mercoledì 10 luglio 2013

LA SCHIVATA (Abdel Kechich)



Un film di Abdel Kechiche. Con Osman Elkharraz, Sara Forestier, Sabrina Ouazani, Nanou Benhamou, Hafet Ben-Ahmed, Aurélie Ganito, Carole Franck, Hajar Hamlili, Rachid Hami, Meriem Serbah, Hanane Mazouoz, Sylvaine Phan Titolo originale L'Esquivé. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 117 min. - Francia 2003

Banlieue di Parigi, gruppo di ragazzi in un esterno. Per amore di Lydia, Crimo cerca di avere la parte di Arlecchino nella recita scolastica tratta da Marivaux. Ci riesce, ma poi è impacciato e paradossalmente, vista la maschera, “incolore”. Intanto, sul palcoscenico della vita, incroci, sproloqui, contaminazioni: ragazzini e ragazzine beur che giurano “sul Corano della Mecca”, sinofrancesi di prima generazione, sbirri incattiviti dai luoghi, refurtiva e droga, “l’odio” che impregna l’ambiente. La denuncia di un certo male di vivere fa da sfondo sommesso all’evoluzione emotiva dei ragazzi, come un qualcosa che esiste ma che intanto è impegnato ad occuparsi d’altro, assorbito nell’eccezionalità dell’ evento teatrale che riesce a interrompere il monotono rincorrersi dei giorni.
Quella di Abdel Kechiche è una camera stylo che racconta con pudica forza i suoi personaggi, applicando una poetica "alta" (Marivaux: è il condizionamento sociale a rendere schiavi di un ruolo e di un ambiente) a un contesto terribilmente "basso". La banlieue, la frontiera, la darkness on the edge of town dove i destini sono (già) segnati. Senza didascalismi, retorica o quant'altro, tutto in stato di grazia a partire dai due protagonisti. Il doppiaggio eccede in romanesco ma è inutile accanirsi. Questa volta era impresa ardua. Tuttavia, signori, un film straordinario. Libero. Sincero e appassionato come L’eau froide di Assayas, rigoroso e “etico” come Loin di Téchiné. Veramente il titolo mancante, in quest’epoca di “magra”, per riconciliarsi con il cinema. Quella di Abdellatif Kechiche è una camera stylo che racconta con pudica forza i suoi personaggi, applicando una poetica “alta” (Marivaux: è il condizionamento sociale a rendere schiavi di un ruolo e di un ambiente) a un contesto terribilmente “basso”. La banlieue, la frontiera, la darkness on the edge of town dove i destini sono (già) segnati. Senza didascalismi, retorica o quant’altro, tutto in stato di grazia a partire dai due protagonisti. C’è un po’dello sguardo etico dei fratelli Dardenne in questo secondo lungometraggio di Abdel Kechiche, abbastanza di quel loro modo antiretorico di trattare la marginalità sociale standosene in disparte a registrare la vita che scorre. “La schivata” è un film di delicata crudezza che, concentrandosi sugli abituali “sproloqui” di un gruppo di adolescenti, ci parla delle difficoltà proprie di chi vive ai confini delle metropoli occidentali di affrancarsi dallo scomodo ruolo di emarginato sociale. L’espediente narrativo della preparazione di uno spettacolo teatrale ha un ruolo assolutamente centrale nell’economia del film e Abdel Kechiche lo usa, non per arrivare ad un elaborata riflessione sul confine tra realtà e finzione, sul ruolo dell’arte e sull’opera di mediazione dell’uomo-attore, ma per chiarire i tratti di una sorta di determinismo sociale attraverso la commistione esistenziale tra una realtà da rappresentare a teatro e i personaggi che dovranno interpretarla. La stessa struttura dell’opera di Marivaux ci suggerisce questo. 
Kapu

1 commento:

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