui è tratto. Anche se il film risulta più coerente ed equilibrato, alcuni riferimenti sono apprezzabili solo leggendo il libro: i dettagli del test o la descrizione di un mondo in cui le riproduzioni artificiali degli animali, quasi estinti, diventano status symbol. Tuttavia il film descrive perfettamente una società multietnica e tratteggia perfettamente i diversi personaggi, tutti pervasi dall'amarezza tipica dell'opera di Dick: dallo scienziato colpito da invecchiamento precoce che vive in una casa piena di giocattoli, ai replicanti afflitti da angosce esistenziali, dalla fragile e sensuale Rachel alle prese con la propria identità sconosciuta al detective anni Quaranta trasferito nel futuro. Altrettanto efficaci sono gli effetti speciali di Douglas Trumbull e la colonna sonora di Vangelis. Blade Runner divenne rapidamente un cult-movie, cosa che anni dopo permise a Ridley Scott di distribuirne la versione "originale" ( Blade Runner: the Director's Cut). Meno ottimistica nel finale dell'edizione nota al pubblico, essa è priva della narrazione fuori campo del protagonista e della ripresa aerea conclusiva, aggiunta per volontà del produttore, utilizzando ritagli della sequenza iniziale di Shining.

tres                

ME AND YOU AND EVERYONE WE KNOW (Miranda July)

Locandina Me and You and Everyone We Know

















Un film di Miranda July. Con John Hawkes, Miranda July, Miles Thompson, Brandon Ratcliff, Carlie Westerman,  Natasha Slayton, Najarra Townsend, Hector Elias, Tracy Wright, Brad William Henke
Commedia, durata 90 min. - USA, Gran Bretagna 2005. uscita venerdì 9 dicembre 2005.

Caméra d'Or al festival di Cannes, l'opera prima di Miranda July (cognome d'arte estivo ed eccentrico come la sua indossatrice) si presenta come un oggetto non identificato nel panorama cinematografico contemporaneo e fa subito gridare al non senso. Ma è un parere affrettato. Nella vicenda di Christine, giovane artista alla ricerca di un riconoscimento, e delle persone con cui entra in contatto, c'è tutto il senso di un presente in cui i meccanismi della comunicazione sono più che mai "pervertiti", non tanto nei contenuti (il sesso è tutto detto, smitizzato, ridotto a gioco osceno) quanto nei modi.Christine, icona della solitudine nonostante bellezza e gioventù, s'innamora del commesso di un negozio di scarpe e lo bracca senza posa, avida di un contatto umano che non trova altrove. Intanto, i figli dell'uomo, neo-separato, chattano ogni giorno su un sito erotico e il più piccolo dei due - un bambino di 7 anni - finisce per darsi appuntamento in un parco con una matura gallerista, in una sequenza che lascia senza fiato per il mélange di tenerezza e crudeltà.
Surreale e autoironica (lei stessa è un'artista visiva a caccia di riconoscimenti), con Me and You and Everyone we know, Miranda July porta sullo schermo lo stile minimalista e irriverente che aveva già sperimentato in letteratura nei suoi racconti. Con infinito garbo, ma nessuna inibizione, si lancia nel ritratto colorato e spietato del mondo che le sta attorno, sposando la causa degli outsider per definizione: i timidi, i piccoli, i soli, i matti. Incoronata dal Sundance Film Festival, porta con sé qualche traccia della poetica visiva di Todd Solondz, ma non è che una debole eco. Il suo senso del ridicolo è femminile e gioioso, e ciò che rende unica la sua voce è la capacità di stupirsi per le cose del mondo, riuscendo a sua volta stupire anche lo spettatore più refrattario.

tres              

GLI EQUILIBRISTI (Ivano De Matteo)

Locandina Gli equilibristi












Un film di Ivano De Matteo. Con Valerio Mastandrea, Barbora Bobulova, Rosabell Laurenti Sellers, Grazia Schiavo, Antonio Gerardi, Antonella Attili, Stefano Masciolini, Giorgio Gobbi, Francesca Antonelli, Damir Todorovic, Antonio Tallura, Daniele La Leggia, Pierluigi Misasi, Paola Tiziana Cruciani, Lupo De Matteo, Maurizio Casagrande, Rolando Ravello
Drammatico, durata 100 min. - Italia 2012. - Medusa uscita venerdì 14 settembre 2012

Sui titoli di testa un amplesso clandestino, consumato in un archivio praticamente deserto, apre il film e introduce la trama. Per quel tradimento infatti si sfalda la famiglia al centro del racconto. Lui, impiegato del comune con 1.200Euro mensili, si trova a dover mantenere se stesso e la moglie che vive con i due figli. La situazione si fa di mese in mese sempre meno sostenibile e per non intaccare dignità e orgoglio con mancati pagamenti, a rimetterci è la qualità della vita che scende sempre di più fino ai limiti della tolleranza.

Quello che Ivano De Matteo fa compiere al suo protagonista è un viaggio dal benessere piccolo borghese fino alla povertà, intesa non solo come mancanza di denaro ma anche come perdita di umanità. Tutto avviene intorno alla maschera di Valerio Mastandrea, perfetta rappresentazione del tragicomico, attore di straordinario talento per la commedia e sguardo segnato da un'endemica e perenne tristezza. E su questi due registri si muove il film stesso, inizialmente appoggiato all'ironia del personaggio e del paesaggio (composto dall'umanità popolare romana) e con il procedere sempre più rassegnato al tragico. Il tono leggero e la possibilità di sdrammatizzare sono infatti caratteristiche che la storia volontariamente perde sempre di più a mano a mano che scema l'umanità stessa del suo protagonista, come se l'uno si accompagnasse all'altra. Senza far nulla per nasconderlo, Gli equilibristi cerca di costruire il suo percorso di disidratazione economica e umana sul modello aureo di Umberto D., di cui riprende alcuni elementi nel finale e la più generale idea di un personaggio in bilico tra necessità e dignità. De Matteo, che ha anche scritto il film assieme alla moglie Valentina Ferlan, appare tuttavia innamorato della tragicità della propria storia, più che dedito a raccontare un mondo e le sue difficoltà. Lo sguardo su una vita apparentemente tranquilla, in un sistema in cui la dignità pare un diritto e invece è un lusso facilissimo da perdere, sembra quello di un aguzzino più che di un narratore. Come se non bastassero le difficoltà oggettive, il regista aggiunge amarezze soggettive (come l'ambientazione natalizia) e ad infierire sull'impoverimento materiale sceglie inequivocabilmente di accompagnarne uno umano e affettivo ancora più drastico.

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THE JACKAL ( Michael Caton-Jones)

Locandina The Jackal

















Un film di Michael Caton-Jones. Con Sidney Poitier, Richard Gere, Bruce Willis, Diane Venora, Mathilda May,  Daniel Dae Kim, Jack Black, J. K. Simmons, Sophie Okonedo
Thriller, durata 124' min. - USA 1997.

Jackal (sciacallo) è il nome in codice di un killer (Willis) assoldato da un capo della mafia russa per assassinare un importante politico statunitense. Chi? In collaborazione con Koslova (Venora) dei servizi segreti di Mosca, il direttore dell'FBI (Poitier) recluta Mulqueen (Gere), ex terrorista dell'IRA in carcere, specialista in travestimenti, che ha i suoi motivi per odiare Jackal. Caccia difficile. La sceneggiatura di Chuck Pfarrer è liberamente ispirata a quella che Kenneth Ross cavò per F. Zinnemann dal romanzo Il giorno dello sciacallo di F. Forsyth, ma, come il film, gli rimane nettamente inferiore, più convenzionale, privo della sua fredda concisione. Si salva, comunque, il grintoso e ironico Willis.AUTORE LETTERARIO: Frederick Forsyth.

tres        

ALLONSANFAN (Paolo Taviani, Vittorio Taviani)

Locandina Allónsanfan

















Un film di Paolo Taviani, Vittorio Taviani. Con Marcello Mastroianni, Lea Massari, Mimsy Farmer, Laura Betti, Claudio CassinelliBenjamin Lev, Renato De Carmine, Stavros Tornes, Biagio Pelligra, Bruno Cirino, Raul Cabrera, Carla Mancini, Cyrille Spiga, Stanko Molnar, Luisa De Santis, Michael Berger, Alderice Casali, Ermanno Taviani, Raul Cabreta
Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 115' min. - Italia 1974.

Siamo all'inizio dell'Ottocento, in piena Restaurazione. Il nobile Fulvio Imbriani, di idee liberali, torna alla casa paterna dove - tra i ricordi dell'infanzia e gli agi della sua famiglia - dimentica l'impegno politico. I vecchi amici, però, si fanno presto rivedere e lo inducono a prendere parte a una spedizione nel Sud che dovrebbe sollevare la popolazione contro il governo borbonico... 
Anticonsolatorio per eccellenza, il cinema dei fratelli Taviani (per lo meno quello del periodo più creativo e problematico del loro percorso artistico cha va dal ’62 ai primissimi anni ’80), poggia quasi sempre (soprattutto nelle opere più riuscite e compiute) su un epos lacerante che costringe prima di tutto lo spettatore a fare una riflessione profonda su ciò che vede rappresentato sullo schermo, poichè la partecipazione commossa agli avvenimenti (comunque sempre di forte presa), non è mai di tipo prettamente emotivo, ma scaturisce e deriva semmai da una inesauribile, tesa e prorompente inquietudine dialettica che determina (anche nel pensiero del pubblico che osserva dalla sala) un rapporto tutt’altro che passivo e stimola di conseguenza un raffronto critico e ragionato con i fatti e con le azioni non solo della storia, ma anche della contemporaneità. La restaurazione monarchica in Francia appare come un'epoca storica sradicata dalla realtà, di fronte alla quale l'umanità, stranita, si frantuma e si disperde nel vento, che la trasporta lontano dal suo passato e dai suoi ricordi. La caduta degli ideali del 1789 – sotto i colpi di spietata una caccia agli uccelli della libertà – induce il protagonista Fulvio Imbriani a ripiegare su un senso primordiale, egoistico e vile di felicità, che si rivelerà, al pari della rivoluzione, foriero di morte e di dolore. I personaggi di questa storia si dibattono nella vanità di un presente che sembra sospeso nel tempo, scollato dalla successione degli eventi, senza valori certi a cui attingere, e senza obiettivi raggiungibili.Come in tutti i film dei Taviani degli anni '70, la metafora storica serve a una riflessione sulla condizione dell'Italia contemporanea. Per l'equilibrio tematico e il rigore formale siamo di fronte a una delle prove più convincenti dei registi toscani. Straordinari gli interpreti.

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ALEKSANDER NEVSKIJ (Sergej M. Ejzenstejn)


Locandina Aleksandr Nevskij












Un film di Sergej M. Ejzenstejn. Con Nicolaj Cerkasov, Nicolaj Ochlopkov, Andrej Abrikosov Titolo originale . Storico, Ratings: Kids+16, b/n durata 111' min. - URSS 1938

Dopo un periodo di assenza piuttosto lungo dietro la macchina da presa, nel 1938 Ejzenštejn gira un film-panegirico sul condottiero Alexandr Nevskij, principe di Novgorod e santo della chiesa ortodossa russa, che fu il capostipite della dinastia dei principi di Mosca e dunque uno degli storici fondatori della “grande patria”. In questo risponde alle direttive del regime sovietico, che pretendeva di sovrapporre la figura semi-leggendaria e santificata di Nevskij a quella di Stalin, celebrare la sua personalità e la sua politica “autarchica” e repressiva e inasprire la propaganda anti-nazista. Ma c'è da chiedersi cosa rende “Alexandr Nevskij” un film immortale nelle immagini, pur essendo propagandista e apparendo a tratti verboso nella sua retorica figurativa epica, che forse risulta anche più accentuata rispetto a un tempo dopo la breve permanenza in America. In tempi di imposta estetica di realismo socialista, che prescriveva un recupero delle tradizioni russe, una lettura tendenziosa delle ricostruzioni storiche e un utilizzo ideologico dei mezzi espressivi ai fini di una pretesa rivoluzione permanente, Ejzenštejn riesce a smarcarsi da questi limiti indotti non rinunciando alla personalissima padronanza del mezzo cinematografico. In questo film deve ancora molto al suo cinema muto: per esempio nel montaggio dialettico, oppure, quando si tratta di primi piani, nella direzione espressiva degli attori (caratterizzati in essenziali dettagli del fisico, delle pose e dei modi) in inquadrature che valorizzano il ruolo di ciascuno in relazione alla posizione che occupano nello scenario. Per sottolineare la “statura” di ciascun personaggio, specialmente per l'eroe protagonista, si scelgono inquadrature orientate dal basso. Il senso di un orizzonte epico è dato dai campi lunghissimi sugli sconfinati paesaggi di una Russia medievale (anzi, primitiva) con cui il film esordisce, quando il principe Nevskij riceve nelle proprie terre l'ambasciata dei Mongoli: le vedute, anch'esse ribassate, lasciano ampio spazio ai cieli sotto cui si estenderà un impero, si combatteranno battaglie e si compiranno gesta eroiche. I Teutoni che avanzano minacciano la città di Novgorod e si arringa la folla davanti alla cattedrale di Novgorod; nella città occupata di Pskov gli invasori appiccano roghi e commettono crudeltà nella piazza affollata, mostrate dal regista con la consueta enfasi ancora legata al fare del cinema muto. Tra le scene più belle, dopo quelle di combattimento che assumono un tono invece un po' faceto, la sequenza della disfatta dei Teutoni sul lago ghiacciato, e le immagini del campo al termine della battaglia. I carrelli che mostrano i caduti e i feriti, i sopravvissuti che apprendono della vittoria soccorsi dalle donne: un altro ottimo esempio di retorica (oppure, per chi preferisce, di “potenza”) delle immagini, sulle note commeventi di Prokofiev. E con il sonoro Ejzenštejn non poteva trovare collaboratore migliore, perché le immagini trovano il corrispettivo commento nella colonna sonora magniloquente, caratteristica che è il merito di un grande orchestratore. Il musicista si misura con la composizione delle musiche per la pellicola, mentre il regista sperimenta le nuove frontiere del sonoro.

tres              

L'ASSASSINO ABITA AL 21 (Henri-Georges Clouzot)



Un film di Henri-Georges Clouzot. Con Jean Tissier, Pierre Fresnay, Suzy Delair Titolo originale L'assassin habite au 21. Giallo, b/n durata 84' min. - Francia 1942

A Parigi vengono commessi degli omicidi tutti “firmati” da un misterioso Monsieur Durand. Il commissario Wens, che si è messo sulle tracce dell’assassino, arriva alla pensione delle Mimose al numero 21 di Avenue Junot, a Montmartre. Qui, tra la variegata fauna degli inquilini, si nasconde l’omicida. 
Primo film lungo di Clouzot, con un brillantisssimo cast di attori e comprimari. Dietro l’indagine poliziesca si nasconde una chiara allusione alla lotta antinazista in Francia. Clouzot è anche sceneggiatore insieme all’autore del romanzo di partenza, Stanislas-André Steeman. L'opera si alterna fra commedia e giallo, ma è il genere poliziesco quello che abbraccia tutti i momenti salienti. Alla capacità di creare un'atmosfera e all'intelligenza dei particolari Clouzot aggiunge un uso sapiente della suspense e una efficace direzione degli attori. Spesso, ma forse non sempre, nel cinema di Clouzot c'è uno sguardo molto disilluso sull'umanità in genere e forse di più sui francesi, o sulla provincia francese, pettegola e pronta a giudicare gli altri. C'è spesso anche un gioco di finzione, un gusto per la boutade grottesca o cinica, che conclude i suoi film con un riso verde che rivela il gioco di invenzione. Questa infatti è sempre al centro dell'interesse, come è pur ovvio che sia per ogni artista, ma non in tutti con la stessa evidenza: Clouzot è molto bravo e non cerca di nasconderlo… Dopo La verità muore sua moglie Vera, lui soffre di depressione, poi ha un infarto e gli dicono che non potrà più filmare…In "L'Assassino Abita Al 21" c'è già tutta la crudele ambiguità dei personaggi che contraddistinguerà i suoi film. C'è poi da notare che Quentin Tarantino nel 2009, nel film Bastardi Senza Gloria, citerà questo film, facendo mettere nel cinema francese di Shoshanna Dreyfus la locandina.
Kapu

MONA LISA (Neil Jordan)

Locandina Mona Lisa

















Un film di Neil Jordan. Con Michael Caine, Bob Hoskins, Cathy Tyson, Robbie Coltrane, Kenny Baker, Paulen Martin, Perry Fenwick, Sammi Davis, Zoe Nathenson, Clarke Peters, Bryan Coleman, Zoot Money, Richard Strange, Raad Rawi, Kate Hardie, Rod Bedall, Joe Brown, Pauline Melville, Dawn Archibald, David Halliwell, Hossein Karimbeik, John Darling, Donna Cannon, Mandy Winch, Maggie O'Neill, Robert Doming, Jeremy Hardy, Alan Talbot, Stephen Persaud, Gary Cady, Bill Moore
Drammatico, durata 104' min. - Gran Bretagna 1986

Autista di una bella prostituta d'alto bordo ne diventa il cavalier servente.
Uscito di galera, George si deve arrangiare per vivere. L'amico Diny gli offre un lavoro come autista di Simone, una splendida prostituta di colore di cui finisce per entrare in simpatia. Lei gli chiede di rintracciare una ragazza quindicenne, Cathy, di cui non sa più nulla; George per compiere la missione rischia la vita. Si ritrova solo, ma contento per aver ritrovato l'affetto della figlia.
Un altra storia d'amore che non è regolare, o almeno che prenderà una piega inaspettata: per Neil Jordan le passioni sono manifestazioni di anime tormentate in cerca di appigli per sopravvivere, disperati tentativi di trovare un senso alle cose, di soffrire meno le asperità di vite allo sbando. Come per "La moglie del soldato", "Intervista col vampiro", anche in "Mona Lisa" l'antieroe Bob Hoskins, pedone della scacchiera della malavita, si ritrova a confronto con un pezzo da 90 come Michael Caine e si innamora perdutamente della bellissima prostituta nera Cathy Tyson, riesce a portare al termine il compito che si è assunto, ma in fondo alla storia conoscerà una verità amara e impossibile da ribaltare. Recitato con classe( per Hoskins candidatura all'Oscar), scritto con esaltatori di sapidità da letteratura hard boiled, "Mona Lisa" è uno dei più bei noir girati in Europa, in un periodo in cui il cinema inglese aveva ripreso vita dopo anni incerti. Piccola "leggenda" del rione da cui è emerso, il gangster di mezza tacca trova il suo giorno di gloria proprio quando conoscerà la più sonora sconfitta sentimentale: il resto dei suoi giorni saranno in gran parte rimpianto. Il meglio di Neil Jordan ("In compagnia dei lupi"), che firma anche la sceneggiatura insieme a David Leland ("Vorrei che tu fossi qui"). L'ambiguità del noir classico al servizio di un'immagine diversa della Gran Bretagna anni Ottanta. Grande prova di Bob Hoskins. Se non lo si è visto, da recuperare.

tres              

LA MOGLIE DEL SOLDATO (Neil Jordan)

Locandina La moglie del soldato












Un film di Neil Jordan. Con Forest Whitaker, Stephen Rea, Miranda Richardson, Jaye Davidson.
Titolo originale The Crying Game. Drammatico, durata 112 min. - Gran Bretagna 1992.  

In Irlanda un militare inglese di colore viene rapito da un gruppo appartenente all'Ira. Durante la sua prigionia l'uomo diventa amico di uno dei rapitori, Fergus. Ma il prigioniero deve essere ucciso e il compito è affidato proprio al nuovo amico, che a tale scopo lo conduce nel bosco. Titubante, si fa sfuggire il prigioniero che finisce sotto la ruota di un camion militare, Fergus riesce a fuggire e raggiunge la ragazza di cui il soldato gli parlava: Dil. L'uomo si innamora, ricambiato, della ragazza. Qualcosa di inaspettato muta il suo atteggiamento nei confronti della donna. Viene nel frattempo raggiunto dai suoi compagni che gli impongono di uccidere un uomo. Ma Dil gli impedisce di portare a termine il compito. Malgrado gli eventi abbiano preso una tragica scorciatoia, il finale è in qualche modo consolatorio, con un tocco d'ironia che suggella la qualità di tutto il film. Inconsueto, struggente, avvincente, sono gli aggettivi che il film suggerisce al primo impatto. Ma soprattutto è la felicità del racconto, l'aspetto più coinvolgente. Una vicenda rapinosa che si muove in perfetta geometria su tre direttrici: ad una prima parte veloce, con avventimenti che sembrano chiudere anticipatamente il film, fa riscontro la storia d'amore tra Fergus e Dil, così diversa, innocente e che sembra concludere il film.

tres          

FINALMENTE DOMENICA! (François Truffaut)

Locandina Finalmente domenica!














Un film di François Truffaut. Con Jean-Louis Trintignant, Fanny Ardant, Philippe Lauden, Jean-Pierre Kalfon, Nicole Felix, Philippe Laudenback, Philippe Morier-Genoud, Jean-Louis Richard, Pascale Pellegrin, Carolina Sihol, Xavier Saint-Macary, Anik Belaubre, Georges Koulouris, Rolend Thénot, Pierre Gare, Caroline Sihol, Jean-Pierre Kohut-Svelko, Yan Dedet, Philippe Laudenbach
Titolo originale Vivement dimanche !. Giallo, b/n durata 110' min. - Francia 1983.

Mentre sta partecipando a una battuta di caccia in una palude, Claude viene ucciso da un colpo di fucile. La polizia sospetta di Julien, proprietario di un agenzia immobiliare che si trovava nella palude al momento dell'assassinio. Passa qualche giorno e anche la moglie di Claude viene trovata morta. Julien viene fatto oggetto di telefonate anonime che si fanno sempre più minacciose e che lo costringono a rifugiarsi nel suo ufficio. A toglierlo dall'angoscia ci si mette la sua segretaria che comincia le indagini... 
E', insieme alla Sposa in nero, il film più apertamente 'hitchcockiano' della carriera del registra - e discepolo - francese. Una catena di misteriosi omicidi, un indiziato che 'puzza' di innocenza, una scaltra segretaria che arriva dove il commissario di polizia fallisce: gli elementi per un buon noir ad alta tensione ci sono tutti, si aggiunga inoltre l'utilizzo del bianco e nero che rende ancora più fascinosa l'atmosfera del film. Truffaut purtroppo ci lascia qui: se ne va - prematuramente, ma con un'impressionante serie di successi, capolavori e bei film alle spalle - con un lavoro discreto, con tanti rimandi alla sua precedente opera (dall'omicidio alla storia d'amore, i luoghi comuni del suo cinema non mancano nemmeno in Finalmente Domenica). Lascia un'eredità di svariati progetti, fra i quali La piccola ladra, che verrà realizzato qualche anno dopo dall'amico e collaboratore Claude Miller. Finalmente domenica è anche la seconda occasione per la nuova compagna del regista di mostrarsi attrice dotata ed eclettica; dal ruolo romantico, passionale della Signora della porta accanto a questa simpatica ed intrigante segretaria, con accanto un ottimo Trintignant. Ultimo film di Truffaut che recupera cadenze e temi giallorosa di matrice hollywoodiana con il suo tocco sopraffino.

tres              

FINE DI UNA STORIA (Neil Jordan)

Locandina Fine di una storia












Un film di Neil Jordan. Con Stephen Rea, Ralph Fiennes, Ian Hart, Julianne Moore, Jason Isaacs Titolo originale The End of the Affair. Drammatico, durata 105 min. - Gran Bretagna 1999.

Gran Bretagna, Seconda guerra mondiale. Il romanziere Maurice e Sarah, moglie infelice di Henry, si amano con abbandono, mentre Londra si sgretola. Lo scrittore chiede ossessivamente alla donna di non essere lasciato, di essere amato anche ogni domani della sua vita. Ma un rivale inatteso, Dio, la allontanerà, a causa di un voto... 
Neil Joran è indiscutibilmente competente nel mettere in scena delle trame struggenti ed appassionate. Ha un suo stile personale nel romanzare con una certa sensualità dei registri melodrammatici espressamente tragici ed impetuosi. Nella mani di Neil Jordan un racconto che poteva risultare accademico e già visto si trasforma in qualcosa d'altro. Melodramma e storia d'amore vengono raccontati attraverso un abile struttura da noir, in cui la vicenda viene vista (un po' alla "Rashomon") da diversi punti di vista, per parlare poi, senza eccessive ridondanze, dell'ossessione religiosa, e del conflitto tra laicità, dolore e cattolicesimo, alla base del romanzo a cui è ispirato il film. Una pellicola nient'affatto banale, appassionata, che merita una visione. Tratto da uno dei capolavori di Graham Greene, "La fine dell'avventura", interpretato da un cast magnifico e perfetto in tutti i ruoli, un melodramma emozionante e densissimo. Impossibilità amorosa, infelicità esistenziale, filosofia morale e tormento religioso sono alcuni dei fantasmi messi in scena da Neil Jordan con uno stile impeccabile.

tres

EXOTICA (Atom Egoyan)

Locandina Exotica

















Un film di Atom Egoyan. Con Mia Kirshner, Bruce Greenwood, Don McKeller, Elias Koteas, Victor Garber Drammatico, durata 104' min. - Canada 1995.

Exotica, un "peep show" dove si può guardare ma non toccare, è diretto da Zoe, incinta di Eric, che fa il dj. Vi si esibisce Christina, che si spoglia a beneficio di Francis, un ispettore del fisco che ha perso moglie e figlia. Una sera, convinto da Eric, Francis tocca Christine e viene espulso dal "peep show". Poi c'è Thomas, che commercia illegalmente in animali. Si sfiora la tragedia, emergono dolorose verità. 
Atom Egoyan, armeno-egiziano-canadese è senz'altro un regista molto dotato di duttilità della macchina da presa, di interesse per la recitazione accurata ma mai sopra le righe, di un'ossessione continua e lacerante per la visione. Nel suo universo, chiuso e coercitivo, che a volte si dipana nel ricordo (sede dell'apertura mentale e spaziale) tutto ciò ha però il valore della solitudine, ineluttabile e destinata allo sbandamento, salvo forse trovare, un personaggio nell'altro, una sorta di appiglio. ma quanto è reale esso? Un mosaico di montaggio interessante, personaggi intriganti, forse serviti da una freddezza che a tratti sembra gelare. Andatura lenta, narrazione ipnotica, trama lambiccata, regia allusiva, tematiche complesse, fascino figurativo: un piccolo "classico" di fine millennio, memore della lezione di Lynch nell'affastellare personaggi surreali in una costruzione polifonica e rapsodica, dove i nodi vengono al pettine solo alla fine, lasciando comunque nello spettatore un che di ambiguo ed irrisolto. Dietro lo specchio di un film morboso e amorale, scorre una sincera vena di dolore, pietas e umanita'. La rielaborazione del lutto (tema cardine della filmografia di Egoyan) si dipana attraverso una vicenda dal taglio psicanalitico, che ha come perno la tematica del desiderio inappagato. Un film irrisolto ma affascinante; un film a strati, di quelli che richiedono allo spettatore un certo sforzo per arrivare ad un nocciolo che spesso si rivela di una semplicita' genuina e disarmante. Personaggi stravaganti, atmosfere morbose, narrazione antilineare. Uno dei film più affascinanti di Egoyan.

tres

LUNA PAPA (Bakhtiar Khudojnazarov)



Un film di Bakhtiar Khudojnazarov. Con Chulpan Khamatova, Moritz Bleibtreu, Merab Ninidze, Ato Mukhamedshanov Commedia, durata 106 min. - Russia, Germania, Australia 1999

In un piccolo villaggio dell'Asia centrale vive l'eccentrica famiglia Bekmouradova composta da Mamlakat, da suo padre Safar e da suo fratello Nasreddin, psicologicamente turbato dalla guerra in Afganistan. Mamlakat che sogna di diventare un'attrice ed è un'assidua frequentatrice del teatro locale viene sedotta da un tizio che le racconta di essere un attore. La mattina seguente Mamlakat si accorge di essere incinta e si reca in città per abortire. Ma nel corso dell'operazione il medico muore. Quando Mamlakat confessa a Safar di aspettare un bambino, questi si mette in viaggio alla ricerca del padre. Il trio, Mamlakat, Safar e Nasreddin, batte a tappeto tutti i teatri della zona e si imbatte in una serie di avventure stravaganti. Nel frattempo la pancia della ragazza comncia a gonfiarsi...
La poesia incolta e polverosa dell’est riempie le desolate lande tagike di un primitivo gusto della trovata scenica, della caricatura, della commedia contadina. Lo stile di Khudojnazarov è intriso di un lirismo selvatico e luccicante di incongruità, come uno spettacolo circense in cui abbondano le belve e i clown, però mancano gli acrobati. L’equilibrio appare infatti perennemente incrinato, come per assecondare i contorni irregolari di una bellezza naturale, priva di levigature, ed eternamente incline a lasciarsi cadere, a scivolare nell’errore, a precipitare nella trappole dell’ingenuità. I percorsi della fantasia seguono sempre le traiettorie oblique dei quadri di Chagall, in cui il volo e la danza sono movimenti disarticolati, in bilico sui profili accidentati della prospettiva, ed indecisi sulla direzione da prendere. Dall’arte di Kusturica, a cui è fin troppo facile accostare quella di Khudojnazarov, quest’ultimo riprende il piglio zingaresco, che attraversa l’esistenza a bordo di uno sgangherato carrozzone, perché solo così è possibile rischiare, andare all’avventura, perpetuando il proprio destino di poveri diavoli, inquieti, imprevidenti, ruspanti e splendidamente imperfetti. Luna Papa è l’elegia popolare che canta la vita come un miracolo pieno di zone d’ombra, di risvolti sinistri e misteriosi: un prodigio impregnato di un male onnipresente che è, esso stesso, parte della complessiva, dolorosa magia dell’esistenza.
Kapu

LANCILLOTTO E GINEVRA (Robert Bresson)



Un film di Robert Bresson. Con Luc Simon, Laura Duke, Humbert Balsam Titolo originale Lancelot du Lac. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 85' min. - Francia 1974

Dopo due anni di ricerche del Santo Graal, costati molte vittime, Lancillotto del Lago, il più valoroso dei Cavalieri della Tavola Rotonda, e i suoi compagni tornato sconfitti alla Corte di Re Artù. Convinto che il falimento dell'impresa sia un castigo divino, per la sua relazione con Ginevra, moglie di Re Artù, Lancillotto tenta di spezzare quel legame. Costretti all'ozio forzato i Cavalieri si abbandonano a rivalità e inimicizie. Uno di loro Mordred ostile a Lancillotto rivela al re il segreto del suo ex compagno d'armi. 
Bresson sceglie la strada del verismo stilistico che da sempre lo contraddistingue: quasi a voler sottolineare la pochezza di contenuti culturali in tempi così non civilizzati, riduce i dialoghi ai minimi termini, descrive il rapporto fra i due amanti in maniera molto casta scartando a priori la passione, dipinge Ginevra come una santa innamorata,desiderata da tutti i cavalieri che osservano bramosi la finestra della torre dove si è rifugiata, incolonna nella banda sonora clangori di corazze e scalpitii di cavalli, suoni di cornamuse e rintocchi di frecce scoccate, unici veri rumori di un tempo così lontano dall’ossessivo baccano del nostro quotidiano vivere, rinuncia anche ad una recitazione teatrale e romanzata tanto che quella degli attori del film è una non recitazione voluta al fine di sottolineare una volta di più la staticità e l’assoluta incomunicabilità di un epoca così remota. Lancillotto è l’assoluto protagonista della storia nella storia, e le bellissime inquadrature sghembe come quelle che catturano solo una porzione di immagine sanciscono il suo eroismo nella giostra dove disarciona tutti senza fare un commento e poi ferito si rifugia nella foresta per ricevere le cure in un’altra sequenza di assoluto verismo ed improvviso romanticismo nei confronti suoi per chi lo ha protetto e curato, la scelta anche in questo caso di costumi, oggetti (la bacinella per il sangue), vessilli e armi che sembrano presi in prestito da un museo di storia medievale accentuano ancora di più la trasparenza del film, senza contare le location castellane e forestali che si osservano nel corso della storia. l film di Bresson è una severa metafora sull'infelicità dell'uomo che per colpa dei peccati ha finito per perdere la grazia.
Kapu

FALSE VERITA' (Atom Egoyan)

Locandina False verità

















Un film di Atom Egoyan. Con Kevin Bacon, Colin Firth, Alison Lohman, Rachel Blanchard,
Sonja bennet
Titolo originale Where the Thuth Lies. Drammatico, durata 107 min. - Canada 2005.

1959. Lanny Morris e Vince Collins sono i due entertainer più famosi degli Stati Uniti. Conduttori inarrivabili riescono a gestire una Maratona Telethon che ottiene esiti che vanno al di là delle più rosee speranze. Una donna trovata morta in una cassa a loro destinata separa le loro carriere. I due hanno un alibi ma no riusciranno più a lavorare insieme. Quindici anni dopo una giornalista rampante riesce a strappare un contratto favoloso con un editore a patto di riuscire a riaprire il caso. Avvierà così un'indagine che la porterà a scoprire diverse facce della verità...anche su se stessa. Atom Egoyan, dopo il parziale 'detour' di Ararat, torna ai suoi temi preferiti: l'ambiguità della vita, la ricerca della verità sin dall'inizio votata al fallimento, il tentare di rimuovere, sapendo già di non riuscirci, le apparenze di cui gli esseri umani si rivestono per non scoprirsi (nella sua visione) desolatamente 'nudi'. Cosa di meglio allora del mondo dello spettacolo con i suoi lustrini e con i suoi doppifondi dell'anima? Intrigante sin dal titolo ('lie' sta per 'mentire' e 'giacere' quindi il titolo può essere letto sia come "Dove si trova (giace) la verità" oppure "Dove la verità mente") con questo film il regista di Exotica e di Il dolce domani riaffronta le proprie (ormai quasi ossessive) domande sull'esistenza. Lo fa con uno stile che è ormai talmente personale da affascinare anche quando, come in questo caso, una parte della 'possibile' verità diviene prevedibile attorno a metà film.

tres