Un film di Mathieu Kassovitz. Con Abdel Ahmed Ghili, Saïd Taghmaoui, Hubert Koundé, Vincent Cassel, Karim Balkhandra, Edouard Montoute, François Levantal, Vincent Lindon,Benoît Magimel, Philippe Nahon, Karin Viard, Solo, Joseph Momo, Héloïse Rauth, Rywka Wajsbrot, Olga Abrego, Laurent Labasse, Choukri Gabteni, Nabil Ben Mhamed, Medard Niang, Arash Mansour, Mathieu Kassovitz
In un quartiere periferico di una città francese come tante, fatto di miseria, etnie più o meno assortite e criminalità di vario genere, soffia il vento della rivolta. L'occasione che la fa esplodere è il brutale interrogatorio a cui la polizia sottopone un ragazzo di sedici anni. Nella lotta emergono le difficoltà e le differenti personalità di tutti i giovani che sono stati coinvolti. Non andrà bene per tutti.
L'urlo della banlieue. Vite buttate agli angoli di una periferia come tante. Sono talmente tante queste banlieues che non hanno nomi ma solo numeri .E sono tutte uguali almeno a prima vista. Così come i ragazzi che le abitano sono accomunati dagli stessi sogni per il futuro (hanno tutti il minimo denominatore della fuga), dagli stessi incubi del presente (la violenza impera), dalla stessa mancanza di prospettive e soprattutto dall' odio verso le istituzioni e la polizia vista esclusivamente come braccio armato di una sorta di dittatura. E'questo il clima sulfureo in cui Kassovitz cala la sua opera seconda, un film girato in un bianco e nero roboante e uno stile ultrarealista, talmente più vero del vero che suscita sospetti. La macchina da presa si muove nervosa, il montaggio in certi frangenti arriva a essere frenetico, tutto ottimizzato per rendere al meglio il clima di ansia e di urgenza che si respira in tutto il film. Ma non è un caso che emerga la cinefilia del regista (la citazione di Taxi driver quando Cassel imita Travis Bickle davanti allo specchio) e anche qualche preziosismo nascosto tra le righe. Kassovitz racconta il fermento di questi giovani emarginati che cercano una speranza: li accompagna nella loro giornata che si snoda tra incontri vari, passeggiate in una terra di nessuno, piccoli scontri con la polizia che cerca di ristabilire una minima parvenza di ordine in questa parte di città dimenticata. Il tono che inizialmente è più leggero (termine da prendere nel senso più esteso possibile) mano mano si incupisce. L'odio è annidato in entrambi gli schieramenti sia tra i rivoltosi che tra i polziotti e Kassovitz insinua il dubbio che a volte fare il poliziotto non significa stare automaticamente dalla parte della legge. E comunque alla luce del finale non è possibile alcuna riconciliazione. La banlieue rimane un ghetto di emarginati, quasi un appendice inutile da troncare. Tutto il significato del film è racchiuso in quella storiella che viene raccontata da Hubert , di uno che si butta dal cinquantesimo piano e a ogni piano continua a ripetere "Fin qui tutto bene". Il problema è l'atterraggio,non il volo. L'odio rinuncia a sociologismi d'accatto consegnando ai posteri quasi un invettiva rap in cui cerca di distribuire virtù e vizi da entrambe le parti della barrricata. Il film all'epoca fece voltare più di una testa nella critica cinematografica di allora. Avevano ragione, peccato che la carriera da regista dell'allora 28enne Mathieu non si sia confermata poi a questi livelli. La cosa che colpisce ancora a distanza di anni di questo film è la sua stringente attualità: la banlieue col tempo è diventato un non luogo cinematografico in cui si aggira parte del cinema francese. Ma l'emarginazione è rimasta la stessa. Anche se talvolta qualche figlio della banlieue si riscatta riuscendo ad oltrepassare quella dannata barricata diventando ricco e famoso senza per questo dimenticare le proprie origini e gli amici di un tempo ,vivi o morti.
Kapu
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