Un film di Martin Provost. Con Yolande Moreau, Ulrich Tukur, Anne Bennent, Geneviève Mnich, Nico Rogner, Adélaïde Leroux, Serge Larivière, Françoise Lebrun, Jean-Pascal Abribat, Anne Benoît, Sandrine Bodenes, Léna Breban, Rosine Favey, Serge Gaborieau, Hélène Hardouin, Francis Lacloche, Josette Ménard, Dominique Pozzetto, Sophie Raive, Muriel Riou
Drammatico, durata 125 min. - Francia, Belgio, Germania 2008
1914, venti di guerra sull’Europa. Nella provincia francese si è ritirato Uhde, insigne gallerista e critico d’arte parigino, ma di origine tedesca, che comincia a sentire sulla propria pelle la tensione del conflitto prossimo venturo. Al suo servizio Séraphine Louis, domestica dai modi spicci raccomandata dalle suore e dalla ricca ma grossolana locataria. Séraphine, quasi in segreto, dipinge, e quando Uhde si accorge di avere a che fare con un talento eccezionale, cambia la natura del loro rapporto.
Grande successo del cinema francese “d’autore”, distribuito in Italia con due anni di ritardo, Séraphine è il tipico film da cineforum, di cui non si può che parlare bene. Invita al dibattito sciorinando temi diversi, dall’emancipazione della figura femminile al centro della scena (autodidatta, culturalmente acerba, vagamente simile alla nostra Alda Merini, poetessa) all’esasperazione dei conflitti di classe (ancora una volta, veri motori della storia) fino alla relazione di crescita reciproca tra due personaggi di estrazione sociale opposta. Tutto in questo film lascia tracce, e negli occhi entra la meraviglia di quei colori stesi sulla tela dalla mano rozza, callosa, con le dita annerite di Séraphine, la serva, la lavandaia, la fille de Marie un po’ tocca, che le pie suorine biancovestite tengono con loro, cantano insieme il Veni creator spiritus prima di far merenda con vocine angeliche, e quel réfrain è tutto quel che ha imparato Séraphine di musica, e lo canticchia mentre dipinge sul pavimento della stanza di cui non riesce a pagare l’affitto. La vita di Séraphine è quella del baco da seta nel bozzolo da cui uscirà la farfalla, unico pensiero dominante è trasferire le forme semplici della natura sulla tela, e i colori li prende da lì, li impasta con la cera delle candele sull’altare, uno sguardo mortificato al Crocifisso e via, il rosso è il sanguinaccio rubato nella cucina del macellaio, l’azzurro, il giallo, il verde sono tutti nei campi, a mazzi di cui riempie il canestro. La prova della protagonista Yolande Moreau, premiata con un meritato César, l’Oscar francese, è semplicemente superba. Bellissime le due sequenze di preparazione dei colori (la ricerca delle materie prime naturali al fiume e la lenta lavorazione, come se la donna artista stesse cucinando). Minuziosa l’immedesimazione con una figura realmente esistita, figlia povera di un’epoca. Tuttavia il personaggio più interessante e meno prevedibile del film è Uhde (Ulrich Tukur), tormentato intellettuale vittima due volte dell’idiozia umana e della carneficina imminente (traditore per i tedeschi, nemico per i francesi). E mentre si passano in rassegna gli autentici bozzetti di Picasso, il critico resta affascinato, persino intimorito soprattutto dai soggetti di Séraphine, che anticipando gli umori cupi del secolo breve appena cominciato non dipinge che mele, pere, foglie... Nature morte.
Kapu
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