Un film di Céline Sciamma. Con Zoé Héran, Malonn Lévana, Jeanne Disson, Sophie Cattani, Mathieu Demy, Ryan Boubekri, Yohan Véro, Noah Véro, Cheyenne Lainé
Drammatico,durata 84 min. - Francia 2011
Laure si trasferisce con i suoi genitori e sua sorella minore in una cittadina in cui non conosce nessuno. Quando incontra Lisa, una ragazzina della sua stessa età, si fa passare per un maschio e così Laure diventa Mickaël e inizia sperimentare e a condividere il gioco con gli altri ragazzi.
Céline Sciamma, giovane autrice i cui corti hanno conquistato Xavier Beauvois e André Téchiné, ha vinto con l’opera seconda, Tomboy, il Premio Queer del Festival di Berlino (il Teddy Award) e quelli di pubblico e giuria (assegnato all’unanimità) al 26° Torino GLBT Film Festival. E una volta tanto i premi sono serviti, se un film piccolo francese, senza volti noti, trova distribuzione nelle nostre sale. Tomboy, termine inglese che indica una ragazza con atteggiamenti da maschiaccio, racconta un’estate e una doppia vita, quella di Laure. Girato con mezzo milione di euro, in 20 giorni e con una troupe di sole quindici persone, Tomboy deve buona parte della propria fortuna all’alchimia del cast, dove la felice scelta della giovane protagonista Zoé Héran, presentatasi già con i capelli corti e l’amore per il calcio, ha portato automaticamente a includere nel film i suoi veri amici. La Sciamma impiega poi una messa in scena sobria, calibrata, e una fotografia chiara, che trasmette la sensazione, quasi fuori dal tempo, dell’estate di un gruppo di ragazzini, quando appunto ci si può illudere che una partita possa durare in eterno. Quasi l’altra faccia di Boys Don’t Cry, Tomboy dilegua la suspense dell’intrigo tra placidi pomeriggi assolati e, quando i nodi vengono al pettine, la resa dei conti schiva esplosioni drammatiche, preferendo il liquido sciogliersi della doppia identità in uno slancio di ottimismo verso l’apertura mentale dei bambini. Come in Tutti per uno di Romain Goupil, è loro la vera maturità. Un tema delicatissimo sulla identità sessuale pre-adolescenziale, la regista ha saputo raccontare in maniera discreta, leggera e mai invadente uno stato in cui ci siamo trovato tutti, dove gli adulti non possono che fare danni entrando a gamba tesa. La storia non propone nessuna difficoltà psicologica che porta ad una scelta, che solo le convenienze sociali drammatizzano, magari, provocando dei possibili danni di una vita. La scelta di Laure è casuale, non cercata e tanto meno malata, l'età presa in considerazione è quella dove si inizia a percepire le differenze sessuali, una sorta di frontiera dove le delicate posizioni e le scelte spesso vanno in tilt e provocano le difficoltà che noi tutti comprendiamo. Il gioco legato all'infanzia comincia ad essere insufficiente e l'allungamento di questo, per certe angolazioni, può portare ad una scelta di ruolo obbligata, che non tutti sanno accettare, magari perché ancora la maturazione del momento non è arrivata. La società impone dei comportamenti, che alcuni accettano come delimitazione naturale, altri non la prendono, giustamente, con la serietà proposta, perché la personalità ha bisogno ancora di sperimentare senza bisogno di esporsi ai rischi che una società impone. La Sciamma affronta l'argomento in maniera quasi documentaristica, non dà, quasi mai, giudizi se non quello di esporre un po' di più gli adulti che con il loro intervento, anche se non calcato, alimentano e sottolineano il problema rendendolo evidente e punibile. Lo stesso gruppo di ragazzini cambierà il tono, proprio su suggerimento degli adulti, iniziando il percorso di una società che apre loro le porte, con un senso morale pre-costruito, anche se indifferente. Il finale non dà una risposta, ma le due ragazzine escono dal senso di colpa che è stato loro attribuito, cercando una solidarietà che solo da loro può nascere, senza esporla agli altri.
Kapu
https://mega.co.nz/#!Y0kUhAza!RPSnpSKjFYk7QCnOYg2Rgw4ItYhR_blvB6bKGgOLF7Y
RispondiElimina